La rinuncia preventiva alla compensazione: dubbi di legittimità

Nel presente documento ci si chiede se la rinuncia preventiva alla compensazione, di cui all’art. 1246 n. 4) c.c., possa effettivamente considerarsi legittima, in quanto con essa il debitore si pone in una condizione di inferiorità negoziale rispetto al creditore, dovendo ancora ottenere da quest’ultimo l’adempimento della prestazione prevista da un differente rapporto contrattuale intercorso tra i due.

Siffatta rinuncia, se da un lato può apparire pienamente legittima alla luce degli artt. 1462, 1242 comma 1 e 1272 ultimo comma c.c., dall’altro lato si presta ad essere qualificata come illegittima in virtù degli artt. 1448 e 2937 comma 2 c.c. . 

Ai sensi dell’art. 1246 n. 4) c.c., è ammessa la rinuncia preventiva alla compensazione: Tizio e Caio hanno sottoscritto un contratto di locazione in cui il primo è il locatore ed il secondo è il conduttore; Tizio deve ancora ricevere da Caio il pagamento di alcuni canoni. Tizio e Caio, adesso, stipulano un contratto di compravendita, nel quale Tizio (venditore) si impegna fin d’ora a trasferire a Caio la proprietà del bene anche se deve ancora avere da Caio il pagamento dei canoni di locazione, e quindi anche se, avvalendosi dell’eccezione di compensazione, potrebbe rifiutare di eseguire il trasferimento fino a quando non gli vengano corrisposti i suddetti canoni.

Tale assunzione di impegno costituisce, pertanto, una rinuncia ad eccepire la compensazione.

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Argomenti a favore della legittimità della rinuncia alla compensazione

 L’art. 1462 c.c. stabilisce quanto segue: “la clausola con cui si stabilisce che una delle parti non può opporre eccezioni al fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta, non ha effetto per le eccezioni di nullità, di annullabilità e di rescissione del contratto”. La limitazione alla facoltà di una delle parti di opporre eccezioni all’altra, non è ammessa per le eccezioni di nullità, annullabilità e rescissione, nel senso che tali eccezioni, nonostante qualsivoglia rinuncia ad opera della parte, devono sempre poter essere opposte e quindi una siffatta rinuncia sarebbe illecita.

Ebbene, tra tali eccezioni non rientra quella relativa alla compensazione, segno che la clausola con cui la parte rinuncia preventivamente a far valere quest’ultima deve considerarsi come pienamente valida ed efficace.

Un altro elemento che sembra deporre a favore della legittimità della rinuncia preventiva alla compensazione, è dato dal fatto che quest’ultima non è rilevabile di ufficio dal Giudice (art. 1242 comma 1 c.c.). Se un’eccezione non può essere rilevata dal Giudice, ciò evidentemente significa che la decisione in merito alla opponibilità o meno della medesima spetta esclusivamente alla parte legittimata a farla valere.

Normalmente, la rilevabilità di ufficio sussiste per quei diritti che l’ordinamento considera quali “irrinunciabili” ad opera della parte. Nel caso della compensazione, invece, tale meccanismo non è previsto, e quindi ciò induce a ritenere che quest’ultima sia pienamente rinunciabile.

Inoltre, finora, abbiamo parlato della rinuncia alla compensazione, e quindi il fatto che il debitore possa scegliere di adempiere alla prestazione senza chiedere al creditore che questi a sua volta adempia alla prestazione oggetto di un distinto rapporto negoziale.

Ebbene, vi è un caso in cui il debitore non può fare questa “scelta”, essendo egli obbligato per legge ad adempiere senza poter opporre la compensazione.

Si tratta dell’art. 1272 ultimo comma c.c., a norma del quale l’espromittente non può opporre al creditore la compensazione che avrebbe potuto opporre il debitore originario, quantunque si sia verificata prima dell’espromissione. Espromittente è colui che, senza essere stato delegato dal debitore, si assume l’impegno di adempiere verso il creditore.

Ed allora il discorso potrebbe essere questo: che l’espromittente – ossia un soggetto che, esclusivamente per una sua libera decisione, ha assunto su di sé il debito – non possa “scegliere” se rinunciare o meno alla compensazione, appare giustificato dal fatto che egli ha deciso, in maniera del tutto autonoma, a prescindere da una norma di legge, di pagare al posto del debitore (espromesso), nonostante che questo avesse a sua volta verso il creditore un credito nascente da un distinto rapporto contrattuale.

Ma, quando è il debitore personalmente ad adempiere, questa “libertà di scelta” dovrebbe comunque rimanere ben salda in capo a quest’ultimo, il quale quindi, come è legittimato ad opporre la compensazione, così dovrebbe considerarsi legittimato a rinunciarvi, ragion per cui la rinuncia preventiva di cui all’art. 1246 n. 4) c.c. appare pienamente legittima.

