Sezioni Unite e usura sopravvenuta: brevi considerazioni e spunti di riflessione

Sommario. a) Il principio di diritto ed il suo ambito di applicazione: luci ed ombre. b) La “oggettiva” inapplicabilità del principio affermato dalle SS.UU. ai rapporti diversi dai contratti di mutuo: differenza “ontologica” con l’usura dei conti corrente e delle aperture di credito collegate. c) La pretesa del pagamento degli interessi (divenuti) usurai, l’esclusione della violazione della buona fede contrattuale e gli altri rimedi. d) Conclusioni.

Come già illustrato in un precedente articolo, con la sentenza n. 24675 del 19.10.17 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno composto il contrasto sorto, in seno alle sezioni semplici, sull’applicabilità della legge antiusura ai rapporti di mutuo sorti, ma non ancora esauriti, prima della entrata in vigore della legge 108/96.

Il Massimo Collegio ha aderito all’indirizzo che escludeva la possibilità che potesse configurarsi, per tali rapporti, una ipotesi di usura cd. “sopravvenuta” ma, andando oltre i confini dell’ordinanza di rimessione, ha espresso anche una serie di principi che faranno certamente discutere all’interno delle aule di giustizia.

In particolare, secondo i giudici di legittimità:

  • l’usura cd. “sopravvenuta” non sarebbe, in pratica, mai configurabile in quanto è il momento della pattuizione, e solo questo, a rilevare ai fini della verifica della sussistenza di costi usurari;
  • il principio vale sia per i mutui stipulati prima della entrata in vigore della legge 108/96 che per quelli sottoscritti successivamente, sia che siano a tasso fisso che a tasso variabile (anche se in tale ultima ipotesi la variabilità del tasso dovrebbe essere idonea ad “assecondare” le oscillazioni del tasso soglia adeguandosi allo stesso);
  • la banca può sempre chiedere il pagamento degli interessi divenuti, in corso di rapporto, usurari, senza per questo violare il principio di buona fede nella esecuzione del contratto.

Questi, in estrema sintesi, i princìpi espressi dal Supremo Collegio e che, in considerazione degli effetti pratici che potrebbero discendere da distorsioni interpretative, meritano un attento approfondimento.

Il principio di diritto ed il suo ambito di applicazione: luci ed ombre

La questione sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite era relativa ad un mutuo stipulato prima della entrata in vigore della legge 108/96. Nonostante ciò, la Cassazione ha ritenuto di andare abbondantemente “oltre lo spartito” enunciando il seguente principio di diritto – valevole anche per i mutui stipulati dopo il ’97 – secondo cui:

“Allorchè il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; nè la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto”.

In particolare secondo il Supremo Collegio, la cd. “usura sopravvenuta” non è mai configurabile nei contratti di mutuo per cui, anche se nel corso del rapporto il tasso originariamente pattuito in misura contenuta infra soglia usura, successivamente superi il tasso soglia – con il conseguente obbligo di pagamento, da parte del mutuatario, di un interesse usuraio al momento della dazione – ciò non configurerebbe il reato di usura né implicherebbe la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale né, infine, la violazione della buona fede contrattuale da parte della banca mutuataria.

La sentenza, riferita unicamente ai contratti di mutuo (come di seguito meglio si dirà), esprime importanti principi, alcuni dei quali condivisibili, altri invece meritevoli di censura.

Da una parte il provvedimento ha infatti il merito di chiarire che:

  • ai fini della verifica della usurarietà di un contratto di mutuo è il momento della pattuizione (solo quello secondo le SS.UU.) che assume rilievo “esclusivo” per cui, viene smentita tutta quella giurisprudenza di merito che, fino ad oggi, escludeva dal computo del Teg i costi cd. “eventuali” come il tasso di mora e la penale (o commissione) per estinzione anticipata;
  • la sanzione prevista dall’articolo 1815 II° comma c.c. è la gratuità (cfr. pag. 11 sentenza).

Dall’altra parte, invece, non si ritiene condividisibile il principio secondo cui:

  • il pagamento, successivo alla stipula, di interessi usurai non determina né la nullità, né l’inefficacia della clausola che li stabilisce;
  • la banca può riscuotere gli interessi divenuti usurai nel corso del rapporto a causa del sopraggiunto superamento della soglia usura, senza violare il dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto.

L’iter motivazionale delle Sezioni Unite deriva, a parere di chi scrive, da una errata interpretazione della legge antiusura e, in particolare, della Legge 24/01 di interpretazione autentica, giungendo ad una conclusione dai dubbi profili di incostituzionalità.

