Prospective overruling: la recente sentenza delle Sezioni Unite

in Giuricivile, 2019, 5 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., SS. UU. civ., sentenza n. 4135 del 12.2.2019

I mutamenti giurisprudenziali aventi ad oggetto l’interpretazione di una data disposizione normativa se, da un lato, costituiscono il frutto della normale dinamicità dell’attività ermeneutica, dall’altro, se repentini e innovativi, possono collidere con la tutela del legittimo affidamento, in particolar modo per quanto riguarda i rapporti giuridici già nati che producono ancora effetti al momento in cui si verifica la variazione esegetica.

La soluzione alla questione richiamata è stata ricercata volgendo lo sguardo agli ordinamenti di common law in cui il precedente vincolante (cd. stare decisis) è annoverato tra le fonti del diritto. In tali sistemi, in origine si attribuiva ai mutamenti giurisdizionali improvvisi, cd. overruling, una piena portata retroattiva: la regola iuris elaborata dal nuovo orientamento giurisprudenziale si estendeva automaticamente ad ogni rapporto giuridico sostanziale e processuale esistente, a prescindere dal momento in cui fosse sorto.

La previsione de qua ha poi subito un temperamento proprio attribuendo rilievo al legittimo affidamento formatosi sull’originario precedente giudiziario nel caso in cui dall’eventuale applicazione retroattiva del nuovo orientamento fosse derivato una decadenza o una preclusione processuale prima non prevista.

Il legittimo affidamento formatosi sull’originario precedente giudiziario, per l’imprevedibilità del suo superamento, è, pertanto, considerato come uno sbarramento alla normale retroattività dell’overruling e realizza il cd. prospective overruling, in forza del quale il giudice deve continuare ad applicare il precedente orientamento giurisprudenziale alla controversia portata alla sua attenzione.

Prospective ovverulling: definizione ed effetti

Più chiaramente, il prospective overruling (o, più correttamente, la tutela in tali casi accordata) è un meccanismo finalizzato a porre la parte al riparo dagli effetti nocivi di mutamenti imprevedibili delle “regole del gioco” attraverso la sterilizzazione delle conseguenze pregiudizievoli del nuovo indirizzo interpretativo.

La questione, traslata nell’ordinamento italiano, ovviamente subisce gli effetti del ruolo riconosciuto alla giurisprudenza nella gerarchia delle fonti.

È noto, infatti, che non trova rilievo nel nostro ordinamento il principio dello stare decisis, non menzionato nell’art. 1 disp. prel. c.c., nonché nell’art. 101 Cost. secondo cui “ i giudici sono soggetti soltanto alla legge”.

La stessa previsione di cui all’art. 374 co. 3 cpc (specularmente nell’art. 99 co. 3 c.p.a.) per cui “se una sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso” non è qualificata da unanime dottrina come introduzione del principio del precedente vincolante anche per la direzione soggettiva del vincolo alle sole sezioni semplici della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, ma non anche ai giudici di merito (Tribunali e Corti d’Appello) e per l’assenza di una sanzione processuale con effetto invalidante di una decisione con cui una sezione semplice si discosta dal precedente.

Così inteso, nel nostro ordinamento dovrebbe escludersi l’applicazione del regime del prospective overruling ai mutamenti giurisprudenziali che comportino effetti preclusivi per una parte processuale.

La giurisprudenza assolve, infatti, a una funzione meramente dichiarativa, intesa a riconoscere l’esistenza e l’effettiva portata del diritto già posto (art. 101 Cost., comma 2), con esclusione formale di un’efficacia direttamente creativa di esso e senza possibilità di interferire sul terreno della vigenza della legge.

Eppure, se il principio dello stare decisis è estraneo alla tradizione italiana, non lo è quello del legittimo affidamento, espressione del principio di buona fede, principio generale dell’ordinamento che si impone sia al legislatore che al giudice.

La funzione dichiarativa della giurisprudenza non esclude, cioè, che i mutamenti di giurisprudenza naturalmente retroattivi, perché operanti sulla fattispecie concreta anteriore alla decisione del giudice, possano porre problemi di tutela della parte che abbia conformato la propria condotta processuale al precedente orientamento giurisprudenziale.

Si è così imposta la necessità di individuare i rimedi idonei a tutelare il legittimo affidamento formatosi intorno all’interpretazione poi oggetto di overruling giurisprudenziale.

Se è vero in generale che l’interpretazione di una norma processuale, successivamente affermatasi, non integri uno ius superveniens, di cui si debba predicare la necessaria irretroattività, in quanto essa semplicemente rilegge l’enunciato ed è come tale destinata ad applicarsi sin dall’inizio, resta il fatto che l’originaria difforme lettura giurisprudenziale ha (o può aver) creato “l’apparenza di una regola” .

Gli orientamenti dottrinali e la giurisprudenza

La dottrina, che si occupa da tempo della questione, ha suggerito talvolta il ricorso alla compensazione delle spese processuali e l’esclusione della responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c. (Ruffini). Dottrina più attenta ha però individuato lo strumento elettivamente più indicato in caso di overruling nell’istituto della rimessione in termini ex art. 154 c.p.c. assimilando il carattere imprevedibile di un mutamento giurisprudenziale produttivo di effetti preclusivi alla “non imputabilità” della causa o alla “scusabilità” dell’errore da cui è dipesa la decadenza in cui è incorsa la parte.

