Risoluzione del preliminare e diritto alla corresponsione dei frutti percepiti

In caso di risoluzione del preliminare, le parti hanno l’obbligo di ripristinare la situazione pregressa.

Ciascun contraente dovrà dunque restituire le prestazioni prive di causa e i frutti nel frattempo percepiti, secondo quanto disposto dall’art. 2033 c.c.

Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 24325 del 16 ottobre 2017.

La vicenda processuale di primo e secondo grado

L’ordinanza in esame trae origine da una controversia sorta a seguito della stipula di un contratto preliminare di compravendita di un immobile.

Il promissario acquirente agiva in giudizio domandando la risoluzione del contratto preliminare, con conseguente pagamento del doppio della caparra versata, per inadempimento dei promittenti venditori che, non avendo provveduto alla regolarizzazione amministrativa dell’immobile oggetto di compravendita, avevano impedito la stipula del definitivo.

I promittenti alienanti resistevano richiedendo al contrario la risoluzione del preliminare, con contestuale incameramento della caparra iniziale, per inadempimento del promissario acquirente, per aver questi realizzato opere edilizie abusive nel bene di cui aveva ottenuto il possesso anticipato.

I convenuti domandavano altresì il rilascio dell’immobile, la rimozione delle opere abusive oltre che il risarcimento del danno per mancato utilizzo del bene.

Il Tribunale di Latina dichiarava la risoluzione del preliminare per causa imputabile al promissario acquirente, ritenendo più grave l’inadempimento di quest’ultimo per avere realizzato sull’immobile delle opere edilizie mai autorizzate dagli effettivi proprietari dello stesso.

La Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, pronunciava la risoluzione del contratto preliminare di compravendita per inadempimento dei promittenti venditori, per essere rimasti inerti all’obbligo di porre in regola l’immobile, nonostante le sollecitazioni del promissario acquirente.

Il Giudice di secondo grado condannava tuttavia il promissario acquirente al pagamento, a favore dei promittenti alienanti, di un importo pari al canone di locazione relativamente al periodo di detenzione dell’immobile.

Avverso tale decisione il promissario acquirente proponeva ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo mentre i promittenti venditori resistevano con controricorso.

La decisione della Corte di Cassazione

Il promissario acquirente sosteneva l’errato riconoscimento, ad opera del Giudice del merito, di una somma corrispondente al canone di locazione, riferita al periodo di detenzione del bene e da versare a favore dei promittenti venditori.

Ciò in quanto non sussisteva alcun valido titolo, a giustificazione del pagamento di tale somma, né i promittenti venditori avevano provato di aver subito un pregiudizio.

Sul punto la Cassazione ha preliminarmente evidenziato che l’art. 1458 c.c. sancisce l’effetto retroattivo della risoluzione del contratto per inadempimento.

Ne consegue l’obbligo, gravante su ciascun contraente, di ripristinare la situazione pregressa con contestuale restituzione delle prestazioni prive di causa e dei frutti nel frattempo percepiti, conformemente a quanto disposto dall’art. 2033 c.c.

Calati tali principi nel caso in esame ne deriva il dovere incombente sul promissario acquirente, non solo di restituire l’immobile, nel cui possesso era stato immesso anticipatamente, ma altresì di corrispondere l’equivalente monetario dell’avvenuto godimento del bene per il periodo di sua effettiva detenzione.

Si tratta di una tutela accordata al proprietario del bene per non aver conseguito i frutti che gli sarebbero derivati nel caso in cui avesse, al contrario, concesso in godimento il bene dietro corrispettivo.

Un’utilità quest’ultima corrispondente proprio alla previsione di un canone locatizio.

E’ importante ricordare come tale forma di tutela prescinda dai profili di responsabilità del singolo contraente a cui viene imputata la risoluzione del contratto per inadempimento con contestuale richiesta risarcitoria.

Alla luce del percorso logico-argomentativo sopraesposto la Corte di Cassazione rigettava pertanto il ricorso principale.

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