Società multidisciplinari tra professionisti e avvocati: il punto delle Sezioni Unite

in Giuricivile, 2018, 9 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., SS.UU. civ., sent. n. 19282 del 19/7/2018

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 19282 del 19 luglio 2018 si sono pronunciate su una questione di particolare importanza attesa la crescente evoluzione del fenomeno: l’esercizio in forma associata della professione forense di concerto con soci professionisti iscritti ad altri albi.

Il caso

Il caso sottoposto all’attenzione della Corte trae origine dal rigetto di un ricorso presentato al Consiglio Nazionale Forense avverso una delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati territoriale con cui veniva respinta la domanda di iscrizione all’albo di una Società Professionale in accomandita semplice costituita per l’80% da avvocati e dal 20% da un professionista laureato in materie economiche.

Il CNF, sostenendo l’inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 10 co. 3 – 11 della L. 18/2011, ha ritenuto vigente il divieto di costituzione di società multidisciplinari contenuto nell’art. 5 della nota Legge Professionale del 2012 (articolo poi abrogato dalla L. 124/2017).

Le Sezioni Unite si sono, pertanto, espresse sulla “legittimità o non di società tra avvocati con partecipazione di soci non iscritti all’albo”.

Il quadro normativo

La Corte, con un breve excursus storico, ha ripercorso il susseguirsi degli interventi normativi, talvolta meramente di rinvio a decreti ministeriali mai emanati, in materia di esercizio della professione forense in forma associata.

In un primo momento, specifica il Supremo Collegio, sul finire degli anni ’30, la formazione di società tra avvocati è stata proibita per consentire, al contrario, la costituzione di associazioni tra professionisti, purché con l’obbligo di adoperare esclusivamente la dizione di “studio legale”, seguita dal nome e dal cognome nonché dal titolo professionale dei singoli associati (L. 1815/1939).

Solo a distanza di poco meno di sessant’anni, con legge n. 366 del 7 agosto1997, il predetto divieto è venuto meno, ma è solo nel 2001 che si è presentata la vera possibilità per gli avvocati di costituire società. L’imporsi sullo scenario normativo del D.Lgs. 2 febbraio 2001 n. 96 – in attuazione della direttiva 98/5/CE – ha sancito un concreto révirement rispetto alla regolamentazione previgente. L’art. 16, infatti, ha espressamente previsto come “l’attività professionale di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio può essere esercitata in forma comune esclusivamente secondo il tipo della società tra professionisti, denominata nel seguito società tra avvocati” rimandando, per quanto non ivi espressamente previsto alle “norme che regolano la società in nome collettivo di cui al capo III del titolo V del libro V del codice civile”.

Il corpus normativo del 2001 ha stabilito lapidariamente, invero, che la società tra avvocati (STA) avesse quale oggetto esclusivo l’esercizio in comune della professione dei propri soci e che tutti i soci fossero obbligatoriamente in possesso del titolo abilitante, con l’esclusione di professionisti non avvocati.

Tuttavia, al comma 9 dell’art. 10, è stata inserita una clausola di salvaguardia che ha comportato per lungo tempo incertezze interpretative, allorché venivano fatti salvi i modelli societari e le associazioni professionali “già vigenti alla data di entrata in vigore” del decreto in discorso.

Il generale divieto di esercizio professionale di tipo interdisciplinare in forma societaria è stato dapprima eliminato nel 2006, quando la legge n. 248 ha abrogato le previsioni previgenti in tema di impossibilità di “fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti”[1] ed ulteriormente ribadito con la legge di stabilità del 2011 (L. 12 novembre 2011 n. 183).

È qui che, per la prima volta, si concretizza la possibilità di costituire società multidisciplinari seppur con l’emergere di una apparente sovrapposizione di disciplina tra la novella e quanto invece previsto nel 2001, a causa della suddetta clausola di salvaguardia.

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Sul punto, infatti, la Cassazione ha affermato che vi fosse una “coeva vigenza di due differenti cornici di riferimento una generale e una speciale. La prima [,..] che prevede(va) la possibilità di costituire società, anche di capitali, tra professionisti (in genere) e soci non professionisti […]. La seconda (ndr. mediante la previsione di cui all’art. 10, co. 9, L. 183/2001) […] riferita ai soli avvocati (e non anche ad altri professionisti)”.

Questa parziale bipartizione antinomica è stata nondimeno agevolmente superata dall’introduzione, ad opera dell’art. 1 co. 141 della L. n. 124/2017, dell’articolo 4-bis della Legge Professionale, intervenuta nelle more dell’emanazione del decreto ministeriale cui la legge n. 183/2011 ha demandato l’attuazione di talune materie.

In proposito, i Giudici di piazza Cavour hanno sottolineato come l’introduzione di detto articolo abbia espressamente abrogato la disciplina precedente.

La previsione, dunque, ha confermato l’ammissibilità delle società di persone, di capitali o cooperative iscritte in una apposita sezione speciale dell’albo tenuto dall’ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la società e ha consentito che i soci potessero esercitare una attività multidisciplinare nel rispetto del seguente criterio di proporzionalità: i due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto devono essere avvocati iscritti all’albo ovvero avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti ad altri albi, e la maggioranza dell’organo di gestione deve essere costituita da avvocati (art. 4-bis co.2 lett. a) L. 247/2012).

Se, dunque, sino al 2017 l’unico modello societario consentito tra avvocati era quello di cui agli artt. 16 e ss. del D.Lgs. 96/2001, oggi, il carattere speciale dell’art. 4-bis permette, sostiene la Corte, che tale disciplina “prevalga sulla (anteriore e) generale disposizione dell’art. 10 legge n. 183 del 2011 e sulla parimenti speciale, ma anteriore, disciplina di cui agli artt. 16 e ss. Del D.Lgs n. 96 del 2001”.

Il principio di diritto

Alla luce di quanto rilevato, cassando con rinvio la sentenza impugnata e rinviando dunque al Consiglio Nazionale Forense, le Sezioni Unite sono giunte ad affermare il seguente principio di diritto:

Dal 1°.1.18 l’esercizio in forma associata della professione forense è regolato dall’art. 4-bis della legge n. 247 del 2012 (inserito dall’art. 1, comma 141, legge n. 124 del 2017 e poi ulteriormente integrato dalla legge n. 205 del 2017), che – sostituendo la previgente disciplina contenuta negli artt. 16 e ss. d.lgs. n. 96 del 2001 – consente la costituzione di società di persone, di capitali o cooperative i cui soci siano, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, avvocati iscritti all’albo, ovvero avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni, società il cui organo di gestione deve essere costituito solo da soci e, nella sua maggioranza, da soci avvocati”.


[1] Art. 2, co. 1, lett. c), L. n. 248/2006

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