Che accade se a seguito dell’interruzione, il processo viene riassunto soltanto mediante deposito in cancelleria, senza che venga effettuata la notifica dell’atto di riassunzione alla controparte?
In altre parole, in tema di riassunzione del processo interrotto, quali sono le conseguenze della mancata rinnovazione della vocatio in ius entro il termine perentorio previsto dall’art. 305 c.p.c., a fronte della tempestiva rinnovazione dell’edictio actionis?
Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 7661 del 15 aprile 2015.
La mancata riassunzione nel termine previsto dall’art. 305 cpc
L’art. 305 c.p.c. afferma che, nel caso in cui il processo sia stato interrotto per una delle cause previste dagli artt. 299 ss. c.p.c., “deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre mesi dall’interruzione, altrimenti si estingue“.
Su tale disposizione, oggetto di numerosi contrasti giurisprudenziali, si erano già recentemente pronunciate le Sezioni Unite che, con la sentenza n. 14854 del 2006, avevano affermato il principio secondo il quale, verificatasi una causa d’interruzione del processo, “il termine perentorio di tre mesi [già sei mesi] previsto dall’art. 305 c.p.c. per la riassunzione, è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicchè, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo“.
Di conseguenza, alla luce di tale principio, l’eventuale vizio della notifica dell’atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza non si comunica alla riassunzione oramai perfezionatasi.
La decisione delle Sezioni Unite affrontava tuttavia il solo profilo della nullità della vocatio in ius, senza alcun riferimento all’eventuale caso di mancanza totale della stessa, ferma restando l’avvenuta edictio actionis mediante deposito dell’atto di riassunzione.
Con la sentenza in esame, la Cassazione ha dunque dovuto rispondere al quesito se suddetto principio sia applicabile o meno anche nel caso in cui sia stato rispettato solo il termine per la rinnovata edictio actionis e non si sia proprio provveduto in nessun modo alla prevista vocatio in ius.
La riassunzione del processo interrotto senza rinnovazione della vocatio in ius
Come noto, l’art. 291 c.p.c. prevede che la nullità della notificazione è sanata con efficacia ex tunc dalla rinnovazione dell’atto o dalla costituzione tardiva del convenuto ex art. 293 del c.p.c.
Sul punto, si ritiene che la sanatoria ex art. 291 c.p.c. debba essere esclusa in tutti i casi in cui prevaleva l’esigenza di tutela dell’aspettativa della controparte al consolidamento, entro un tempo definito e breve, di un provvedimento giudiziario già emesso.
È il caso dell’impugnazione nel processo del lavoro o dell’opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di lavoro (cfr. Sez. Un. n. 5700 del 2014).
Al contrario, la giurisprudenza di legittimità ha ammesso la sanatoria tutte le volte in cui tale esigenza di tutela non fosse stata riscontrata o fosse più debole.
Ciò chiarito, con riferimento al termine perentorio ex art. 305 c.p.c., la Suprema Corte ha ritenuto che si riferisca solo alla rinnovazione della edictio actionis mediante il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, e non anche alla mancanza della vocatio in ius, oltre che – come già ritenuto dalle Sezioni Unite n. 14854 del 2006 – per il caso di nullità della vocatio in ius.
Se è vero, infatti, che la pronta notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza sarebbe utile e funzionale alla accelerazione del processo a garanzia del raggiungimento dell’obiettivo della ragionevole durata, “non può negarsi che, una volta rispettato il termine per dare impulso alla riattivazione del processo, il mancato compimento – oltre che l’esistenza di un vizio – dell’ulteriore attività richiesta per via della doppia fase prevista dalla procedura, si tradurrebbe in una esasperazione del principio della ragionevole durata ed in una non giustificata compressione del diritto ad un processo nel merito, in danno di chi tale attività di impulso necessario ha compiuto“.
Il principio di diritto
Alla luce di quanto rilevato, la Cassazione ha pertanto affermato il seguente principio di diritto:
“In sede di riassunzione del processo a seguito di interruzione, il termine perentorio di tre mesi [già sei mesi], previsto dall’art. 305 c.p.c., è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, e il giudice che rilevi l’omessa notifica, o un vizio comportante inesistenza della notifica, dell’atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza (oltre che un vizio da cui sia colpita la notifica dell’atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza), deve ordinarne l’effettuazione (o la rinnovazione), in applicazione analogica dell’art. 291 c.p.c., entro un termine necessariamente perentorio, solo il mancato rispetto del quale determinerà l’estinzione del giudizio, per il combinato disposto dello stesso art. 291, u.c., e del successivo art. 307, comma 3″.