Con la sentenza n. 16598 del 4 agosto 2016, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito, a composizione di contrasto, se la costituzione dell’appellante avvenuta con deposito di una “velina” in luogo dell’originale determini l’improcedibilità dell’appello o costituisca un’ipotesi di nullità sanabile.
Il contrasto giurisprudenziale
Nel caso in esame, l’appellante avrebbe iscritto a ruolo l’appello con una «velina, senza depositare mai (né nei dieci giorni successivi alla notificazione e/o restituzione dell’atto di citazione da parte dell’Ufficiale giudiziario né alla prima udienza né successivamente e nemmeno all’udienza di precisazione delle conclusioni) l’originale dell’atto di citazione». Con riguardo ai contrapposti orientamenti giurisprudenziali, si rimanda a quanto già affermato nel nostro precedente commento all’ordinanza di rimessione n. 25529 del 18 dicembre 2015.
La soluzione delle Sezioni Unite: improcedibilità o nullità sanabile?
La Suprema Corte ha in primo luogo chiarito come opera l’improcedibilità dell’appello e quale debba essere la corretta interpretazione di quanto disposto dall’art. 348, comma 1, c.p.c.: secondo quest’ultimo “l’appello è dichiarato improcedibile, anche d’ufficio, se l’appellante non si costituisce in termini” ma, come già osservato in alcuni precedenti delle sezioni semplici, “la sanzione di improcedibilità è ricollegata soltanto all’inosservanza del termine di costituzione e non anche all’inosservanza delle sue forme“.
Ne deriva pertanto che le conseguenze della scelta del legislatore di applicare la sanzione della improcedibilità, e cioè la sottrazione dell’inosservanza delle forme al regime delle nullità nonché l’esclusione dell’operatività del principio della sanatoria per l’eventuale configurabilità di una fattispecie di raggiungimento dello scopo, si giustificano soltanto per il caso di costituzione mancata entro il termine, cioè che non sia mai avvenuta, o sia avvenuta successivamente ad esso».
Al contrario, qualora l’appellante si sia costituito nel termine ma senza l’osservanza delle forme evocate nell’art. 347, comma 1, stante il regime di stretta interpretazione della improcedibilità, dovrà applicarsi il regime generale delle nullità di cui all’art. 156 c.p.c., e segg., e, quindi, anche il principio della idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo, anche attraverso l’esame di atti distinti o di comportamenti successivi rispetto a quello entro il quale la costituzione doveva avvenire.
Le Sezioni Unite hanno giustificato tale ricostruzione sulla base di elementi testuali emergenti dal raffronto fra il primo comma dell’art. 347 c.p.c. ed il primo comma dell’art. 348 c.p.c.: mentre nella prima norma il legislatore ha infatti disciplinato il “quando” ed il “come” della costituzione dell’appellante, con espressa allusione alle forme ed ai termini, nella seconda il legislatore, nel prevedere la sanzione dell’improcedibilità, l’ha riferita alla mancata costituzione “nei termini”.
In tal modo, ha chiaramente previsto tale conseguenza solo in caso di mancato compimento dell’attività di costituzione sotto il profilo temporale e non anche per il compimento di tale attività nel rispetto di tale profilo, ma senza l’osservanza delle forme emergenti dalla normativa oggetto del rinvio disposto dal primo comma dell’art. 347 c.p.c.
Il principio di diritto
Le Sezioni Unite hanno quindi enunciato il seguente principio di diritto:
“l’art. 348, primo comma, c.p.c., quando commina l’improcedibilità dell’appello «se l’appellante non si costituisce nei termini», dev’essere inteso nel senso che tale sanzione riguarda la mancata costituzione nei termini indicati dall’art. 165 c.p.c. oppure una costituzione avvenuta al di là di essi e non invece una costituzione avvenuta nell’osservanza di tali termini, ma senza il rispetto delle forme con cui doveva avvenire ai sensi dello stesso art. 165. Ne deriva che la costituzione dell’appellante nel termine senza il deposito dell’originale della citazione e, come nella specie, con una c.d. velina, non determina di per sé l’improcedibilità dell’appello”.
Ulteriori precisazioni sulle modalità di sanatoria della nullità
Sul punto, la Cassazione ha inoltre evidenziato che dopo una costituzione tempestiva, ma carente sotto il profilo dell’osservanza delle forme, l’appellante può compiere, di sua iniziativa, le attività che servano ad integrarle successivamente (ad esempio mediante attività di deposito ulteriore) fino alla prima udienza di trattazione di cui al secondo comma dell’art. 350 c.p.c. Queste attività realizzano una sanatoria spontanea dei vizi formali, delle nullità, che la sua – pur tempestiva – costituzione presentava.
Infine, le Sezioni Unite hanno ulteriormente precisato che al rilievo della nullità non può seguire un ordine di rinnovazione ai sensi dell’art. 162, primo comma, c.p.c. Infatti, poiché tale norma ammette l’ordine di rinnovo degli atti nulli solo “quando sia possibile”, nel caso di specie la prescrizione che il controllo della regolarità della costituzione debba avvenire all’udienza di cui all’art. 350 c.p.c. e l’esclusione di un potere del giudice di concedere un termine, comportano l’impossibilità anche di un ordine di rinnovazione, perché esso si risolverebbe nella concessione di un termine. Il giudice, nel rilevare il difetto inerente la costituzione, potrà solamente invitare hic et hinde l’appellante, se è in grado di farlo, alla regolarizzazione immediata e l’appellante potrà procedervi nell’udienza stessa.