La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale secondo cui è legittimo il diritto al rimborso delle spese mediche, nell’urgenza e impossibilità di ottenere il medesimo trattamento presso centri italiani.
Il caso
Propone ricorso per cassazione la A.S.L. Umbria n. 2 deducendo la violazione dell’art. 3, comma 5, legge 23 ottobre 1985, n. 595 e degli artt. 2 e 4 d.m. sanità 3 novembre 1989, per aver la Corte di merito accolto la domanda di un paziente per il rimborso delle spese sanitarie sostenute presso il centro austriaco Anna Dengel Haus di Zierl. In particolare, la A.S.L. deduce l’insussistenza del diritto al rimborso del paziente, in quanto non risulta dimostrata l’eccezionale gravità ed urgenza delle cure in un Paese estero. Secondo la ricorrente, infatti, non sarebbe stato compiuto l’accertamento in ordine alla fruibilità, presso strutture sanitari nazionali, di terapie adeguate alla patologia in questione.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, riconoscendo il diritto all’assistenza sanitaria indiretta anche in mancanza di preventiva autorizzazione amministrativa, nell’ipotesi in cui sia accertata la necessità e l’urgenza dell’intervento.
L’assistenza sanitaria transfrontaliera
Il cittadino italiano che necessiti di prestazioni sanitarie che non possono essere garantite nel Paese di provenienza, può decidere di recarsi all’estero. Sussistendone le condizioni, i costi per tali cure sono sostenuti dal Servizio Sanitario Nazionale. Le spese sanitarie, peraltro, possono essere coperte non solo qualora il cittadino italiano si reca in uno dei Paesi membri dell’Unione Europea (2011/24/UE), bensì anche qualora decida di recarsi in un Paese extra UE. In quest’ultimo caso, tuttavia, tra il Paese in questione e l’Italia deve essere stato precedentemente stipulato un accordo internazionale. Per tutti gli altri Paesi, con i quali l’Italia non ha stipulato accordi specifici in materia sanitaria, è possibile ottenere il rimborso delle spese sanitarie solo seguendo una particolare procedura da attivare presso il Ministero della Salute tramite l’ambasciata o il consolato territorialmente competente, entro tre mesi dalla data di effettuazione dell’ultima spesa correlata ad un singolo evento morboso.
Ai sensi della legge n. 595 del 23 ottobre 1985, l’assistenza sanitaria all’estero deve avvenire in forma diretta attraverso le strutture pubbliche o convenzionate. Nel caso in cui, tuttavia, tali strutture non siano in grado di garantire un’assistenza sanitaria diretta, le prestazioni possono essere erogate anche in forma indiretta (cfr. art. 3 co. 1 e 2).
Per accedere all’assistenza diretta il cittadino deve ottenere, anzitutto, un’autorizzazione da parte della propria A.S.L. di residenza, documento attestante la necessità di farsi curare all’estero. Il cittadino italiano non dovrà sostenere alcuna spesa sanitaria – eventualmente solo il corrispettivo del ticket previsto dal servizio sanitario locale – e gli enti interessati gestiranno tra di loro le procedure di rimborso.
Al contrario, ai sensi del d.m. del 3 Novembre 1989, l’assistenza sanitaria è fornita in forma indiretta, ossia rimborsata in un secondo momento, nel caso in cui un cittadino italiano volesse rivolgersi a un Paese estero per avere “cure di altissima specializzazione non ottenibili in Italia in strutture pubbliche o private accreditate, in maniera tempestiva o in forma adeguata al caso specifico”. Anche in questo caso, sarà necessario ottenere l’autorizzazione dell’A.S.L., che darà parere favorevole solo qualora la prestazione sia riconducibile alle aree di attività dei LEA (livelli essenziali di assistenza). Il servizio sanitario nazionale è tenuto a coprire soltanto i costi per le cure mediche ricevute in quel paese dell’Unione Europea, fra cui tipicamente l’assistenza ospedaliera, il trattamento medico, il ricovero e i pasti in ospedale.
La decisione della Corte di Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, è possibile comprendere la decisione della Suprema Corte di riconoscere il diritto al rimborso delle spese sostenute dal paziente. Nel caso di specie, peraltro, ribadisce che, anche qualora manchi una preventiva autorizzazione amministrativa da parte della A.S.L., tale circostanza non infici sul diritto di ottenere il rimborso delle spese sostenute, sempreché il giudice del merito accerti che le prestazioni sanitarie siano avvenute in stato di necessità.
Ed è proprio in merito alla questione di tale necessità che si sofferma successivamente la Corte, verificando nel caso concreto la ricorrenza dei requisiti di cui al d.m. 3 novembre 1989, art. 2. Secondo i giudici di legittimità, infatti, trattasi di una necessità di “prestazione non ottenibile tempestivamente in Italia”, se non addirittura “non ottenibili affatto in Italia”. È tale necessità che permette al cittadino di rivolgersi a strutture sanitarie estere, al fine di sopperire alle disfunzioni organizzative e strutturali del SSN.
La Suprema Corte ritiene inconfutabile il ragionamento giuridico della Corte di merito, la quale ha evidenziato che il trattamento riabilitativo ricevuto presso il centro austriaco non era praticato in nessuna struttura sanitaria italiana e ha rimarcato l’adeguatezza del predetto trattamento rispetto alla irreversibile patologia neurologica del paziente, ribadendo così la specificità del trattamento erogato presso la struttura straniera per il caso clinico di specie, non usufruibile in alcun centro nazionale perché non praticato in nessuna struttura sanitaria italiana.
La Suprema Corte riconferma gli arresti giurisprudenziali di legittimità (cfr. Cass. nn. 17309/2016, 27448/2013, 9969/2012, 26609/2011, 12918/2011), evidenziando che il trattamento riabilitativo svolto nel centro austriaco non era praticato in alcuna struttura sanitaria italiana e che neanche nelle unità spinali il paziente avrebbe potuto ottenere le stesse prestazioni.