In particolare, secondo la Cassazione, la lettura dell’art. 644 c.p. e della L. 24/01 condurrebbe l’interprete ad escludere il momento della dazione ai fini della verifica della usurarietà del contratto di  mutuo, come comprovato dall’inciso secondo cui è rilevante a tal fine, il “momento in cui gli interessi sono convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

La lettura è evidentemente errata in quanto:

  1. l’articolo 644 c.p. prevede che il reato viene commesso da chiunque si fa dare e non solo promettere interessi o altri vantaggi usurai.
  2. La legge 24/01 non fa altro che chiarire che la usurarietà del contratto deriva dalla pattuizione a prescindere (indipendentemente) dalla dazione senza escludere affatto che il pagamento abbia comunque rilevanza.

La sentenza non coglie nel segno neppure allorquando, richiamando Cass. pen. 8353/13, afferma che la giurisprudenza penale della Corte “nega la configurabilità dell’usura sopravvenuta”!

Invero, la sentenza del 2013 non nega affatto la rilevanza dell’usura sopravvenuta ed anzi, sulla premessa che la L. 28 febbraio 2001 n. 24, art. 1, prevede che gli interessi devono ritenersi usurari se eccedono il limite legale al momento della loro pattuizione ed indipendentemente dal loro pagamento, afferma “che il reato di usura possa ritenersi consumato in tale secondo momento (Sez. F., n. 32362 del 19 agosto 2010, Scuto ed altri, Rv. 248142)”

La struttura “bifasica” (pattuizione/dazione) del reato di usura è costantemente affermata nella giurisprudenza penale a mente della quale: “l’art. 644 c.p. punisce sia la dazione sia la pattuizione di interessi usurari.

Il delitto di usura si configura, dunque, come un reato a schema duplice, costituito da due fattispecie – destinate strutturalmente l’una ad assorbire l’altra, con l’esecuzione della pattuizione usuraria – aventi in comune l’induzione del soggetto passivo alla pattuizione di interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, delle quali l’una è caratterizzata dal conseguimento del profitto illecito e l’altra dalla sola accettazione del sinallagma ad esso preordinato.

Nella prima il verificarsi dell’evento lesivo del patrimonio altrui si atteggia non già ad effetto del reato, più o meno esteso nel tempo in relazione all’eventuale rateizzazione del debito, bensì ad elemento costitutivo dell’illecito il quale, nel caso di integrale adempimento dell’obbligazione usuraria, si consuma con il pagamento del debito, mentre nella seconda, che si verifica quando la promessa del corrispettivo, in tutto o in parte, non viene mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione dell’obbligazione rimasta inadempiuta (Sez. 2, n. 11837 del 10/12/2003 – Sideri e altro, Rv. 228381).” (Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 12 luglio – 22 settembre 2016, n. 39334, Presidente Davigo – Relatore D’Arrigo)

È evidente, pertanto, che non solo rileva il momento della pattuizione ma anche quello della dazione.

La “oggettiva” inapplicabilità del principio affermato dalle SS.UU. ai rapporti diversi dai contratti di mutuo: differenza “ontologica” con l’usura dei conti corrente e delle aperture di credito collegate.

Non resta che prendere atto del decisum del Collegio nella sua massima composizione cercando di evitarne interpretazioni ellittiche che esulino dal rapporto di mutuo che ne ha formato oggetto.

A parere di chi scrive bisogna evidenziare, invero, la inapplicabilità del principio espresso dalle SS.UU. a rapporti diversi da quelli esaminati in sentenza.

In particolare si ritiene opportuno chiarire che il concetto di usura sopravvenuta esaminato dalla Cassazione è cosa ben diversa dall’usura sopravvenuta rinvenibile nei rapporti di conto corrente e di apercredito.

Della distinzione è consapevole la stessa Cassazione che, a distanza di pochi giorni, ha emesso due sentenze – apparentemente contrastanti se non si tiene conto della diversità dei rapporti esaminati – in relazione alla interpretazione dell’art. 1815 II° co c.c.

Ci si riferisce alla sentenza n. 21470/17 del 15.9.17 ed alla sentenza n. 23192/17 del 04.10.17:

  • La 21470/17 afferma che, nell’ipotesi in cui in un contratto di apercredito gli interessi extrafido risultino usurai l’art. 1815 II° co. cc determina la non debenza solo di quegli interessi mentre quelli intrafido, se rispettosi della soglia, sono sempre dovuti;
  • La 23192/17, invece, afferma che in un contratto di mutuo in cui l’interesse di mora risulti pattuito in misura superiore alla soglia, la sanzione della non debenza si riferisce anche agli interessi corrispettivi seppur pattuiti nei limiti del tasso soglia usura.

I richiamati provvedimenti, come detto, sono solo in apparenza contraddittori ma, in realtà, giungono a conclusioni diametralmente opposte solo perché riferiti a due diverse tipologie di rapporto bancario: quello di conto corrente affidato, da un lato, e quello di mutuo, dall’altro.

