Responsabilità civile da diffamazione a mezzo stampa: Sezioni Unite sull’errore nella qualifica giudiziaria

Le Sezioni Unite Civili della Cassazione, con la sentenza n. 13200/2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), si sono pronunciate su una questione di massima rilevanza sistematica, concernente i limiti entro cui l’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria consente di escludere la responsabilità per diffamazione a mezzo stampa. L’intervento nomofilattico si è reso necessario a fronte di un contrasto giurisprudenziale interno alla stessa giurisprudenza di legittimità, in particolare tra le Sezioni civili e penali, in ordine alla portata e all’applicabilità dell’esimente civilistica della verità putativa in caso di erronea qualificazione della posizione processuale di un soggetto.

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Intelligenza artificiale e responsabilità dei professionisti

Intelligenza artificiale e responsabilità dei professionisti

Il volume analizza le principali figure di professionisti in senso stretto (avvocati, notai, medici, commercialisti, ingegneri), unitamente a quelle di soggetti pubblici che, di regola, giudicano le loro condotte (magistrati) e di alcuni ausiliari del giudice (CTU) o soggetti preposti alla deflazione del contenzioso (mediatori).

Ogni capitolo è dedicato ad una figura professionale specifica ed il filo conduttore, che li attraversa, è dato dalla fiducia e dall’affidamento sottesi al rapporto interumano da cui origina il rapporto professionale.
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L’opera offre, in modo pratico, un’analisi sistematica e comparativa dei diversi regimi risarcitori e sanzionatori operanti tra professionisti con riferimenti normativi, dottrinali e giurisprudenziali.

Francesca Toppetti
Esperta in responsabilità professionale e diritto sanitario, avvocato cassazionista, è coordinatrice del Dipartimento Intelligenza Artificiale e Responsabilità in Sanità della UMEM. Membro del Consiglio Direttivo dell’Unione Europea per la Tutela dei Diritti dell’Uomo e componente della Commissione Responsabilità Professionale Sanitaria istituita presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma. Autrice di numerose pubblicazioni e volumi, è relatrice in convegni e congressi in materia di responsabilità civile, tutela dei diritti della persona e conciliazione stragiudiziale delle liti. Si occupa di filantropia ed è Direttore Generale di Emergenza Sorrisi ETS.

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Francesca Toppetti, 2025, Maggioli Editore
26.00 € 24.70 €

Il caso: errata rappresentazione dell’oggetto e dello stato del procedimento penale

La vicenda trae origine dalla pubblicazione, sul sito web di un noto settimanale, di un articolo dal titolo sensazionalistico: “Truffa del superfinanziere”. Il pezzo riportava il presunto coinvolgimento di un noto banchiere in un procedimento penale, qualificandolo espressamente come “imputato”. Inoltre, veniva indicata come già avvenuta la richiesta di rinvio a giudizio, riferita al reato di truffa aggravata, sebbene, come accertato, a quella data fosse stato semplicemente notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis c.p.p., e che l’indagine riguardasse un’ipotesi di truffa tentata, non consumata.

Secondo l’attore, tali affermazioni avevano generato una narrazione gravemente inesatta della sua reale posizione processuale, capace di incidere negativamente sulla sua reputazione e di minarne la credibilità, in particolare tenuto conto dell’alto profilo pubblico da lui ricoperto. La Corte d’Appello di Roma, ritenendo fondata la domanda risarcitoria, accoglieva il ricorso e condannava in solido l’autore dell’articolo, il direttore responsabile e l’editore al pagamento di un importo pari a € 25.000, oltre alla sanzione prevista dall’art. 12 della legge n. 47/1948 e all’obbligo di pubblicazione della sentenza.

A seguito della proposizione del ricorso per cassazione, articolato su diversi motivi, la Prima Sezione civile, con l’ordinanza interlocutoria n. 12339/2024 (per la quale avevamo già proposto un approfondito commento), ha ritenuto opportuno rimettere la questione alle Sezioni Unite, cogliendo così l’occasione per chiarire e sistematizzare l’orientamento interpretativo in materia di cronaca giudiziaria, limiti dell’esimente del diritto di cronaca e responsabilità civile per diffamazione a mezzo stampa.

