Sezioni Unite sull’art. 360 n. 5 c.p.c.: l’omesso esame di elementi istruttori non integra vizio di omesso esame di un fatto decisivo

Con la sentenza n. 14477 del 10 luglio 2015, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, pronunciandosi in giudizio di impugnazione di provvedimento disciplinare nei confronti di un avvocato per violazione degli artt. 5, 6, 8, 14, 22 e 60 del Codice Deontologico Forense nonché dell’art. 12 del RDL n.1578/1933, hanno dato chiarimenti su come operi il motivo di ricorso in Cassazione previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c., nella sua nuova formulazione, e se, in particolare, l’omesso esame di elementi istruttori integri o meno vizio di omesso esame di un fatto decisivo.

Si ricorda che il nuovo dettato dell’art. 360 n. 5 c.p.c. ha compresso la possibilità della denuncia dei vizi di motivazione: l’intervento della Corte di Cassazione è infatti consentito solo nei casi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti“. Un cambiamento netto rispetto al previgente testo del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., con l’eliminazione non solo del riferimento alla “insufficienza” ed alla “contraddittorietà”, ma addirittura della stessa parola “motivazione”.

Ebbene, secondo la Suprema Corte, ciò che rileva, in base alla nuova previsione, è dunque solo l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, cioè la pretermissione di quei dati materiali, già acquisiti e dibattuti nel processo, aventi portata idonea a determinare direttamente un diverso esito del giudizio.

In altre parole, il nuovo testo dell’art. 360 n. 5 cpc, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo.

Ne deriva che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, “se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. SS.UU. n. 19881/2014 n. 8053/2014, n. 11025/2014).

Nel caso di specie, il Collegio che ha pronunciato l’impugnata sentenza, ha preso in considerazione, esaminandoli e valutandoli, quegli elementi (espressioni utilizzate dall’avvocato nella lettera inviata all’avvocato di controparte), ritenuti rilevanti per la decisione del caso concreto e “all’esito, è pervenuta ad un decisum di segno opposto a quello prospettato dal ricorrente, ritenendo che le espressioni utilizzate nel contesto della citata lettera, sul piano deontologico erano a ritenersi rilevanti“.

Ebbene, non solo la motivazione esiste e risulta congrua ma, oltretutto, il ricorrente, con i vari profili di censura, pur denunciando formalmente il difetto di motivazione ex art. 111 Costituzione, – il quale al VI comma prescrive che “Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”, – in buona sostanza, non ha svolto argomentazioni critiche idonee ad incrinare il tessuto argomentativo dell’impugnata sentenza, limitandosi a prospettare, genericamente, un abusivo esercizio del potere discrezionale del CNF nella mancata ammissione della prova testimoniale, per avere rigettato, immotivatamente, la richiesta dei mezzi istruttori.

A tal riguardo, la Corte di legittimità ha peraltro rilevato che il Collegio ha condivisibilmente disatteso le doglianze formulate dall’odierno ricorrente, dal momento che la fondatezza dell’addebito trovava riscontro probatorio in atti, segnatamente, nella “prova documentale” e nella “lettera posta a base dell’esposto” e che ciò determinava “l’assoluta irrilevanza ed ininfluenza della prova testimoniale“, genericamente richiesta e su circostanze prive di interesse ai fini del giudizio.

Sulla scorta di tale ragionamento, la Corte di Cassazione ha pertanto rigettato il ricorso.

(Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza n. 14477 del 10 luglio 2015)

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