Sezioni Unite sulla natura delle contestazioni della titolarità attiva o passiva del rapporto controverso

Con la sentenza n. 2951 del 16 febbraio 2016, le Sezioni Unite civili hanno risolto un contrasto giurisprudenziale in materia di contestazione della reale titolarità attiva o passiva del diritto sostanziale dedotto in giudizio.

Sul punto v’era infatti un orientamento minoritario, il quale sosteneva che tale contestazione della reale titolarità del diritto sostanziale dedotto in giudizio costituisca una mera difesa, con la conseguenza che incombe sulla parte la cui titolarità è contestata l’onere di fornire la prova di possederla. L’orientamento maggioritario affermava invece che tale contestazione costituisca un’eccezione in senso tecnico, che deve essere introdotta nei tempi e nei modi previsti per le eccezioni di parte, con l’ulteriore conseguenza che spetta alla parte che prospetta tale eccezione l’onere di provare la propria affermazione.

In primo luogo, la Corte ha voluto chiarire la distinzione tra la titolarità del diritto ad agire e la titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio: la legittimazione ad agire attiene infatti al diritto di azione, che spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare e la sua carenza può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio dal giudice. Al contrario la titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio attiene al merito della causa: essa è un elemento costitutivo del diritto fatto valere con la domanda, che l’attore ha l’onere di allegare e di provare.

Tale titolarità può essere provata in positivo dall’attore, ma può dirsi provata anche in forza del comportamento processuale del convenuto, qualora quest’ultimo riconosca espressamente detta titolarità oppure svolga difese che siano incompatibili con la negazione della titolarità.

A tal proposito, secondo la Suprema Corte, la difesa con la quale il convenuto si limiti a dedurre, ed eventualmente argomentare (senza contrapporre e chiedere di provare fatti impeditivi, estintivi o modificativi), che l’attore non è titolare del diritto azionato, costituisce una “mera difesa”: cosa certamente diversa da un’eccezione – con la quale invece si contrappone un fatto impeditivo, estintivo o modificativo – o da un’eccezione in senso stretto – proponibile, a pena di decadenza, solo in sede di costituzione in giudizio e non rilevabile d’ufficio.

Essa pertanto può essere proposta in ogni fase del giudizio (in cassazione solo nei limiti del giudizio di legittimità e sempre che non si sia formato il giudicato) e il giudice può a sua volta rilevare dagli atti la carenza di titolarità del diritto anche d’ufficio.

Più complessa è la problematica relativa al principio di non contestazione: il silenzio deve essere infatti attentamente valutato dal giudice, specie quando non attenga alla sussistenza di un fatto storico, ma riguardi un fatto costitutivo ascrivile alla categoria dei fatti-diritto. In particolare, secondo la Corte di legittimità, alla parte che, come nel caso in esame, sia rimasta contumace, non può essere esteso il principio di non contestazione: l’art. 115 c.p.c. impone infatti al giudice di porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati “dalla parte costituita”.

La contumacia esprime dunque un silenzio non soggetto a valutazione: essa non vale a rendere non contestati i fatti allegati dall’altra parte, né altera la ripartizione degli oneri probatori tra le parti, nè esclude che l’attore debba fornire la prova dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio. Costituendosi tardivamente il contumace, sebbene debba accettare il giudizio nello stato in cui si trova, con le preclusioni maturate, potrà dunque “assumere posizioni di mera negazione dei fatti costitutivi la cui prova gravi sulla controparte.

Composto tale contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite hanno altresì chiarito se un diritto al risarcimento del danno subito da un’immobile, in caso di alienazione del bene stesso, si trasferisca insieme al diritto reale. Ebbene, secondo la Corte di legittimità, tale trasferimento non può verificarsi secondo tali modalità, come accadrebbe se fosse un elemento accessorio, ma è suscettibile solo di specifico atto di cessione ai sensi dell’art. 1260 c.c. Di conseguenza, quando accanto all’atto di trasferimento della proprietà, non vi sia stato un atto di cessione del credito, il diritto al risarcimento dei danni compete esclusivamente a chi, essendo proprietario del bene al momento dell’evento dannoso, ha subito la relativa diminuzione patrimoniale.

In conclusione, oltre a risolvere il contrasto di legittimità, la Corte ha pertanto affermato il seguente principio di diritto:

“Il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta al titolare del diritto di proprietà sul bene al momento dell’evento dannoso. E’ un diritto autonomo rispetto al diritto di proprietà e non segue il diritto di proprietà in caso di alienazione, salvo che non sia convenuto il contrario”

Leggi la sentenza integrale: Corte di Cassazione, SS. UU. civili, sentenza n. 2951 del 16 febbraio 2016

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