Revoca delle donazioni con dispensa dall’imputazione

Con  sentenza n. 3352 del 2024, la Corte di Cassazione ha chiarito degli aspetti riguardanti  la revoca delle disposizioni testamentarie precedenti. In particolare, la Corte ha affermato che la revoca di un testamento precedente deve essere espressa, anche se le disposizioni del testamento successivo sono compatibili con quelle del precedente.

Corte di Cassazione- sez. II civ. – sent. n. 3352 dell’06-02-2024

La questione

Il Tribunale di Napoli aveva deciso sulla divisione dell’eredità genitoriale dopo le richieste  di  riduzione delle donazioni e di collazione fatte dal figlio e  dagli altri coeredi.
Il figlio aveva presentato appello, lamentando che la sua quota era stata calcolata erroneamente, sia per la mancata attribuzione della  quota disponibile, sia per errori di calcolo da parte del consulente d’ufficio. Egli aveva sostenuto che gli spettava parte della quota disponibile del lastrico solare ricevuto tramite donazione nel 1965, con dispensa dall’onere di imputazione. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 80 del 2018, aveva accolto parzialmente l’appello solo sulla quantificazione dei conguagli, correggendone l’errore. Tuttavia, aveva confermato che la donazione del 1965 era stata effettuata a titolo di disponibile sulle future donazioni e che i genitori, con i testamenti degli anni successivi, avevano destinato l’intera quota disponibile alla figlia. Secondo il giudice di secondo grado, la chiara volontà dei genitori, espressa in un atto pubblico, di destinare parte della loro quota legittima al figlio era stata confermata dai successivi testamenti che avevano annullato le disposizioni incompatibili. Per questi motivi era stato proposto ricorso per cassazione.

I motivi di ricorso 

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 769 e 682 c.c., evidenziando che la sentenza ha errato laddove ha dichiarato che la donazione in suo favore era stata fatta in conto di legittima, in quanto la donazione era stata fatta in conto di disponibile con espressa dispensa dall’imputazione. Il ricorrente lamenta che la sentenza abbia dichiarato trattarsi di manifestazione della volontà dei donanti di disporre della quota di legittima per il tempo successivo alla loro morte, poiché la donazione ai sensi dell’art. 769 c.c. è un contratto tra vivi soggetto a revoca solo nei casi previsti dalla legge, e quindi a essa inapplicabile la disposizione dell’art. 682 c.c. relativo al testamento successivo.
Con il secondo motivo, il ricorrente chiede che, in caso di esito favorevole del giudizio, l’applicazione del principio generale secondo il quale le spese occorrenti allo scioglimento della comunione sono poste a carico della massa ereditaria in quanto eseguite nel comune interesse dei coeredi.
In via preliminare, i giudici ritengono necessario analizzare l’eccezione sollevata dal controricorrente. Lo stesso, infatti, sostiene che la Corte d’Appello ha commesso un errore nel non esaminare il merito del motivo d’appello principale presentato dal ricorrente. Questo motivo riguardava la richiesta secondo cui la donazione a favore del ricorrente doveva considerarsi come parte della quota disponibile, con esonero dall’imputazione. Il controricorrente argomenta che questa richiesta costituiva effettivamente una domanda ricovenzionale diretta a ottenere una porzione della quota disponibile, e poiché è stata presentata per la prima volta in appello, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per tardività. Tuttavia, l’eccezione è stata dichiarata inammissibile perché, non essendo stato presentato alcun motivo di ricorso incidentale, la questione sull’ammissibilità dell’appello è rimasta coperta dal giudicato implicito.
In base a  quanto stabilito da Cass. Sezione 3, sentenza n. 6762 del 2021, la decisione d’ufficio del giudice di primo grado su una questione procedurale soggetta a un termine di decadenza o a una specifica azione deve avvenire nel grado di giudizio in cui viene sollevata. Se il giudice di primo grado ha deciso sulla controversia nel merito senza affrontare la questione procedurale d’ufficio, viene precluso il potere di esaminare tale questione d’ufficio per la prima volta, sia al giudice d’appello che a quello di cassazione, a meno che la questione non sia stata impugnata e successivamente riproposta in modo formale.
Secondo un diverso orientamento espresso dalla Cass. Sezione 2, sentenza n. 7941 del 2020, quando una decisione di primo grado rigetta una domanda riconvenzionale senza esprimere esplicitamente un’opinione sull’ammissibilità di tale domanda, ciò non implica automaticamente un giudizio implicito sull’ammissibilità stessa. Pertanto, il giudice di secondo grado conserva il potere e il dovere di esaminare d’ufficio l’inammissibilità di quella domanda, anche in assenza di un appello incidentale su tale punto. Omettere questo rilievo può essere soggetto a critica in cassazione come errore di procedura.  entrambi i punti di vista concordano sul fatto che la questione processuale non affrontata dal giudice d’appello può essere portata in cassazione solo attraverso un motivo di ricorso specifico che denunci l’errore procedurale.

