Con la sentenza n. n. 6243 del 27 marzo 2015, la Terza Sezione della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di responsabilità del medico affermando il principio di diritto secondo il quale anche la ASL è responsabile civilmente, ai sensi dell’art. 1228 c.c., del fatto illecito che il “medico di fiducia”, con essa convenzionato per l’assistenza medico-generica, abbia commesso in esecuzione della prestazione curativa.
Nel caso di specie due coniugi avevano convenuto in giudizio la ASL ed il medico di base, perché fosse accertata la responsabilità di quest’ultimo (a causa del suo negligente comportamento, consistito nell’esser intervenuto con estremo ritardo nonostante la tempestiva chiamata della moglie dell’attore che presentava sintomi di ischemia cerebrale, e nel prescrivere poi cure del tutto inadeguate) e fossero condannati entrambi i convenuti al risarcimento dei danni patiti dai medesimi attori a seguito della paralisi della parte sinistra del corpo della quale era rimasto affetto il marito, con necessità di assistenza e cure continue.
Il giudizio di primo grado, nel quale l’espletamento di una CTU aveva evidenziato come il tempestivo trattamento farmacologico avrebbe avuto effetti contenitivi del danno alla salute del paziente, si era concluso con la condanna in solido sia del medico che della ASL.
Successivamente, la Corte d’Appello aveva tuttavia escluso la responsabilità ai sensi dell’art. 1228 c.c. della Asl osservando che il Servizio Sanitario Nazionale assume nei confronti dei cittadini obblighi organizzativi, ma non assume “un obbligo diretto avente ad oggetto il contenuto della prestazione professionale“. Sosteneva dunque che non può ritenersi concluso un contratto tra ASL e paziente: quest’ultimo chiederebbe infatti la prestazione al suo medico di base, senza alcun contatto, o diretto rapporto, con la Asl. Nè ravvisava che la responsabilità della ASL convenuta potesse fondarsi sull’art. 2049 cod. civ., in assenza di un rapporto di preposizione tra Azienda sanitaria e medico convenzionato, essendo quest’ultimo “un libero professionista del tutto autonomo, scelto dal paziente in piena libertà“, sul quale la stessa ASL non esercita alcun potere di vigilanza, controllo o direzione.
A tal riguardo, la Corte di legittimità ha innanzitutto chiarito i criteri ed il funzionamento della scelta del medico di base: secondo quanto previsto dalla L. 833/1978 (istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale), la medesima prestazione curativa può essere erogata in favore dell’utente del S.S.N. o tramite personale dipendente del servizio pubblico, oppure attraverso personale convenzionato. Il cittadino, in quanto utente del S.S.N. e come tale iscritto “in appositi elenchi periodicamente aggiornati presso la ASL nel cui territorio lo stesso ha la residenza”, può cioè attivare l’erogazione della prestazione curativa di assistenza medico-generica cui è tenuta la ASL (art. 10), con la libera scelta, nei confronti della medesima ASL, di un “medico di fiducia”, individuato in un determinato contesto territoriale e soltanto tra i medici convenzionati con la ASL competente.
Il diritto soggettivo dell’utente del S.S.N. all’assistenza medico-generica ed alla relativa prestazione curativa, “nasce dunque direttamente dalla legge ed è la legge stessa ad individuare la ASL come soggetto tenuto ad erogarla, avvalendosi di “personale” medico alle proprie dipendenze ovvero in rapporto di convenzionamento”. Di conseguenza il medico convenzionato, scelto dall’utente, è obbligato (e non può rifiutarsi, salvo casi peculiari) a prestare l’assistenza medico-generica, e dunque la prestazione curativa, ma soltanto in forza ed in base al rapporto di convenzionamento, il quale rappresenta altresì la fonte che legittima la sua remunerazione da parte, esclusivamente, della ASL (essendo vietato qualsiasi compenso da parte dell’utente).
Contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito, si configura a carico della ASL una obbligazione ex lege di prestare l’assistenza medicogenerica all’utente del S.S.N., che viene adempiuta anche attraverso l’opera del medico convenzionato. Secondo la Suprema Corte, l’utente del S.S.N. è perciò ““creditore” nei confronti della ASL, che, in quanto soggetto pubblico ex lege tenuto ad erogare detta prestazione curativa (per conto del S.S.N.), assume la veste di “debitore”. In siffatte circostanze il medico generico convenzionato costituirebbe soltanto un “ausiliario della ASL quanto all’adempimento, da parte di quest’ultima, dell’obbligazione ex lege di prestare assistenza medico- generica all’utente iscritto negli elenchi del S.S.N.”.
Ne consegue che “l’obbligo di erogare la prestazione curativa dell’assistenza medico-generica sussiste esclusivamente in capo alla ASL ed essa è resa avvalendosi del medico con essa ASL convenzionato, che assume rilievo in guisa di elemento modale dell’adempimento di detta prestazione di durata, senza che tale fenomeno possa essere intaccato dalla “scelta” dell’utente” dal momento che essa, come già accennato, viene effettuata con l’accordo della ASL (e perciò senza giuridico coinvolgimento del medico prescelto) mediante scelta tra il “personale” del S.S.N. che la stessa ASL ha previamente selezionato, mediante l’accesso al convenzionamento.
In conclusione la Cassazione, decidendo nel merito, ha pertanto ritenuto responsabile civilmente ex art. 1228 c.c. del fatto illecito commesso dal medico di fiducia convenzionato anche la ASL, condannandola – in solido al medico convenuto – al risarcimento del danno, così come quantificato nei precedenti gradi di giudizio.
(Cassazione, Terza Sezione Civile, Sentenza n. 6243 del 27 marzo 2015)