Pubblico impiego: rapporti tra procedimenti disciplinari e penali

in Giuricivile, 2020, 3 (ISSN 2532-201X)

Prima dell’intervento voluto dal Ministro Brunetta, con la sua corposa e significativa riforma recepita nel  d. lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, le norme inerenti ai procedimenti disciplinari in costanza di un procedimento penale erano caratterizzate da un  eccessivo garantismo e la parte datoriale non aveva gli strumenti per avviare un percorso sanzionatorio nei confronti di un proprio dipendente, perchè il contestuale procedimento penale, che riguardava lo stesso  lavoratore, sospendeva l’azione amministrativa da porre in essere nell’immediatezza.

L’Amministrazione poteva avviare il procedimento disciplinare solo quando si era concluso il processo penale in tutti e tre i gradi di giudizio, sicchè i comportamenti da sanzionare venivano ad essere lontani nel tempo, tanto che  – in alcuni casi – il dipendente, nel frattempo, era stato  trasferito o si trovava addirittura in pensione.

Per scongiurare questa sostanziale inerzia dell’amministrazione  e le blande reazioni a comportamenti disciplinarmente rilevanti, la riforma “Brunetta” stabilì, con forte volontà innovativa,  che, nei casi in cui il procedimento disciplinare avesse ad oggetto,  in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali dovesse procedere l’autorità giudiziaria, esso poteva essere proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale.

In effetti, a seguito di tale riforma, le varie infrazioni da sanzionare, interessate contestualmente da un giudizio penale, sono state  disciplinate come qui di seguito specificato.

Quando trattasi di illeciti disciplinari di minore gravità, per i quali è prevista l’irrogazione di sanzioni che vanno dal “rimprovero verbale” alla “sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni”, non è proprio ammessa la sospensione del procedimento e il soggetto che, nonostante tale specifico divieto, dovesse irritualmente disporre la sospensione del procedimento disciplinare, incorre nella responsabilità di cui all’articolo 55-sexies del d. lgs. 165/2001.

Per le infrazioni di maggiore gravità, invece, l’Ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria non disponga di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente. In senso conforme si è pronunciata anche la Cassazione (Sent. Sez. Lav. n. 12662 del 13 maggio 2019) per la quale “la possibilità di sospendere il procedimento disciplinare in presenza di fatti di maggiore gravità e nella ricorrenza di situazioni più complesse, si denota come una facoltà della Pubblica Amministrazione, nell’interesse del buon andamento di essa ed in attuazione di un canone di prudenza”.   

Prima si sospendeva il procedimento disciplinare anche in presenza di evidenti violazioni comportamentali

La novella “Brunetta” si era resa necessaria perchè le situazioni createsi per effetto delle norme precedenti avevano dato luogo a  ingiustizie derivanti dal blocco  del procedimento disciplinare, anche nei casi in cui  la violazione comportamentale fosse evidente  e non avesse bisogno di ulteriori accertamenti.

Una diversa normazione avrebbe consentito l’esercizio di una potestà punitiva immediata e l’applicazione della sanzione già da subito; invece bisognava attendere la conclusione del procedimento penale nella sua intera articolazione, cosicchè, in caso di tre gradi di giudizio, sarebbero trascorsi diversi anni e l’intervento sanzionatorio disciplinare avrebbe perso la sua valenza.

La riforma “Brunetta”, oltre ad affrontare il problema principale di cui si è detto,  non ha trascurato le ulteriori criticità che erano emerse nei casi in cui i dipendenti incolpati di comportamenti illeciti avessero avuto la possibilità di liberarsi di ogni pendenza a seguito di trasferimento o pensionamento.

Cosicchè è stato sancito che, nei casi di trasferimento del dipendente, a qualunque titolo, in  un’altra amministrazione pubblica, il procedimento disciplinare deve essere avviato o concluso, anche con l’applicazione della sanzione presso il nuovo ufficio e i termini per la contestazione dell’addebito o per la conclusione del procedimento, se ancora pendenti, devono essere interrotti e poi ripresi a decorrere dalla data del trasferimento.

Per le fattispecie di cessazioni dal servizio del dipendente è stato assicurato il prosieguo del procedimento disciplinare quando  l’infrazione commessa sia da sanzionare con il licenziamento o comunque sia stata disposta la sospensione cautelare dal servizio.