Argomenti a favore della illegittimità della rinuncia alla compensazione

Tizio, rinunciando preventivamente ad eccepire a Caio il controcredito derivante dal mancato pagamento dei canoni, accetta di adempiere pur essendo a sua volta creditore di Caio stesso, con la conseguenza che quest’ultimo si trova a beneficiare della prestazione senza adempiere ancora a quella a proprio carico (e,tra l’altro, non è neanche certo che adempirà). Tizio, quindi, poiché sceglie di rimanere debitore (vedi obbligo del trasferimento della proprietà del bene) pur avendo diritto ad ottenere un qualcosa dal creditore (vedi diritto ai canoni di locazione), si viene a trovare, quanto meno al momento, in una situazione di squilibrio negoziale: è vero che egli incasserà da Caio il corrispettivo della compravendita, ma resta il fatto che Caio ancora gli deve pagare i canoni.

Tale sproporzione negoziale richiama quella che, ai sensi dell’art. 1448 c.c., costituisce solitamente il presupposto per chiedere la rescissione del contratto.

Pertanto, lo squilibrio negoziale, da un lato è ammesso dall’ordinamento sotto forma di rinuncia all’eccezione di compensazione, ma, dall’altro, legittima il debitore (che, in tal caso, sarebbe Tizio) a domandare la rescissione del contratto, vizio di rescissione che – si badi bene – non può essere oggetto di convalida ad opera del debitore stesso (art. 1451 c.c.).

Può essere individuata una qualche differenza tra le due ipotesi?

Nella rescissione, la sproporzione notevole tra le prestazioni è dipesa “dallo stato di bisogno di una parte, del quale l’altra ha approfittato per trarne vantaggio” (art. 1448 c.c.); allo stesso modo, nella rinuncia alla compensazione, Tizio ha “bisogno” di vendere a Caio la proprietà del bene, nel senso che tale interesse evidentemente prevale sulla volontà di Tizio stesso di ricevere da Caio i canoni del contratto di locazione, e naturalmente Caio, da tale rinuncia (che è un atto di libera ed autonoma volontà negoziale), trae vantaggio in quanto ottiene il trasferimento di un bene da chi è ancora suo creditore per un precedente e distinto rapporto contrattuale.

Quindi, tra le due ipotesi, non sembra poi esserci molta differenza, né per quanto riguarda la sproporzione né per ciò che riguarda lo stato di bisogno.

Si potrebbe obiettare che l’art. 1448 c.c., nel disciplinare la rescissione, parla di “sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra”, laddove tali prestazioni afferiscono ad un medesimo contratto, mentre invece, nel caso di rinuncia alla compensazione, la sproporzione riguarda due contratti distinti (locazione e vendita). Pertanto, si potrebbe ritenere che la rinuncia alla compensazione sia pienamente lecita, e ciò in quanto il principio della parità tra le parti deve essere rispettato solo quando ci si trova all’interno di un unico e medesimo rapporto negoziale, e non anche quando tra le medesime intercorrono rapporti contrattuali differenti.

Tuttavia, a tale obiezione si può replicare che vi è un caso in cui due distinti e separati rapporti contrattuali tra le medesime parti si condizionano reciprocamente, nonostante la loro ontologica diversità: si tratta della “novazione”. Quest’ultima, ai sensi dell’art. 1230 c.c., si ha “quando le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso”.

Ebbene, ai sensi dell’art. 1234 c.c., se l’obbligazione precedente derivava da un titolo annullabile, la nuova obbligazione nascente dalla suddetta sostituzione è valida solo “se il debitore ha assunto validamente il nuovo debito conoscendo il vizio del titolo originario”. La validità della nuova obbligazione (p. es. vendita) è subordinata alla conoscenza, da parte del medesimo debitore, del vizio di annullabilità della precedente obbligazione (p. es. locazione); in mancanza di tale conoscenza, la nuova obbligazione non è valida.

Questo è un caso, chiaro, in cui le vicende relative ad un pregresso rapporto negoziale condizionano la validità del nuovo rapporto instaurato tra le stesse parti. E quindi ciò cosa vuol dire? Che il principio della parità tra le parti va rispettato anche quando tra le medesime intercorrono rapporti contrattuali differenti, e che pertanto la rinuncia alla compensazione costituisce una deroga – ingiustificata – a tale principio.

