Rettifica del sesso di persona coniugata: basta divorzio automatico. Resta il matrimonio finchè il legislatore non prevede tutela specifica

Con la sentenza n. 8097 del 21 aprile 2015, la prima sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di unioni omoaffettive, chiarendo cosa accada alle coppie unite in matrimonio qualora uno dei coniugi decida di procedere alla rettificazione del proprio sesso.

Nella specie, i ricorrenti, a seguito della rettificazione di sesso di uno dei coniugi e alla modifica dell’atto di nascita, si erano opposti all’annotazione della stessa a margine dell’atto di matrimonio. Questo perchè, ai sensi degli artt. 2 e 4 della Legge 164/1982, la sentenza di rettificazione e di attribuzione di sesso provocava l’automatica cessazione degli effetti civili del matrimonio (o lo scioglimento del medesimo) senza la necessità di una pronuncia giudiziale. Peraltro, a seguito della notificazione del ricorso per rettificazione di sesso all’altro coniuge, a quest’ultimo non era riconosciuto il diritto di opporsi allo scioglimento del vincolo coniugale in quel giudizio, nè di esercitare siffatto potere in altro giudizio.

La Suprema Corte, investita del ricorso, rimetteva innanzitutto alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale tra i predetti articoli e gli artt. 2, 3, 24 e 29. La Corte, con la pronuncia n. 170/2014, ne aveva così dichiarato l’illegittimità costituzionale laddove non prevedevano che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso che comporta la scioglimento del matrimonio, consenta comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che tuteli adeguatamente i diritti e gli obblighi della coppia medesima.

A seguito di tale pronuncia, le parti riassumevano perciò giudizio dinanzi la Corte di Cassazione chiedendo la cancellazione dell’annotazione sul registro degli atti di matrimonio.

La Corte di legittimità, in attuazione a quanto statuito dalla Corte Costituzionale, ha in primo luogo sostenuto che, a seguito di tale cancellazione, il vincolo esistente deve necessariamente trasformarsi in un’unione registrata. Se, infatti “da un lato vi è un interesse dello Stato a non modificare il modello eterosessuale del matrimonio“, c’è “dall’altro quello della coppia, attraversata da una vicenda di rettificazione di sesso, a che l’esercizio della libertà di scelta compiuta dall’un coniuge con il consenso dell’altro, relativamente ad un tratto così significativo dell’identità personale, non sia eccessivamente penalizzato“.

Infatti, secondo la Suprema Corte, il divorzio automatico, previsto dagli artt. 2 e 4 L. 164/1982, “produce effetti incompatibili con il grado di protezione costituzionale riconosciuto alle unioni omoaffettive“. Tuttavia, nel nostro ordinamento, non esiste ancora una modello di convivenza registrato diverso dal matrimonio per la tutela specifica dei diritti e dei doveri delle coppie omoaffettive, come quella dei ricorrenti.

Per ovviare a tale carenza legislativa ma dare comunque attuazione alla declaratoria di illegittimità costituzionale contenuta nella sentenza n. 170/2014, la Corte di Cassazione ha pertanto deciso di “accogliere il ricorso e conservare alle parti ricorrenti il riconoscimento dei diritti e doveri conseguenti al vincolo matrimoniale legittimamente contratto fino a quando il legislatore non consenta ad esse di mantenere in vita il rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi“. In altre parole, per le coppie in cui uno dei coniugi abbia rettificato il proprio sesso, la Corte di legittimità ha posto la conservazione dei diritti e dei doveri propri del modello matrimoniale alla condizione temporale risolutiva costituita dalla nuova regolamentazione in materia.

(Corte di Cassazione, Prima sezione civile, Sentenza n. 8097 del 21 aprile 2015)

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