La pregiudiziale penale rendeva quasi inutile un intervento disciplinare postumo

Come si è visto,  la riforma “Brunetta” ha posto in essere validi strumenti per far fronte ad una pregiudiziale penale che rendeva quasi inutile un intervento disciplinare postumo per gli effetti paralizzanti determinati dall’attesa di un giudizio penale pluriennale, sicchè veniva a crearsi un senso di impunità, con conseguente impotenza di fronte a fatti a volte anche molto  gravi.  A tal riguardo si veda la sentenza della Cassazione, Sez. Lav. n. 12662 del 13 maggio 2019 per la quale l’autonomia del procedimento disciplinare da quello penale risponde “all’esigenza di evitare che la Pubblica Amministrazione sia costretta a lasciare impunite le violazioni disciplinari, per un tempo anche lungo e ciò in una logica che allontana la sanzione da uno spirito esclusivamente repressivo, ma ne manifesta viceversa la natura di strumento di efficienza nel governo del personale”.

La successiva riforma “Madia”, di cui al d. lgs. 25 maggio 2017, n. 75, ha apportato ulteriori  modifiche  all’art. 55-ter del d. lgs. 165/2001 e ha ribadito che il procedimento disciplinare avente ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale.

Si può riattivare il procedimento disciplinare anche quando la sentenza non è definitiva

E’ stato anche confermato che, solo per le  infrazioni di maggiore gravità, l’Ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente ( quando all’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione ), può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente.

La modifica più significativa apportata all’art. 55-ter, rispetto a quanto già innovato con la riforma “Brunetta”, ha riguardato la possibilità  di riattivare il procedimento disciplinare sospeso allorquando l’amministrazione acquisisca elementi nuovi, sufficienti per concludere il procedimento prima della definitività del processo penale.

Questi elementi, ai quali fa riferimento il legislatore, possono essere presenti anche in un provvedimento giurisdizionale non definitivo, sicchè si potrà riattivare il procedimento disciplinare quando si disponga di una sentenza di 1° grado cosiddetta “robusta” (come definita dal prof. Vito Tenore, massimo studioso della materia disciplinare), che contenga cioè fatti già sufficientemente accertati, provati, suffragati da valide testimonianze, ecc.

L’intervento del legislatore, con le modifiche apportate all’art.55-ter del d.lgs. 165/2001, è risultato abbastanza puntuale  e sono state anche contemplate varie ipotesi di conclusione del giudizio penale e il conseguente impatto sul procedimento disciplinare,  cosicchè, qualora il procedimento disciplinare non sospeso si concluda con l‘irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale venga definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che non attribuisce colpe al dipendente perchè “il fatto non sussiste” o che “l’imputato non lo ha commesso” oppure “non costituisce illecito penale” o altra formulazione analoga, lo stesso dipendente può, entro il termine di decadenza di sei mesi dall’irrevocabilità della pronuncia penale ( e non da quando il dipendente ne è venuto a conoscenza),  chiedere all’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari (U.P.D.) la riapertura del procedimento con il quale gli è stata irrogata la sanzione.

L’U.P.D. deve, entro sessanta giorni, riaprire il procedimento disciplinare    -tenendo conto di  quanto stabilito all’esito del giudizio penale- e accertare se il precedente atto conclusivo debba essere modificato o confermato.

Viceversa, qualora il procedimento disciplinare si sia concluso con l’archiviazione e il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l’U.P.D. deve riaprire, mediante rinnovo della contestazione di addebito, entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza, il procedimento disciplinare e adeguare le precedenti determinazioni adottate, tenendo in debita considerazione quanto emerso all’esito del giudizio penale.

Per riaprire il procedimento disciplinare non è sufficiente il solo dispositivo, ma occorre la sentenza integrale

Relativamente alla comunicazione della sentenza va fatto rilevare che, per riaprire il procedimento, l’amministrazione deve disporre della sentenza integrale e non del solo dispositivo, ma, per tale giusta esigenza, si deve tener conto anche di quanto disposto dall’art. 154-ter delle disposizioni di attuazione c.p.p. (introdotto dall’art. 70 del d. lgs. 150/2009 – riforma Brunetta) che così recita: “La cancelleria del giudice che ha pronunciato sentenza penale nei confronti di un lavoratore dipendente di una amministrazione pubblica ne comunica il dispositivo all’amministrazione di appartenenza e, su richiesta di questa, trasmette copia integrale del provvedimento. La comunicazione e la trasmissione sono effettuate con modalità telematiche , ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005 , n. 82, entro trenta giorni dalla data del deposito”.