Ciò sta a significare che la Suprema Corte è evidentemente consapevole del diverso trattamento che, ai fini dell’usura, deve essere riservato a tipologie contrattuali eterogenee con l’ovvia conseguenza che, il principio di cui alla sentenza delle Sezioni Unite, non può (nè mai potrebbe essere) applicato anche ai conti corrente.

A tal fine è sufficiente evidenziare che, nel caso esaminato dal provvedimento in commento, l’usura è determinata da un “abbassamento” del tasso soglia mentre, ad esempio, nelle aperture di credito, l’usura deriva dall’andamento cangiante e dinamico del rapporto, tant’è che il TEG dei rapporti di apertura di credito in conto corrente – tranne nei rari casi in cui l’istituto sia così sprovveduto da pattuire interessi, costi o oneri singolarmente già di per sé superiori alla soglia al momento della stipula – può essere verificato solo ex post per cui l’usura “sopravviene” sempre (o quasi) alla stipula del contratto.

Le stesse Istruzioni della Banca d’Italia, ai fini della verifica dell’usura nei rapporti di conto corrente, prevedono – come elemento essenziale di calcolo – la verifica dei “numeri” cioè del prodotto tra “capitali” e giorni di “utilizzo”.

È evidente che l’”utilizzo” non può che essere verificato successivamente alla pattuizione con la conseguenza che, per tali rapporti, l’usura “sopravvenuta” deriva dall’andamento del conto e dalle variabili ad esso consustanziali (somma utilizzata, giorni di utilizzo, impatto delle spese fisse ecc. ecc.) e non, come accade per i mutui, dal semplice abbassamento del tasso soglia successivamente alla stipula con l’ulteriore differenza che nei mutui la somma viene erogata, mentre nelle aperture di credito la somma viene solo messa a disposizione per cui solo con l’effettivo utilizzo si può verificare il costo del credito.

In entrambi i casi l’usura si definisce (impropriamente) “sopravvenuta” ma si tratta di ipotesi, fattispecie, rapporti e formule di calcolo differenti e non sovrapponibili.

In definitiva l’usura sopravvenuta presa in considerazioni dalle Sezioni Unite non è l’usura che, nei rapporti di conto corrente e rapporti collegati, “sopravviene” alla stipula del contratto.

La pretesa del pagamento degli interessi (divenuti) usurai, l’esclusione della violazione della buona fede contrattuale e gli altri rimedi.

Ciò che maggiormente non convince della sentenza delle Sezioni Unite è la parte finale del provvedimento ove si afferma che la pretesa della banca del pagamento degli interessi –originariamente legittimi – ma divenuti poi usurai nel corso del rapporto, non determina la violazione dei canoni di buona fede nell’esecuzione del contratto.

La Suprema Corte trascura, infatti, il rilevante dato che il principio di buona fede è espressione del principio di solidarietà costituzionale ex art. 2 Cost. ed è “clausola generale” del nostro ordinamento che configura dovere primario nell’ambito dei rapporti civilistici e non può certo dirsi insussistente se un istituto bancario – operatore professionale e contraente “forte” – chiede la corresponsione di interessi che ha la consapevolezza essere usurari.

Aderendo all’impostazione delle Sezioni Unite non resterebbe, pertanto, che valutare la possibilità di richiedere, in sede giudiziale, la reductio ad equitatem ex art. 1384 c.c., invocare la risoluzione (con tutte le relative conseguenze restitutorie) del contratto per eccessiva onerosità, invocare il risarcimento dei danni per abuso di diritto o, infine, denunciare in sede penale quello che, ai sensi dell’art. 644 c.p., è ancora considerato dal nostro ordinamento – nonostante la sentenza qui in commento – un reato: il pagamento di somme usuraie.

Conclusioni

Il provvedimento in commento, a parere di chi scrive, è destinato a far discutere e ad aprire la strada ad un più aspro confronto nelle aule di giustizia e ciò in considerazione della circostanza che le Sezioni Unite hanno espresso dei principi che, seppur partendo da premesse assolutamente condivisibili – per cui non si può sanzionare un rapporto che, nel suo momento genetico è perfettamente lecito ma che poi, per previsioni normative sopravvenute o per fattori sconosciuti e non prevedibili dalle parti, diventa “illegale” – non appaiono del tutto condivisibili in relazione alle conseguenze cui approdano sino a legittimare il pagamento di interessi usurari in spregio al disposto dell’articolo 644 c.p.

Molti sono i temi di dibattito che la giurisprudenza sarà chiamata inoltre ad affrontare a cominciare dalla portata applicativa del principio che, secondo alcuni autori si applicherebbe indistintamente a tutti i rapporti bancari mentre secondo altri (tra cui chi scrive) sarebbe oggettivamente inidoneo a disciplinare rapporti diversi da quelli scrutinati dalle Sezioni Unite.

Non resta che attendere le prime reazioni della giurisprudenza di merito nella consapevolezza che stavolta, nonostante l’intervento delle Sezioni Unite, il contrasto è tutt’altro che risolto.

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