Recupero del compenso professionale dell’avvocato senza parere Consiglio dell’Ordine

in Giuricivile, 2020, 10 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., Sez. II civ., sent. 9/01/2020 n. 194

È noto che l’avvocato ha davanti a sé due alternative per poter recuperare il compenso professionale: la via del procedimento di ingiunzione ex art. 633 c.p.c. e quella del procedimento sommario speciale ex art. 702 bis c.p.c. disciplinato dal combinato disposto dell’art. 14 e degli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 150/2011.

Qualora scegliesse la prima strada, l’art. 636 c.p.c. è chiaro nel richiedere che la domanda sia corredata dalla parcella sottoscritta dal ricorrente unitamente al parere del consiglio dell’ordine competente.

Sorge, allora, spontaneo chiedersi se quest’ultimo requisito debba sussistere anche se tra avvocato e cliente sia stato pattuito un compenso con precisa scrittura privata sottoscritta tra le parti.

Che fare dunque in questo caso?

La risposta al quesito può essere rinvenuta nella sentenza n. 194 del 9 gennaio 2020 della Suprema Corte di Cassazione, II Sez. civile. Vediamola più nel dettaglio.

La vicenda processuale e il ricorso straordinario in Cassazione

Su ricorso per decreto ingiuntivo il Tribunale di Foggia ingiungeva ad una società di pagare all’avvocato a titolo di onorari la somma di Euro 300.000,00, oltre interessi e spese di procedura.

Avverso il decreto ingiuntivo veniva proposta opposizione dalla società debitrice, la quale eccepiva, tra le tante, l’inammissibilità e/o improcedibilità del decreto per non aver l’avvocato depositato la parcella sottoscritta ed il parere del competente Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, come previsto dagli artt. 633 e 636 c.p.c.

Inoltre, veniva eccepita anche la nullità, invalidità e inefficacia della scrittura privata di ricognizione del debito posta a fondamento della domanda di pagamento avanzata dal professionista.

Con ordinanza n. 4991/2015, depositata il 30.3.2015, il Tribunale di Foggia rigettava l’opposizione confermando il decreto ingiuntivo e ritenendo che la debitrice non avesse correttamente contestato l’an della pretesa creditoria.

La società debitrice proponeva così ricorso straordinario per Cassazione argomentando diversi motivi di ricorso.

Il secondo motivo di ricorso: mancanza della parcella sottoscritta e del parere del COA

La società contestava l’omesso accertamento dell’inammissibilità e improcedibilità del procedimento monitorio, ovvero la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in materia di condizioni di ammissibilità del procedimento monitorio per onorari dell’avvocato (art. 633 c.p.c., comma 1, n. 2 e art. 636 c.p.c.).

Secondo la tesi di parte ricorrente, infatti, quando il credito riguarda onorari per prestazioni professionali rese da avvocati, il ricorso per decreto ingiuntivo deve essere corredato dalla parcella dotata della sottoscrizione del creditore unitamente al parere del competente ordine professionale.

Dal momento che nel caso di specie il professionista non aveva allegato al ricorso né l’una né l’altro, il decreto ingiuntivo non doveva essere emesso dal Tribunale.

La decisione della Corte di Cassazione: è sufficiente la prova scritta del credito ex 634 c.p.c.

È interessante a questo punto capire come la questione è stata risolta dalla Suprema Corte.

L’argomentazione seguita nel caso di specie è tale da giungere alla declaratoria di infondatezza del sopracitato motivo di ricorso, esaltando il dettato letterale dell’art. 634 c.p.c.

I giudici di legittimità, infatti, hanno ritenuto che sia sufficiente per richiedere l’ingiunzione di cui all’art. 633 c.p.c. che il credito sia fondato su autonoma prova scritta.

Nel caso de quo esisteva un preciso atto ricognitivo del medesimo, costituito dalla scrittura privata sottoscritta dal professionista e dalla società debitrice, dal quale poteva evincersi la reciproca pattuizione del compenso.

Così argomentando, ai sensi dell’art. 1988 c.c., l’atto ricognitivo determina una presunzione iuris tantum di esistenza del debito, idonea a determinare un’inversione dell’onere della prova con la conseguenza che: “colui a favore del quale l’atto è rilasciato viene dispensato dall’onere di provare il rapporto fondamentale”.

Stando a quanto stabilito dalla Suprema Corte, insomma, il professionista è sgravato da questo onere.

Terzo motivo di ricorso: omesso accertamento e dichiarazione della nullità della scrittura privata.

Sempre secondo parte ricorrente, l’ordinanza impugnata sarebbe altresì gravemente viziata ex art. 360 n. 3 c.p.c., per falsa applicazione dell’art. 1325 c.c. in combinato disposto con gli artt. 1343 e 1346 c.c. e ss. e dell’art. 2697 c.c., per aver ritenuto che: “data la natura di riconoscimento di debito ex art. 1988 c.c. rivestita dalla scrittura privata, sussisterebbe una presunzione iuris tantum di esistenza del debito, che non sarebbe stata superata da adeguate contestazioni da parte della ricorrente sull’an della pretesa”.

Sul punto, la società debitrice sostiene di aver avanzato idonee contestazioni sull’an della pretesa, mentre incombeva sull’avvocato la produzione in giudizio della documentazione utile a dimostrare la correttezza dell’importo del credito azionato con il monitorio e derivante dalla scrittura privata.

Il terzo motivo di ricorso viene dichiarato inammissibile e la Suprema Corte ribadisce il divieto in sede di legittimità di svolgimento di un nuovo giudizio di merito.

Infatti, la Corte di Cassazione deve limitarsi a “verificare che il giudice abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, manifestato nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile”. (cfr. Cass. n. 9275 del 2018)

Aspetto che, nel caso di specie, essa ha effettivamente riscontrato.

Il ricorso viene, pertanto, rigettato integralmente e con questa recente pronuncia, collocata all’interno di un orientamento ormai consolidato, si ribadisce che la domanda di liquidazione del compenso dell’avvocato e/o di condanna al relativo pagamento avviene o con rito sommario “speciale” innanzi all’Ufficio innanzi al quale l’avvocato ha svolto la propria opera professionale, ovvero con rito monitorio ex artt. 633 ss cpc, con possibilità di emissione del decreto ingiuntivo sulla scorta di autonoma prova scritta, come può essere un atto ricognitivo del debito.

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