Per sostenere la liceità della rinuncia alla compensazione, si potrebbe affermare che tale rinuncia può essere letta anche come rinuncia ad eccepire l’inadempimento, da parte del creditore (compratore), ad un’altra obbligazione su di questo incombente (pagamento canoni di locazione). L’eccezione di inadempimento, pienamente lecita, è disciplinata dall’art. 1460 c.c., che così dispone: “nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria”. La parte “può” rinunciare ad eccepire l’inadempimento della controparte (la norma non prevede un obbligo), e quindi essa può rinunciare anche ad opporre la compensazione.

Tuttavia, la norma fa riferimento a prestazioni oggetto di un medesimo contratto, e non a prestazioni relative ad un pregresso contratto tra le stesse parti. Pertanto, dire che la rinuncia all’eccezione di compensazione equivale ad una rinuncia all’eccezione di inadempimento, significa andare oltre la formulazione letterale dell’art. 1460 c.c. .

Di conseguenza, permangono i dubbi in merito alla liceità della rinuncia all’eccezione di compensazione, prevista dall’art. 1246 n. 4 c.c., in quanto tale rinuncia determina inevitabilmente, nei riguardi del debitore, una condizione di squilibrio negoziale, che dall’ordinamento viene invece qualificata come presupposto per chiedere la rescissione del contratto (art. 1448 c.c.)., laddove il vizio di rescissione non è convalidabile (art. 1451 c.c.).

E questi dubbi permangono anche considerando il seguente aspetto.

Mentre è valida la rinuncia preventiva alla compensazione, non è invece valida la rinuncia preventiva alla prescrizione: infatti, ai sensi dell’art. 2937 comma 2 c.c., “si può rinunziare alla prescrizione solo quando questa è compiuta”.

Mettiamo a confronto le due fattispecie.

Tizio, venditore, rinunciando preventivamente ad eccepire la compensazione e cioè a far valere nei confronti di Caio un controcredito (vedi diritto al pagamento dei canoni) nascente da un distinto rapporto di locazione, accetta perciò stesso di eseguire in favore di Caio la prestazione oggetto del contratto di vendita (trasferimento della proprietà del bene) anche se deve ancora ricevere da Caio stesso un’altra prestazione (per l’appunto, i canoni), e quindi egli accetta di trovarsi, almeno per il momento, in una situazione di squilibrio negoziale, derivante dal fatto di rimanere debitore di Caio nonostante egli vanti comunque a sua volta un credito verso quest’ultimo. Ebbene, tale rinuncia è pienamente valida ed efficace (art. 1246 n. 4 c.c.).

Tizio venditore non può, invece, rinunciare preventivamente, ossia fin dalla stipula del contratto, a far valere, nei riguardi del compratore Caio, l’eventuale prescrizione in cui quest’ultimo dovesse incorrere nel momento in cui farà valere il proprio diritto al trasferimento del bene. Tizio non può concedere a Caio di poter esigere la prestazione anche quando il diritto corrispondente a questa sarà caduto in prescrizione.

Come si spiega questa differenza di disciplina tra le due fattispecie?

Il divieto di rinuncia preventiva alla prescrizione risponde all’esigenza di tutelare il debitore dal rischio di rimanere sottoposto a tempo indeterminato alla richiesta di prestazione da parte del creditore, nonché a quella di salvaguardare la libertà del debitore stesso di contrarre con terzi. 

Ma – è questo il punto – la finalità del divieto di rinuncia alla prescrizione è anche quella di responsabilizzare il creditore ad esigere la prestazione entro il termine stabilito dalla legge: quest’ultimo, infatti, se il debitore rinunciasse fin dal principio alla prescrizione, si sentirebbe legittimato a richiedere la prestazione per un tempo indeterminato, e ciò sicuramente entrerebbe in contrasto con il principio generale in base al quale chi è creditore ha il dovere di attivarsi per la tutela dei propri interessi: si pensi all’istituto della “mora credendi”, ossia, appunto, del ritardo nel richiedere la prestazione, il quale comporta il prodursi, nei confronti del creditore, di una serie di limitazioni all’esercizio dei propri diritti (art. 1206 c.c.); oppure alla diminuzione del diritto al risarcimento del danno nel caso in cui il creditore abbia subìto dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza (art. 1227 c.c.).

La finalità del divieto di rinuncia alla compensazione – nel caso in cui questo fosse previsto per legge – sarebbe la medesima: quella di responsabilizzare il creditore ad esigere la prestazione, anche in questo caso prima che scada il termine perché ogni prestazione ha naturalmente una scadenza: nel nostro caso, anche il diritto di Tizio di percepire il canone di locazione è soggetto a scadenza.

Quindi, a questo punto, non si comprende perché sia vietata la rinuncia preventiva alla prescrizione, e non sia invece vietata la rinuncia preventiva alla compensazione.

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