Responsabilità dei padroni e dei committenti ex art 2049 cc: può essere responsabile la banca?

in Giuricivile, 2018, 3 (ISSN 2532-201X)

L’art. 2049 c.c. disciplina la responsabilità dei padroni e committenti “per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”.

Sommario: Premessa – 1) Domestici e commessi. Esercizio delle incombenze. – 2) La responsabilità della Banca ex art. 2049 c.c. – 3) Inammissibilità della prova liberatoria. – 4) Risarcimento del danno. Cenni sul danno non patrimoniale.

Tale disposizione ha lo scopo di assicurare al danneggiato una completa riparazione del danno subito, trasferendo la responsabilità al soggetto economicamente più forte, indipendentemente dalla sua colpa.

Ne deriva, quindi, una responsabilità oggettiva per fatto altrui, fondata sul solo rapporto di preposizione, da cui deriva a carico del proponente un obbligo di sorveglianza e controllo sull’attività del preposto.

Interpretazione che trova riscontro anche nella recente giurisprudenza (Cass. n. 12283/2016), secondo la quale ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2049 c.c., è sufficiente che il fatto illecito sia commesso da un soggetto legato da un rapporto di preposizione con il responsabile, ipotesi che ricorre non solo in caso di lavoro subordinato, ma anche quando per volontà di un soggetto (committente) un altro (commesso) esplichi un’attività per suo conto.

1) Domestici e commessi. Esercizio delle incombenze e nesso di “occasionalità necessaria”

La norma è chiara nel riferirsi ai domestici – il cui significato corrisponde a quello filologico del termine – e ai commessi – termine derivante dal latino committere e che sta ad indicare coloro a cui sono affidate le incombenze, in conseguenza di un rapporto di lavoro.

Il fatto illecito, infatti, deve porsi in essere dal dipendente nell’esercizio delle mansioni a lui affidate. In questo senso assume rilevanza il nesso di causalità tra incombenza affidata e danno arrecato, dovendo il preposto compiere il fatto dannoso in adempimento dell’incarico affidato dal proponente.

Più che di nesso di causalità, la giurisprudenza (Cass. n. 6033/2008; Cass. n. 4478/2017), dovendo accertare la responsabilità della banca per il fatto illecito di un suo dipendente, ha evidenziato la necessità di parlare di nesso di occasionalità necessaria: la responsabilità della banca per il fatto illecito di un proprio dipendente richiede l’accertamento del nesso di occasionalità necessaria tra l’esercizio dell’attività lavorativa e il danno, ed è riscontrabile ogni qual volta il fatto lesivo sia stato prodotto o agevolato da un comportamento riconducibile allo svolgimento dell’attività lavorativa, anche se il dipendente abbia agito all’insaputa del datore di lavoro.

Il danno, quindi, deve essere arrecato in occasione di quella attività lavorativa.

2) La responsabilità della Banca ex art 2049 cc

L’accertamento dell’occasionalità necessaria nel caso in cui il committente sia una banca, inoltre, deve avvenire con particolare rigore, in considerazione della delicata attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito che la stessa si trova a svolgere, dei vincoli pubblicistici che ha l’obbligo di rispettare e della particolare intensità dell’affidamento del cliente in ordine alla correttezza e la lealtà dei comportamenti dei preposti alle singole funzioni.

Ancor prima, la Cassazione si era pronunciata (Cass. n. 17836/2007) partendo proprio da tale impostazione e aggiungendo che, in virtù del rapporto di occasionalità necessaria, è irrilevante che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli, od abbia agito con dolo o finalità strettamente personali, bastando il compimento del fatto illecito nelle more dell’incarico dalla banca affidato.

Emerge, dunque, che, affinché sia configurabile tale responsabilità, occorre che l’incombenza abbia agevolato o, quantomeno, reso possibile la commissione dell’illecito, in maniera tale che se al commesso non fossero state affidate quelle mansioni, egli non sarebbe stato in grado di provocare il danno (Cass. n. 789/2012).

