Recupero crediti dell’avvocato per spese giudiziali alla luce delle recenti Sezioni Unite

in Giuricivile, 2018, 3 (ISSN 2532-201X), nota a Cass. Civ. SS. UU. sent. 4485 del 23/2/2018

Quali sono le modalità di determinazione del compenso dovuto per l’attività dell’avvocato e in che modo quest’ultimo può procedere al recupero dei crediti per spese giudiziali?

In questo articolo analizzeremo la discussa questione, anche e soprattutto alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite, la n. 4485 del 2018 (di cui è disponibile il testo integrale).

Le modalità di determinazione del compenso per l’attività svolta dall’avvocato

Il rapporto tra avvocato-cliente è notoriamente un rapporto di natura fiduciaria, come tra l’altro statuito dall’art. 11, comma 2, del Codice di deontologia forense, a norma del quale “il rapporto con il cliente e con la parte assistita è fondato sulla fiducia“.

Si tratta, più precipuamente, di un rapporto che si estrinseca nella formazione di un contratto d’opera intellettuale, di cui agli artt. 2222 e ss. del c.c., in forza del quale il professionista si obbliga a compiere la prestazione d’opera, e beninteso non ad ottenere il risultato; dal canto suo, il cliente si obbliga al pagamento del relativo compenso.

Le modalità per la determinazione del compenso dovuto per l’attività professionale svolta dall’avvocato sono disciplinate dall’art. 2233 cod.civ., come modificato prima dalla legge c.d. Bersani, n. 248/2006, e, da ultimo, dalla legge n. 27 del 2012: in particolare, è ora previsto che la determinazione del compenso professionale deve avvenire, in via preferenziale, tramite accordo tra professionista e cliente, e quindi per mezzo del detto contratto d’opera, e che, in mancanza di quest’ultimo la questione è rimessa alla valutazione del giudice vincolato all’applicazione dei parametri ministeriali, predisposti con Decreto ministeriale n 55 del 2014 (già n. 140 del 2012).

Palese, dunque, la ratio legis volta non solo a tutelare adeguatamente il rapporto professionale, onde evitare il proliferare di controversie circa l’an e il quantum della determinazione del compenso, ma soprattutto a concedere un ruolo di preminenza all’accordo tra le due parti del contratto d’opera in questione.

Su un siffatto quadro normativo di riferimento, nel 2017 ha inciso la novella legislativa che ha, tra le altre cose e per quanto in questa sede interessa, reintrodotto l’obbligo per l’avvocato di predisporre al cliente un preventivo circa le spese legali che lo stesso sarà chiamato ad affrontare.

Tale obbligo, parimenti essenzialmente volto a garantire la massima trasparenza nel rapporto tra avvocato e cliente, invero, era già stato imposto, non solo all’avvocato, ma, più in generale, agli esercenti professioni regolamentate tout court, dal Decreto-legge 4 gennaio 2012, n.1, poi superato dalla legge del 2012, la n. 247 (“Nuova disciplina dell’ordinamento forense“), che limitava il detto obbligo ai soli casi di “richiesta” da parte del cliente.

Sul punto, la legge n. 124 del 2017, eliminando l’inciso “a richiesta” dal testo della legge sull’ordinamento forense, reintroduce appunto un generale obbligo di predisporre il preventivo di spesa: nel rispetto della nuova disciplina, spetterà dunque agli avvocati comunicare in forma scritta la prevedibile misura economica della prestazione da svolgere.

Deve, tuttavia, precisarsi che il mancato adempimento di tale obbligo non è sanzionato dal legislatore sul fronte civilistico, potendosi invece ripercuotere esclusivamente sul diverso piano disciplinare. In altri termini, dalla mancata osservanza della norma che obbliga l’avvocato a redigere un preventivo scritto da consegnare al cliente, non consegue alcuna nullità e/o annullabilità del contratto stipulato tra le parti in gioco.

Il recupero crediti dell’avvocato per le spese legali

Nonostante l’impegno del legislatore indirizzato ad evitare di giungere ad una fase patologica del rapporto professionale, ancora spesso accade che gli avvocati siano costretti a rivolgersi al giudice per chiedere la condanna al pagamento delle spese legali, dovute ma non rifuse dal cliente al professionista stesso.

