Con l’ordinanza n. 1465 del 19 gennaio 2018 sono state rimesse alle Sezioni Unite della Cassazione alcune rilevanti questioni attinenti alla disciplina dei contratti di assicurazione.
In primo luogo, sarà sottoposta all’attenzione della Suprema Corte un’analisi semantica del vocabolo “sinistro”, apposto nell’art. 1882 c.c. che inquadra in via generale la nozione del contratto di assicurazione. In particolare, l’interrogativo riguarda la possibilità di includere nel significato di “sinistro” anche la mera ricezione di una richiesta di risarcimento avanzata dal danneggiato nei confronti dell’assicurato responsabile.
In secondo piano si dovrà discutere della meritevolezza del patto atipico di esclusione dell’indennizzo (c.d. clausola claim’s made) nell’ipotesi in cui le richieste di risarcimento da parte del terzo provengano all’assicuratore in un tempo successivo alla scadenza del contratto di assicurazione.
Il fatto
In breve, la vicenda in esame attiene ad un accidentale crollo di una gru, di proprietà di una Società di costruzioni, su uno stabile, all’interno del quale era custodita la merce di un’azienda.
A seguito dell’improvviso crollo, la merce andava completamente distrutta e, pertanto, l’azienda danneggiata avanzava una richiesta di risarcimento nei confronti del titolare dello stabile, ove la merce era custodita, nonché nei confronti della società che gestiva il cantiere accanto allo stabile.
A sua volta, la società di costruzioni declinava la propria responsabilità, convenendo in giudizio la società che aveva fabbricato la gru crollata. Quest’ultima, infine, chiedeva di essere manlevata dal proprio assicuratore della responsabilità civile.
In definitiva, dunque, il contratto di assicurazione oggetto dell’analisi della Suprema Corte è quello sottoscritto dalla società fabbricante della gru e del gruppo assicuratore, all’interno del quale, oltre all’apposizione di clausole che escludevano la responsabilità dell’assicuratore per le richieste di risarcimento postume alla scadenza del contratto stesso, le parti convenivano che per “sinistro” poteva intendersi anche la ricezione da parte dell’assicuratore della richiesta di risarcimento proveniente da un terzo.
Il contratto di assicurazione: la nozione di sinistro e l’autonomia negoziale
In termini generali, l’art. 1882 c.c. definisce l’assicurazione un contratto col quale l’assicuratore, verso il pagamento di un corrispettivo, detto premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana.
Dopo aver declinato la generale disciplina di tale contratto, il legislatore distingue l’assicurazione in due tipologie:
- l’assicurazione contro i danni
- l’assicurazione sulla vita.
Nella prima categoria rientra il contratto di assicurazione della responsabilità civile previsto dall’art. 1917 c.c.
Tale fattispecie contrattuale, intesa come sottotipo dell’assicurazione danni e dalla stessa distinta perché la cosa esposta al rischio non è un bene determinato ma il generico patrimonio dell’assicurato, costituisce l’oggetto di analisi della presente pronuncia.
Il contratto di assicurazione, dunque, consta di due elementi fondamentali:
- l’interesse dell’assicurato ad ottenere la dovuta protezione di un proprio bene o del proprio patrimonio,
- e il rischio, astratto, ma effettivamente esistente (art. 1895 c.c.) di verificazione di un evento idoneo a procurare un nocumento all’assicurato.
Il sinistro, pertanto, coincide con tale evento dannoso, il quale deve essere connotato, inevitabilmente, dai caratteri di incertezza, possibilità, indesiderabilità e dannosità e deve presentarsi in termini di netta contrapposizione con l’interesse dell’assicurato: questi non deve volere la verificazione del sinistro.
A tal proposito è d’uopo precisare che il rischio deve essere effettivamente esistente, può operare in rerum natura e non deve essere artificiosamente creato dall’assicuratore, poiché in tal caso si costituirebbe il distinto rapporto negoziale della scommessa.
Ritiene, pertanto, la Suprema Corte che tra il rischio e il sinistro, cioè l’evento dannoso, debba sussistere un rapporto di circolarità: se manca il primo non può avvenire il secondo; ed il secondo deve essere conseguenza di un rischio assicurabile.
L’autonomia privata delle parti, dunque, si esplica nella direzione di quali rischi effettivamente assicurare, non potendo le stesse pattuire che per sinistro debba intendersi un evento avente connotati diversi rispetto a quelli suddetti, esso deve consistere solo nei possibili avveramenti concreti del rischio assicurato.
