Con la sentenza n. 8713 del 29 aprile 2015, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito, in tema di separazione, se è possibile l’addebito al coniuge che, scoperta la sua omosessualità, ha abbandonato il domicilio coniugale per l’intollerabilità della convivenza.
Sul punto, si ricorda che l’art. 151 c.c., in materia di separazione giudiziale, dispone che i coniugi possono chiedere la separazione per l’intollerabilità della convivenza, quando cioè “si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto“. Inoltre, il 2° comma chiarisce l’istituto dell’addebito, pronunziabile, ove ne ricorrano le circostanze e sia stato richiesto, in considerazione del comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.
Nel caso di specie, la moglie, in un periodo di crisi personale a seguito della scoperta della sua omosessualità, aveva deciso di lasciare il marito e di allontanarsi dalla famiglia. Nel giudizio di separazione, il Tribunale pronunciava la separazione con addebito alla moglie, per il suo comportamento contrario ai doveri del matrimonio, negandole conseguentemente l’assegno di mantenimento. La Corte d’Appello ribaltava tuttavia la decisione ed escludeva l’addebito della separazione alla donna, giacchè l’abbandono del domicilio coniugale era conseguenza di una personale situazione di oggettiva intollerabilità della convivenza, tale da giustificare la scelta di andarsene, anche in assenza di comportamenti contrari ai doveri matrimoniali da parte del marito. Avverso tale decisione, ricorreva in Cassazione il marito.
La Suprema Corte ha in primo luogo rilevato che i fatti che rendono intollerabile la convivenza non devono essere valutati esclusivamente da un punto di vista oggettivo, ma occorre sempre tenere in considerazioni tutti gli “elementi di carattere soggettivo”: il concetto di intollerabilità “può infatti variare ed essere percepito diversamente da ogni individuo in relazione alla formazione culturale, alla sensibilità e al contesto della vita coniugale” (v. Cass. n. 3356/2007). In siffatte circostanze, il giudice dovrà dunque tenere in debita considerazione soprattutto l’elemento della “disaffezione e distacco spirituale” da parte anche di uno solo dei coniugi.
Orbene, se, come afferma la Corte di legittimità, si considera il rapporto coniugale come “incoercibile e collegato al perdurante consenso di ciascun coniuge”, in presenza di una situazione d’intollerabilità potrà certamente essere richiesta la separazione, con la conseguenza che la relativa domanda, costituendo esercizio di un diritto, non può essere ragione di addebito. Tornando al caso in esame, l’asserita omosessualità della moglie non cambierebbe la prospettiva descritta: anzi, secondo la Suprema Corte, non farebbe che rendere ancora più evidente l’intollerabilità della convivenza matrimoniale e la conseguente comprensibilità dell’abbandono del tetto coniugale, senza rischio di addebito della separazione.
Di conseguenza, la Cassazione rigettava il ricorso del marito, confermando quanto statuito dalla Corte d’Appello.
(Corte di Cassazione, I sezione civile, Sentenza n. 8713 del 29 aprile 2015)