Le argomentazioni della Corte di Cassazione

Il primo motivo di ricorso è valido. In primo luogo, è evidente che la sentenza ha commesso un errore materiale dichiarando che i donanti, con la donazione, intendevano disporre di parte della quota legittima. Tuttavia, la stessa sentenza, in tutti gli altri punti, ha confermato che con la donazione del 1965 i genitori hanno trasferito il lastrico solare dell’immobile al figlio come parte della quota disponibile, accogliendo così l’argomentazione del ricorrente che la donazione era stata effettuata a titolo di disponibile con esonero dall’imputazione.
Per i giudici si deve considerare che la donazione in conto disponibile con la dispensa dall’imputazione è un’attribuzione che si aggiunge a quanto spetta al beneficiario a titolo di legittima, per cui l’intento del donante ereditario è quello di conferire al donatario un vantaggio ulteriore, che si concretizza nell’esenzione dall’imputazione; con la dispensa dall’imputazione, disciplinata dall’art. 564 comma 2 c.c., il legittimario trattiene la donazione e in più ha diritto a ottenere la sua quota di legittima intera e non decurtata dalla donazione.
Come indicato in una sentenza della Cassazione del 1971, la dispensa dall’imputazione conferisce al beneficiario un chiaro vantaggio, consentendogli di limitare o addirittura escludere l’effetto delle donazioni fatte a favore di altri legittimari e di mantenere le proprie. Secondo un’analisi accurata della dottrina, la dispensa dall’imputazione comporta un aumento della quota di legittima, poiché permette al beneficiario di trattenere la donazione ricevuta e allo stesso tempo di ottenere l’intera quota di legittima.
Di conseguenza, anziché interpretare la donazione designata come disponibile con dispensa dall’imputazione come un’onere sulla quota disponibile, è più appropriato affermare che tale donazione si aggiunge alla quota di legittima, aumentandone il valore. ciò rende più chiaro come tale disposizione si escluda dall’azione di riduzione
La disposizione con cui il donante regola la donazione in conto disponibile con dispensa dall’imputazione, anche se inclusa nell’atto di donazione stesso, è intrinsecamente destinata a produrre effetti dopo la morte del donante e ha una precisa funzione successoria, come atto di volontà finale, chiaramente diverso dalla donazione, che è tipicamente un negozio inter vivos. In tal senso, è opportuno seguire quanto stabilito dalla Cass. Sezione 2, nella sentenza n. 22097 del 2015, che richiama il pensiero della dottrina prevalente. Tale pronuncia afferma che la dispensa dall’imputazione costituisce un negozio autonomo rispetto alla donazione, con la conseguenza che la dispensa riguardante l’imputazione di una donazione può essere effettuata sia nell’atto di donazione stesso, sia in un successivo testamento o in un altro negozio inter vivos. Dunque, anche se inclusa nell’atto di donazione, la dispensa dall’imputazione mantiene la sua autonomia rispetto alla donazione stessa e ha un impatto solo dopo la morte del donante sul patrimonio dei coeredi; la morte non è solo l’occasione per i suoi effetti, ma è il suo presupposto esclusivo e fondamentale, quindi la dispensa non può essere concepita separatamente dall’eventualità di una futura successione a vantaggio di più coeredi.
Per l’effetto, anche nel caso in cui la dispensa dall’imputazione sia inclusa nell’atto di donazione, essa rimane un atto unilaterale di ultima volontà sempre revocabile, in conformità al principio stabilito dall’articolo 671 c.c. Questo significa che non assume una struttura bilaterale e non può essere risolta solo con il consenso reciproco delle parti.
Inoltre, considerare che l’accettazione della donazione comporti automaticamente anche la dispensa dall’imputazione, rendendola irrevocabile dal donante, solleva la questione se ciò possa configurare un patto successorio istitutivo. Questo perché un accordo tra il futuro de cuius donante e il futuro erede donatario, che comprenda anche la dispensa dall’imputazione resa irrevocabile, violerebbe il divieto stabilito dall’articolo 458 del c.c. dal momento che influenzerebbe la futura successione e la distribuzione delle quote di legittima e disponibile.
Secondo quanto previsto dall’articolo 564 comma 2 del c.c., la dispensa dall’imputazione deve essere chiaramente espressa e la volontà del donante deve emergere inequivocabilmente dal contesto della disposizione.Tuttavia, l’assegnazione della quota disponibile a un erede tramite testamento non entra in conflitto né logicamente né letteralmente con la precedente disposizione di una donazione in conto disponibile con dispensa dall’imputazione a favore di un altro soggetto.
La dispensa rappresenta un beneficio che incrementa la quota di legittima, quindi l’erede designato nel testamento riceve la disponibile, decurtata di tale quota. Inoltre, la Corte d’Appello non ha individuato, né avrebbe potuto data la quantità del patrimonio residuo del donante, alcuna incompatibilità sostanziale tra la dispensa dall’imputazione inclusa nella donazione a favore del figlio e l’assegnazione della disponibile alla figlia tramite i successivi testamenti, che giustifichi l’applicazione dell’articolo 682 c.c.. In pratica, l’incompatibilità non regge, poiché l’assegnazione della disponibile alla figlia tramite i testamenti poteva convivere con la dispensa dall’imputazione a favore del figlio, la quale, essendo di valore notevolmente inferiore rispetto alla disponibile, aveva semplicemente l’effetto di ridurre l’entità della disponibile soggetta alla riduzione testamentaria.

Conclusioni

L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta la cassazione della sentenza  con l’assorbimento del secondo motivo di ricorso. I giudici hanno affermato il seguente principio di diritto: “la disposizione del donante secondo la quale la donazione è eseguita in conto di disponibile con dispensa dall’imputazione, seppure contenuta nella donazione, costituisce negozio di ultima volontà, come tale revocabile dal suo autore. La successiva revoca della dispensa dall’imputazione, così come la dispensa dall’imputazione ex art. 564 c.c. comma 2, deve essere espressa e l’attribuzione per testamento della disponibile ad altro erede non comporta annullamento della precedente dispensa dall’imputazione della donazione ai sensi dell’art. 682 c.c. nel caso in cui le disposizioni siano di fatto compatibili, in quanto il valore della donazione con dispensa dall’imputazione sia inferiore a quello della disponibile“.

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