Diffamazione: confronto tra qualifica di imputato e indagato nella giurisprudenza

La Sezione Prima civile, in merito alla responsabilità per diffamazione a mezzo stampa, ha deciso di trasmettere il ricorso alla Prima Presidente per una possibile assegnazione alla Sezioni Unite, posto l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale tra la giurisdizione civile e penale. La questione riguarda la distinzione tra imputato e indagato, e se attribuire un reato consumato anziché tentato implica diffamazione o rientra nell’esercizio legittimo del diritto di cronaca.

Corte di Cassazione- Sez. I Civ.- ord. interl.- n. 12239 del 06-05-2024

La questione

Una sentenza emessa dal Tribunale di Roma nel 2016 aveva respinto una domanda avanzata da un soggetto nei confronti di un giornalista, del direttore responsabile e dell’editore di un articolo pubblicato su un noto settimanale online.
La parte lesa aveva sostenuto che l’articolo in questione, dal titolo “truffa del superfinanziere”, lo aveva ingiustamente indicato come imputato per truffa anziché come semplice indagato per tentata truffa. Quest’ultimo aveva lamentato il grave danno subito alla sua reputazione e chiedeva il risarcimento dei danni non patrimoniali.
In seguito, la Corte d’appello di Roma aveva accolto l’appello del querelante, riconoscendo la natura diffamatoria dell’articolo, per effetto del quale era stato ordinato il risarcimento del danno non patrimoniale.
Successivamente, il Gruppo Editoriale S.p.A., il direttore responsabile e il giornalista hanno presentato ricorso in Cassazione contro questa sentenza.

I motivi di ricorso

Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti hanno lamentato la violazione delle norme in materia di diffamazione tramite il mezzo stampa di cui agli artt. 21 Cost., 2043 cod.civ., 51 e 595 cod.pen. e 11 legge 8 febbraio 1948 n. 47. Hanno altresì contestato l’esclusione del carattere lesivo dell’articolo incriminato e la mancata considerazione dell’esimente del diritto di cronaca, oltre all’errata attribuzione del reato di truffa.
Nel secondo motivo, hanno contestato la valutazione presuntiva del danno non patrimoniale senza adeguata valutazione del nesso di causalità secondo quanto disposto dagli artt. 1223, 2043 e 2059 c.c.
Nel terzo motivo, hanno contestato l’applicazione dell’art. 12 della legge n. 47/1948 che tratta della riparazione pecuniaria a seguito di diffamazione.
Infine, nel quarto motivo, i ricorrenti hanno lamentato l’accoglimento della richiesta di pubblicazione della sentenza senza considerare le censure precedenti in base all’art. 120 c.p.c.

Necessità di un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite

I giudici di legittimità hanno ritenuto riguardo alla questione sollevata dal primo motivo di ricorso — riguardante il rilievo attribuito alla distinzione tra l’indicazione come imputato anziché indagato e la commissione di un reato consumato piuttosto che tentato al fine di determinare la presenza di diffamazione e l’applicabilità della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca — sia necessaria l’assegnazione alle Sezioni Unite. Difatti, i giudici hanno ravvisato l’esistenza di un contrasto tra decisioni civili e penali in materia.
Secondo una consolidata giurisprudenza di legittimità civile, per quanto riguarda la responsabilità civile per diffamazione, l’esercizio del diritto di cronaca può considerarsi legittimo quando viene riportata la verità oggettiva o putativa della notizia. Di conseguenza, una volta che l’attore ha provato di essere stato leso da una notizia di stampa diffamatoria, spetta al convenuto dimostrare la verità della notizia, anche in termini di verità putativa, qualora esista una verosimiglianza dei fatti in relazione all’attendibilità della fonte. Inoltre, il legittimo esercizio del diritto di cronaca esonera il giornalista dall’obbligo di verificare l’attendibilità della fonte informativa nel caso in cui provenga dall’autorità giudiziaria o da un procedimento disciplinare interno a una P.A. Tuttavia, l’applicabilità di tale esimente impone al giornalista di accertare la verità quantomeno putativa del fatto pubblicato, nonché di verificare in modo completo e specifico, con un aggiornamento temporale necessario, la veridicità della notizia al momento della sua divulgazione, altrimenti sarà responsabile dei danni derivati dal reato di diffamazione a mezzo stampa, sempre che non sia  provata la sua buona fede.

Linee guida della giurisprudenza civile

Secondo la giurisprudenza civile citata nella sentenza n. 11233 del 2017, nella narrazione di un fatto di cronaca vero nei suoi aspetti generali, il giornalista può riportare una notizia inesatta, a patto che questa discrepanza non ledi la reputazione altrui.
Altresì, la sentenza n. 7757 del 2020 ha precisato che le inesattezze secondarie che non alterano la verità dei fatti principali non incidono sulla portata informativa complessiva e non rendono la notizia diffamatoria.
Per quanto concerne la questione della distinzione tra la qualifica di imputato e quella di indagato, la Corte di legittimità civile ha affermato che attribuire falsamente la posizione di imputato anziché di indagato in un articolo giornalistico costituisce diffamazione, poiché la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari non equivale alla richiesta di rinvio a giudizio e non comporta l’esercizio dell’azione penale (cfr. Cass. civile n. 12370/2018).

Linee guida della giurisprudenza penale

In materia penale, la Corte di Cassazione ha affrontato diverse questioni riguardanti la diffamazione a mezzo stampa ai sensi dell’art. 595 c.p.
Con sentenza n. 13782 del 2020, la Corte ha chiarito che l’esimente del diritto di cronaca giudiziaria si applica solo se la notizia riportata corrisponde a quanto presente negli atti giudiziari e nell’oggetto dell’imputazione, senza alterazioni sostanziali che possano ledere la reputazione del soggetto coinvolto.
Tuttavia, non è da considerarsi diffamatoria la divulgazione di una notizia d’agenzia che erroneamente afferma che un individuo sia stato raggiunto da una richiesta di rinvio a giudizio anziché da un avviso di conclusione delle indagini preliminari, poiché questa discrepanza è considerata una mera inesattezza su un elemento secondario del fatto storico (cfr. Cass. penale n. 15093/2020).
Tuttavia, in alcune decisioni recenti sembra porsi una divergenza rispetto ai precedenti giurisprudenziali che creano confusione sulla distinzione tra reato consumato e reato tentato e l’interpretazione dell’attribuzione di una notizia diffamatoria (cfr. Cass. penale n. 15093/2020; Cass. penale n. 34544/2001).

Conclusioni

Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha ritenuto opportuno rimettere gli atti alla Prima Presidente affinché possa essere valutata l’eventuale rimessione l’opportunità di sottoporre la questione alle Sezioni Unite di questa Corte.

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Andrea Sirotti Gaudenzi
Avvocato e docente universitario. Svolge attività di insegnamento presso Atenei e centri di formazione. È responsabile scientifico di vari enti, tra cui l’Istituto nazionale per la formazione continua di Roma e ADISI di Lugano. Direttore di collane e trattati giuridici, è autore di numerosi volumi, tra cui “Manuale pratico dei marchi e brevetti”, “Trattato pratico del risarcimento del danno”, “Codice della proprietà industriale”. Magistrato sportivo, attualmente è presidente della Corte d’appello federale della Federazione Ginnastica d’Italia. I suoi articoli vengono pubblicati da diverse testate e collabora stabilmente con “Guida al Diritto” del Sole 24 Ore.

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