Da quanto disposto innanzi risulta che l’Amministrazione, dopo aver ricevuto il dispositivo, deve richiedere alla cancelleria la copia integrale della sentenza e il termine per avviare il procedimento disciplinare decorre dalla ricezione di tale provvedimento. Il percorso, però, sarebbe risultato più razionale se il legislatore avesse previsto direttamente l’invio, da parte della cancelleria, della sentenza integrale, evitando il duplice adempimento, prima della cancelleria che è tenuta ad inviare il solo dispositivo e poi dell’amministrazione che deve richiedere  la sentenza integrale, indispensabile per conoscere interamente le risultanze penali e adottare i provvedimenti conseguenti.

Per quanto concerne le modalità e i tempi di questo nuovo procedimento che dovrà essere riavviato, il comma 4 dell’art. 55-ter, del d. lgs, 165/2001, rinvia a quanto disposto dall’art. 55-bis, sicchè il nuovo iter punitivo dovrà concludersi entro il termine perentorio di centoventi giorni.

Il procedimento disciplinare deve essere riaperto, altresì, se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulti che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporti la sanzione del licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa.

La  riapertura del procedimento disciplinare che si è già concluso con una sanzione conservativa potrebbe risultare in antitesi con il principio del “ne bis in idem” perchè il potere sanzionatorio è stato già esercitato e consumato, pertanto, non potrebbe   essere   nuovamente  oggetto  di  valutazione,  tuttavia  l’art. 55-ter, del

d. lgs. 165/2001, impone all’amministrazione di riattivare il percorso sanzionatorio alla luce di quanto accertato in sede penale e nella considerazione che occorra salvaguardare  l’interesse pubblico e il buon andamento della pubblica amministrazione, entrambi dominanti sulla conservazione di un rapporto di pubblico impiego compromesso da fatti e comportamenti già sanzionati con pene gravi.

Anche il C.C.N.L. ha destinato attenzione al rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale

Dopo la riforma “Madia” (d.lgs. 25-5-2017, n.75) e le modifiche apportate all’articolo 55-ter del d.lgs. 165/2001, è stato sottoscritto, il 12 febbraio 2018, il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, relativo al personale del Comparto Funzioni Centrali, per il triennio 2016-2018, il cui articolo 65 ha trattato  la materia inerente al rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale.  Identica disciplina la troviamo nell’articolo 16 del C.C.N.L. del Comparto Istruzione e Ricerca, sottoscritto il 19 aprile 2018, per il triennio 2016-2018.

In sede di negoziazione è stato stabilito che, se il procedimento disciplinare sia stato sospeso e successivamente sia intervenuta  una sentenza penale irrevocabile di assoluzione perchè “il fatto non sussiste”; “l’imputato non lo ha commesso”; “non costituisce illecito penale”; o altra formulazione analoga, l’autorità disciplinare procedente, in base all’art. 55-ter, comma 4, del d. lgs. 165/2001, deve riprendere il procedimento disciplinare per l’adozione delle determinazioni conclusive, così come disposto dall’art. 653, comma 1, c.p.p., per il quale il giudicato penale, nel caso di assoluzione, ha efficacia nel giudizio per responsabilità disciplinari.

Va, però, fatto rilevare che, se nel procedimento disciplinare sospeso siano state contestate altre violazioni disciplinari che non si correlino con i fatti oggetto del  giudizio penale conclusosi con l’assoluzione, il procedimento disciplinare deve essere  ripreso e proseguire secondo i tempi e le modalità di cui all’art. 55-ter, comma 4, del d. lgs. 165/2001.

Altra tipologia, prevista sempre dal C.C.N.L. 2016-2018, riguarda il procedimento disciplinare non sospeso conclusosi con il licenziamento senza preavviso e la successiva sentenza penale di assoluzione  perchè “il fatto non sussiste”; “l’imputato non lo ha commesso”; “non costituisce illecito penale”; o altra formulazione analoga.

In questo caso, ove il  procedimento disciplinare sia riaperto e si concluda con un atto di archiviazione ai sensi e con le modalità dell’art. 55-ter, comma 2, del d.lgs. 165/2001, il dipendente ha diritto alla riammissione in servizio, anche in soprannumero, nella medesima sede o in altra, nella stessa qualifica e con decorrenza dell’anzianità posseduta all’atto del licenziamento.