Alla luce di quanto fin qui esposto, la Cassazione si è interrogata sulla possibilità di far rientrare nella nozione di sinistro, non un evento dannoso che sia concreta realizzazione del rischio assicurato, ma la ricezione della richiesta di risarcimento da parte di un terzo danneggiato nei confronti dell’ente assicuratore.
Premettendo che, nel caso di assicurazione della responsabilità civile, l’interesse dell’assicurato consiste nel preservare il proprio patrimonio da eventuali depauperamenti e che il rischio concreto consiste in un illecito aquiliano, si è finora ritenuto che oggetto della richiesta di risarcimento non possa essere la richiesta stessa, ma la causazione di un fatto dannoso per mano dell’assicurato.
Le ragioni di tale orientamento sono diverse e di seguito riassunte:
- la richiesta di risarcimento non configura in sé un fatto dannoso;
- l’assicurato non ha un interesse contrario al sinistro inteso come richiesta risarcitoria;
- l’obbligo di salvataggio ai sensi dell’art. 1914 c.c. si rileverebbe impossibile;
- l’assicurato non avrebbe nessuna copertura nell’ipotesi di assicurazione della responsabilità civile per conto altrui;
- anche una richiesta infondata potrebbe costituire un sinistro;
- nel caso di morte dell’assicurato cesserebbe il rischio ex. art 1896 c.c. e si scioglierebbe il contratto e gli eredi dell’assicurato che avesse commesso un danno sarebbero sempre e comunque privi della copertura assicurativa.
Validità del patto di esclusione dell’indennizzo per le richieste postume (clausole claims made)
Prima di procedere all’analisi effettuata dall’ordinanza interlocutoria in commento sulla validità del patto atipico di esclusione delle richieste di risarcimento che sopraggiungono in un momento successivo alla scadenza del contratto di assicurazione, è necessario richiamare brevemente l’orientamento di legittimità sulla disciplina generale di tali patti.
La Suprema Corte nel 2016 ha ritenuto che “le clausole che subordinano la copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto non è vessatoria, ma in presenza di determinate condizioni può essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero per il fatto di determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e obblighi contrattuali”.[1]
Ebbene, fatta tale premessa può desumersi che il giudizio di validità di tali patti atipici deve essere condotto sul piano della meritevolezza, intesa quale indagine sull’effettiva intenzione delle parti di assoggettare il rapporto alla normativa legale, ossia di creare un vincolo coercibile secondo i principi giuridici.[2]
Se la clausola, dunque, non si mostra conforme alle regole dell’ordinamento giuridico essa non può ritenersi meritevole di tutela e, pertanto, deve essere dichiarata nulla e considerata come non apposta (tamquam non esset).
Nel caso di specie, la Corte, dopo una dettagliata ricostruzione storica e giuridica della clausola claims made avrebbe affermato la nullità della stessa se apposta in un contratto di assicurazione della responsabilità civile, in quanto inidonea in alcun caso a perseguire interessi meritevoli di tutela giuridica.
Le ragioni di ciò sono di seguito riassunte:
- attribuisce all’assicuratore un vantaggio ingiusto e sproporzionato;
- pone l’assicurato in una posizione di indeterminata soggezione;
- costringe l’assicurato a tenere condotte contrastanti con i superiori doveri di solidarietà;
- consente all’assicuratore di modulare le condizioni generali di contratto.
Alla luce di quanto illustrato, la Corte di Cassazione è dunque certamente divisa, a fronte di un orientamento giurisprudenziale che, seppur diretto a tutelare l’autonomia privata delle parti ex art. 1322 c.c., ne limita tuttavia la portata nelle ipotesi in cui essa si traduca in previsioni contrattuali contrarie all’ordine pubblico, al buon costume e ai doveri di solidarietà e correttezza dell’ordinamento giuridico.
La rimessione alle Sezioni Unite
Riassumendo, queste sono dunque le questioni rimesse al vaglio delle Sezioni Unite:
a) se nell’assicurazione della responsabilità civile sia consentito alle parti convenire che per “sinistro” debba intendersi, sia ai fini del pagamento dell’indennizzo sia a tutti gli altri fini contrattuali, un evento diverso dalla causazione di un danno a terzi da parte dell’assicurato-responsabile, quale la ricezione, da parte sua, di una richiesta di risarcimento proveniente dal danneggiato;
b) se il patto atipico di esclusione dell’indennizzo per le richieste postume (cd. clausola “claim’s made”), nella parte in cui esclude il diritto dell’assicurato all’indennizzo quando la richiesta di risarcimento gli pervenga dal terzo dopo la scadenza del contratto, debba considerarsi o meno diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
[1] Sezioni Unite n. 9140 del 6 maggio del 2016
[2] GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli pg. 771