Con la sentenza n. 9935 del 15 maggio 2015, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione sono state chiamate a pronunciarsi in merito al rapporto tra i procedimenti di concordato preventivo e di fallimento, in particolare se tra le due procedure sussista o meno un rapporto di prevenzione o di pregiudizialità necessaria.
Ebbene la Corte di legittimità ha in primo luogo chiarito che in pendenza di un procedimento di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, il fallimento dell’imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del pubblico ministero, può essere dichiarato “soltanto quando ricorrono gli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 l. fall. e cioè, rispettivamente, quando la domanda di concordato sia stata dichiarata inammissibile, quando sia stata revocata l’ammissione alla procedura, quando la proposta di concordato non sia stata approvata e quando, all’esito del giudizio di omologazione, sia stato respinto il concordato“. Peraltro, non sussistendo un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica tra le procedure, la dichiarazione di fallimento non è esclusa durante le eventuali fasi di impugnazione dell’esito negativo del concordato preventivo.
La Suprema Corte ha inoltre rilevato che la pendenza di una domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, non rende improcedibile il procedimento prefallimentare iniziato su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, né ne consente la sospensione, ma impedisce temporaneamente soltanto la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi dei già richiamati eventi previsti dagli arti. 162, 173, 179 e 180 I. fall.; il procedimento, pertanto, può essere istruito e può concludersi con un decreto di rigetto.
Invero, tra la domanda di concordato preventivo e l’istanza o la richiesta di fallimento ricorre, in quanto iniziative tra loro incompatibili e dirette a regolare la stessa situazione di crisi, un rapporto di continenza. Ne consegue la riunione dei relativi procedimenti ai sensi dell’art. 273 c.p.c., se pendenti innanzi allo stesso giudice, ovvero l’applicazione delle disposizioni dettate dall’art. 39, comma 2, c.p.c. in tema di continenza e competenza, se pendenti innanzi a giudici diversi.
Quanto alla domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, la Cassazione chiarisce che essa è inammissibile in quanto integra gli estremi di un abuso del processo, che ricorre allorquando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento li ha predisposti.
Infine, in tema di concordato preventivo, quando in conseguenza della ritenuta inammissibilità della domanda il tribunale dichiara il fallimento dell’imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del pubblico ministero, le Sezioni Unite hanno affermato che può essere impugnata con reclamo solo la sentenza dichiarativa di fallimento e l’impugnazione può essere proposta anche formulando soltanto censure avverso la dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato preventivo.
(Corte di Cassazione, Sezione Unite Civili, Sentenza n. 9935 del 15 maggio 2015)