Il principio di diritto enunciato

La massima di diritto formulata dalle Sezioni Unite recita:

«In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esimente del diritto di cronaca giudiziaria, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, non è configurabile ove si attribuisca ad un soggetto, direttamente o indirettamente, la falsa posizione di imputato, anziché di indagato (anche per essere riferita un’avvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in luogo della reale circostanza della notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all’art. 415-bis c.p.p.) e/o un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione (come anche nel caso di un reato consumato in luogo di quello tentato), salvo che il giudice del merito accerti che il contesto della pubblicazione sia tale da mutare, in modo affatto chiaro ed inequivoco, il significato di quegli addebiti altrimenti diffamatori».

Con tale principio, la Corte ha inteso ribadire che l’erronea indicazione della posizione processuale dell’interessato o l’attribuzione di un fatto penalmente più grave, ove non risulti dal contesto un quadro di sostanziale corrispondenza alla verità, esclude la scriminante del diritto di cronaca e integra una condotta diffamatoria lesiva della reputazione.

Argomentazioni della Corte

La qualificazione giuridica del fatto e la posizione processuale sono elementi essenziali

Secondo le Sezioni Unite, l’attribuzione di una posizione giuridico-processuale differente da quella reale (indagato invece di imputato) e la qualificazione del reato come consumato anziché tentato non rappresentano meri dettagli secondari, ma costituiscono alterazioni della struttura essenziale del fatto narrato, incidendo in modo significativo sull’opinione pubblica e sulla percezione sociale del destinatario.

In particolare, l’improprio riferimento a una richiesta di rinvio a giudizio non ancora formulata, e l’attribuzione della qualifica di imputato a soggetto ancora indagato, integrano una violazione dell’obbligo di verità sostanziale che grava sul giornalista ai fini della scriminante.

Il parametro del “lettore medio”

La Corte richiama il criterio ermeneutico consolidato del “lettore medio”, definito anche come “lettore frettoloso”, quale parametro valutativo per stabilire l’effettivo impatto diffamatorio della pubblicazione. Se, in base alla lettura complessiva (e non solo letterale), il contenuto trasmesso è idoneo a generare una rappresentazione erronea della posizione giudiziaria del soggetto, si realizza un pregiudizio alla reputazione non scriminabile.

Irrilevanza della buona fede e dell’errore scusabile

La Corte esclude che, in presenza di una falsità sostanziale circa i fatti narrati, il giornalista possa invocare la buona fede o la diligenza nella raccolta delle fonti. Ciò vale soprattutto per l’informazione giudiziaria, che impone un livello elevato di verifica e cautela. L’informazione deve risultare non solo vera, ma anche correttamente inquadrata nei suoi aspetti qualificanti.

Il caso concreto: esclusione della scriminante

Nel caso di specie, le Sezioni Unite hanno ritenuto che:

  • l’indicazione dell’esistenza di una richiesta di rinvio a giudizio, non ancora depositata alla data dell’articolo, costituisse una falsità fattuale rilevante;

  • l’attribuzione del reato consumato (truffa aggravata) anziché del reato tentato alterasse in modo significativo la gravità della condotta attribuita all’interessato;

  • il contesto dell’articolo, anche per il tono sensazionalistico del titolo e l’assenza di adeguate precisazioni nel corpo del testo, non consentisse al lettore di percepire correttamente la reale posizione processuale dell’indagato.

In conseguenza, la Corte ha rigettato il ricorso e confermato la responsabilità civile dei convenuti, in linea con la decisione della Corte d’Appello di Roma.

Conclusioni

La pronuncia n. 13200/2025 delle Sezioni Unite segna un punto fermo nella disciplina della diffamazione a mezzo stampa in ambito giudiziario, ponendo limiti rigorosi alla scriminante del diritto di cronaca. Il giornalista, in presenza di notizie giudiziarie, non può trascurare l’accurata qualificazione della posizione processuale dell’interessato, né attribuire con leggerezza contenuti non aderenti alla realtà degli atti.

L’orientamento consolidato dalla Suprema Corte valorizza la tutela della reputazione individuale quale diritto costituzionalmente protetto, imponendo una verifica stringente sulla verità sostanziale del fatto narrato. In questo senso, il controllo giurisdizionale sulle modalità di esercizio della libertà di stampa si conferma come strumento di equilibrio tra diritto di cronaca e rispetto della dignità personale.

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