Se, però, oltre ai fatti che abbiano determinato il licenziamento, siano state contestate al dipendente altre violazioni, il procedimento disciplinare deve essere riaperto per le nuove determinazioni che risulteranno necessarie.

Come è stato  più volte evidenziato, oggi, grazie ai vari interventi legislativi posti in essere prima con la riforma “Brunetta” e poi con quella “Madia” , il procedimento disciplinare non deve essere più sospeso per la contestuale presenza di un giudizio penale, cioè è venuta meno la pregiudiziale penale, salvo che l’Amministrazione di appartenenza del dipendente voglia, per i soli casi di sanzioni superiori alla “sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni”, attendere il giudicato penale.

Per una immediata sintesi dei vari adempimenti e dei tempi per essi previsti si riporta, qui di seguito, un prospetto riepilogativo.

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE SOSPESO E SENTENZA DI ASSOLUZIONE

Qualora il procedimento disciplinare sia stato sospeso e il procedimento penale si sia concluso con una sentenza irrevocabile di assoluzione perchè “il fatto non sussiste” o che “l’imputato non lo ha commesso“ oppure “non costituisce illecito penale” o altra formulazione analoga, l’autorità disciplinare procedente, in base all’art. 55-ter, comma 4, del d. lgs. 165/2001, deve riprendere il procedimento disciplinare per l’adozione delle determinazioni conclusive, così come disposto dall’art. 653, comma 1, c.p.p., per il quale il giudicato penale, nel caso di assoluzione, ha efficacia nel giudizio per responsabilità disciplinari.

Se, però, nel procedimento disciplinare sospeso siano state contestate altre violazioni disciplinari che non si correlino con i fatti oggetto del  giudizio penale conclusosi con l’assoluzione, il procedimento disciplinare deve essere  ripreso e proseguire secondo i tempi e le modalità di cui all’art. 55-ter, comma 4, del d. lgs. 165/2001.

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE NON SOSPESO E CONCLUSO CON SANZIONE  E PROCEDIMENTO PENALE CONCLUSO CON ASSOLUZIONE

Qualora il procedimento disciplinare non sospeso si concluda con l’irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale venga definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione, che non attribuisce colpe al dipendente, perchè “il fatto non sussiste” o “non costituisce illecito penale” oppure “l’imputato non lo ha commesso” o altra formulazione analoga, lo stesso dipendente può, entro il termine perentorio di 6 mesi dall’irrevocabilità della pronuncia penale ( e non da quando il dipendente ne è venuto a conoscenza), chiedere all’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari (U.P.D.) la riapertura del procedimento con il quale gli è stata irrogata la sanzione.

L’U.P.D. deve, entro 60 giorni, riaprire il procedimento disciplinare – tenendo conto di  quanto stabilito all’esito del giudizio penale – e accertare se il precedente atto conclusivo debba essere modificato o confermato.

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE NON SOSPESO E CONCLUSO CON L’ARCHIVIAZIONE E PROCEDIMENTO PENALE CONCLUSO CON SENTENZA DI CONDANNA

Qualora il procedimento disciplinare si sia concluso con l’archiviazione e il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l’U.P.D. deve riaprire – mediante rinnovo della contestazione di addebito – entro 60 giorni dalla comunicazione della sentenza integrale (da parte della cancelleria del giudice all’amministrazione di appartenenza  del dipendente), il procedimento disciplinare e adeguare le precedenti determinazioni adottate, tenendo in debita considerazione quanto emerso all’esito del giudizio penale.

Per quanto concerne le modalità e i tempi di questo nuovo procedimento,  il comma 4 dell’art. 55-ter, del d. lgs. 165/2001, rinvia a quanto previsto dall’art. 55-bis, sicchè il nuovo iter punitivo dovrà concludersi entro il termine perentorio di 120 giorni.

ADEMPIMENTI DELLE CANCELLERIE

La cancelleria del giudice che ha pronunciato una sentenza penale di  condanna nei confronti di un lavoratore dipendente di una Pubblica Amministrazione deve comunicare il dispositivo all’Amministrazione di appartenenza e, su richiesta di questa, trasmettere copia integrale del provvedimento.

La comunicazione e la trasmissione devono essere effettuate con modalità telematiche, ai sensi del d. lgs. 7 marzo 2005, n. 82, entro 30 giorni dalla data del deposito.

(Si veda art. 154-ter, disp. att. c.p.c.).

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