Un’altra ipotesi in cui è configurabile una responsabilità della banca ex art. 2049 c.c. nei confronti di terzi, è quella dell’attività illecita posta in essere da un promotore finanziario, allorché, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e dal carattere di continuità dell’incarico affidatogli dall’agente, detta attività sia stata agevolata o resa possibile dal suo inserimento nell’attività di impresa, in maniera tale da far apparire al terzo in buona fede che l’attività posta in essere per la consumazione dell’illecito rientrasse nell’incarico affidato dalla banca mandante (Cass. 8210/2013).

 3) Inammissibilità della prova liberatoria

Il rapporto di preposizione comporta responsabilità rigorosa da parte del padrone o committente per il fatto illecito (sia esso doloso o colposo) del dipendente, secondo il brocardo “cuius commoda, eius et incommoda“, ” a colui che ha vantaggi, spettano anche gli svantaggi”.

Il padrone o committente, infatti, si avvale per l’esercizio del lavoro dell’attività del dipendente. Tale attività può portare benefici e comportare dei rischi, meritando considerazione il rilievo che chi si avvantaggia dell’opera altrui deve soffrirne il pregiudizio nella esecuzione.

Il preponente, quindi, non è ammesso a provare la sua mancanza di colpa o il caso fortuito, né di non aver potuto impedire il fatto, come accade per altre ipotesi speciali di responsabilità.

Sul punto, la giurisprudenza (Cass. Sez. Un. 703/78) ha precisato che la responsabilità per fatto dell’ausiliario di cui all’art. 2049 c.c. deve essere ricercata non tanto nel rapporto contrattuale, quanto piuttosto nel fatto che un soggetto, per la disposizione di altra persona, esplichi attività per conto della seconda e sotto il potere della medesima.

Tale responsabilità ammetterebbe la prova liberatoria, ma soltanto per dimostrare l’inesistenza del rapporto di committenza.

4) Risarcimento del danno. Cenni sul danno non patrimoniale

La banca responsabile del fatto illecito del dipendente ex art. 20149 c.c. è tenuta al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.

Con riferimento al primo, nulla quaestio: la determinazione del danno patrimoniale deve avvenire sulla base della perdita subita e del mancato guadagno (danno emergente e lucro cessante) e, qualora non sia di facile determinazione, sarà il giudice a liquidarlo con valutazione equitativa (art. 1226 c.c.).

La determinazione del danno non patrimoniale, invece, presenta alcune difficoltà.

Innanzitutto, è da ritenersi applicabile l’art. 2056 c.c., che impone nella valutazione dei danni l’applicazione degli artt. 1223, 1226 e 1227 del codice civile, aggiungendo al secondo comma che il lucro cessante deve essere valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso.

La giurisprudenza di merito (App. Lecce Sez. II del 23 gennaio 2017) ha precisato che la liquidazione del danno non patrimoniale, in assenza di criteri stabiliti dalla legge, è rimessa ex art. 1226 c.c. alla valutazione equitativa del giudicante. Orientamento confermato in seguito (App. Roma Sez. III del 10 novembre 2017), con l’aggiunta che il danno morale, non essendo di natura economica ma consistendo in un turbamento psichico, non è suscettibile di valutazione meramente aritmetica, per cui la sua commisurazione in denaro deve necessariamente presupporre un apprezzamento soggettivo, apprezzamento che deve avvenire da parte del giudice.

Ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale, di cui il danneggiato non può offrire prova puntuale, posto che esso non può che essere liquidato con criteri equitativi, vanno richiamati i principi espressi dalla Cassazione in relazione alla modalità di liquidazione (Cass. n. 5243/2014). Valido riferimento per tale liquidazione possono essere le tabelle per la liquidazione del danno biologico del Tribunale di Milano.

Queste, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, sono le più idonee, ai fini della personalizzazione del ristoro, a pervenire alla relativa determinazione in termini maggiormente congrui, sia sul piano dell’effettività, sia sul piano equitativo (Cass. n. 26972/2008).

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