Alla materia delle controversie in questione è dedicato l’art. 28, l. 794/1942, sul quale è intervenuto, modificandolo, l’art. 14 del D.lsg. n. 150 del 2011.

Dalla lettura congiunta delle due norme appena richiamate si evince che a seguito della modifica del 2011, la controversia di cui all’art. 28 della l. n. 794 del 1942, e cioè quella inerente le spese, gli onorari e/o i diritti vantati dall’avvocato nei confronti del proprio cliente, può essere introdotta

  • con un ricorso ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., che dà luogo ad un procedimento sommario “speciale” disciplinato dagli artt. 3, 4 e 14 d.lgs. 150/2011,
  • o con il procedimento per decreto ingiuntivo ex artt. 633 ss. c.p.c. (e l’eventuale opposizione si dovrebbe proporre ai sensi dell’art. 702 bis ss. c.p.c. e nel relativo procedimento troverebbero applicazione gli artt. 648, 649, 653 e 654 c.p.c.),

Resta invece esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito di cognizione ordinaria e sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico, di cui agli artt. 702 bis ss. c.p.c.

Una simile impostazione risulta confermata dalla recentissima sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la n. 4485/2018, intervenuta precipuamente per risolvere i contrasti giurisprudenziali in tema di crediti per spese giudiziali sostenute dall’avvocato.

Con la suddetta pronuncia, i giudici di legittimità hanno inoltre avuto cura di precisare che la controversia di cui all’art. 28 della l. n. 794 del 1942, introdotta sia ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., sia in via monitoria, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato, resta soggetta al rito di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, anche quando il cliente sollevi contestazioni riguardo all’an.

Secondo la Corte, non si determinerebbe infatti la soppressione di alcun criterio di competenza previgente né escludendo la possibilità di agire con il rito ordinario a cognizione piena (poiché la competenza in base alla quale poteva agirsi in via ordinaria era la stessa prevista ai sensi del comma I dell’art. 637 c.p.c. per la possibilità di agire con le forme del ricorso monitorio, destinate poi ad evolversi con il rito camerale), né con il rito di cui agli artt. 702-bis ss. c.p.c. (perché le cause che si sarebbero potute introdurre con quel rito restano comunque deducibili davanti al tribunale in composizione monocratica ancora una volta con il rito monitorio).

Soltanto nel caso in cui il convenuto svolga una difesa che si articoli con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di compensazione o di accertamento pregiudiziale), la trattazione di quest’ultima dovrà avvenire, ove si presti ad un’istruttoria sommaria, con il rito sommario (congiuntamente a quella proposta ex art. 14 d.lgs. n. 150 dal professionista) e, in caso contrario, con il rito ordinario a cognizione piena, previa separazione delle domande.

La Suprema Corte ha infine chiarito che, qualora la domanda introdotta dal cliente non appartenga alla competenza del giudice adito, troveranno applicazione gli artt. 34, 35, 36 c.p.c. dettati in tema di spostamento della competenza per connessione.

L’interpretazione offerta dai giudici di ultime cure mette in luce l’intenzione di procedere verso la decisione della controversia circa le spese legali con celerità, evitando d’altro canto l’instaurarsi di un procedimento di cognizione ordinario, come visto limitato alla sola ipotesi in cui, avendo il cliente-convenuto proposto una domanda riconvenzionale, di compensazione o di accertamento pregiudiziale, la domanda non si presti ad un’istruzione sommaria, ferma restando la previa separazione delle domande (da un lato quella, appunto, del cliente-convenuto, dall’altra quella proposta dall’avvocato-attore sempre da definire in via sommaria “speciale”, o in via monitoria).

Quanto ci si augura è che dunque il giudizio volto alla condanna al pagamento dei crediti legali, alla luce dei recenti interventi normativi, sia caratterizzato da efficienza e speditezza, affinchè l’avvocato che abbia prestato diligentemente il proprio servizio non resti insoddisfatto nel credito vantato nei confronti del cliente, al quale d’altronde sono offerti i mezzi adeguati al fine di una sua effettiva e trasparente conoscenza circa il quantum debeatur.

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