La ricostruzione, già fatta propria sia dalla giurisprudenza civile che dalla giurisprudenza amministrativa nell’Adunanza Plenaria 22/2016, è stata da ultimo accolta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a pronunciarsi nuovamente sulla questione e sulla possibile estensione della prospective overruling alle norme sostanziali.

È noto, infatti, che la giurisprudenza di legittimità ha tradizionalmente limitato la prospective overruling alle sole norme processuali e non anche a quelle sostanziali in ragione del fatto che solo nella prima ipotesi l’eventuale applicazione retroattiva di una interpretazione innovativa esporrebbe la parte in una condizione di legittimo affidamento al rischio di una incerta definizione in rito della controversia, riversandosi pregiudizialmente sull’effettività del diritto di azione e di difesa.

Ebbene, è stato richiesto alle Sezioni unite se fosse estensibile il concetto di prospective overruling alla legge sostanziale, anche a prescindere dai mutamenti degli indirizzi consolidati del giudice di legittimità, e se, indipendentemente da ciò, nella nozione di “causa non imputabile” (art. 153 c.p.c.) possa rientrare l’assenza di colpa nell’incorrere nella decadenza, quando si sia creato un ragionevole affidamento sulla portata “letterale” di una disposizione di legge.

La decisione delle Sezioni Unite

La questione muove dalla mancata impugnazione di un lodo arbitrale per errori di diritto relativi al merito  di una controversia, fondata su’un errata interpretazione del D.Lgs. n. 40 del 2006 intervenuto in riforma dell’art. 829 c.p.c. ed è occasione per definire, ancora una volta, i confini dell’overruling, per un’eccessiva estensione in linea con l’esigenza di contemperare da una parte il principio del legittimo affidamento, dall’altra quello dell’assenza dello stare decisis negli ordinamenti di civil law.

Le sezioni unite escludono la prospective overruling nel caso in cui la condotta processuale della parte (nel caso di specie, la sua scelta di non impugnare il lodo per violazione di regole di diritto relative al merito della controversia) sia stata determinata non dall’adesione ad un orientamento interpretativo della Corte di cassazione, ma da una personale lettura in senso restrittivo di nuove disposizioni modificative delle precedenti (nella specie, dell’art. 829 c.p.c., introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, quanto ai motivi di impugnabilità del lodo in presenza di convenzioni arbitrali stipulate anteriormente).

Il pregiudizio non imputabile a una “innovativa esegesi interpretativa”, “imprevedibile e repentina rispetto al consolidato orientamento pregresso”, infatti, rende non pertinente il riferimento alla teoria dell’overruling, che attiene propriamente non al rapporto tra la parte (e il suo difensore tecnico) e la legge, in relazione ai possibili e diversi significati ritraibili da quest’ultima, ma al rapporto tra la parte e la giurisprudenza di legittimità, quale unico veicolo di interpretazione del significato della legge “affidabile” per la collettività.

La Corte ribadisce che può parlarsi di prospective overruling quando:

  1. che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo, non anche su disposizioni di natura sostanziale;
  2. che tale mutamento sia stato imprevedibile o quantomeno inatteso e privo di preventivi segnali anticipatori del suo manifestarsi, in ragione del carattere consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, divenuto “diritto vivente” e tale da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso, ipotesi non ravvisabile in presenza di preesistenti contrasti interpretativi o di incertezza interpretativa delle norme processuali ad opera della Corte di cassazione in assenza di un orientamento consolidato della stessa o nel caso in cui la parte abbia confidato nell’orientamento che non è prevalso;
  3. che l’overruling sia causa diretta ed esclusiva di un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte, ponendosi esso quale causa di sopravvenuta inammissibilità, improcedibilità, decadenze o preclusioni, in ragione della diversità delle forme e dei termini da osservare sulla base dell’orientamento sopravvenuto alla proposizione del ricorso, che abbia reso impossibile una decisione sul merito della pretesa azionata in giudizio.

Quanto al punto 1) si esclude, allora, espressamente la prospective overruling in caso di mutamenti interpretativi di norme di diritto sostanziale, che incidono su atti di autonomia privata o fatti illeciti o comunque compiuti, sui quali neppure al legislatore è consentito di intervenire vertendosi su un terreno extraprocessuale cui è estraneo l’istituto della rimessione in termini, di stretta interpretazione.

Quanto al punto 2) la Corte chiarisce cosa si intende per “ diritto vivente”  chiarendo che le pronunce adottate in sede di merito non sono idonee ad integrare un diritto vivente” e, quindi, a giustificare un affidamento qualificato, in quanto tale meritevole di tutela con il rimedio dell’overruling, che è riconoscibile solo in presenza di stabili approdi interpretativi del giudice di legittimità, eventualmente a Sezioni Unite, in linea con la previsione di cui all’art. 374 c.p.c.

Esclusa l’overruling nel caso di specie, si specifica poi l’impossibilità di procedere con la rimessione in termini per “errore scusabile” determinato non da overruling, ma da errata interpretazione della nuova normativa ad opera della parte: “alla nozione di “causa non imputabile” è estraneo, invece, l’errore derivante dalla scelta processuale della parte, seppure determinata da una difficile interpretazione di norme processuali nuove o di complessa decifrazione, risolvendosi in un errore di diritto che, di regola, non può giustificare la rimessione in termini per evitare o superare la decadenza da un termine processuale e per giustificare impugnazioni tardive”.

Un uso eccessivamente ampio della discrezionalità del giudice che l’istituto presuppone, lungi dal rafforzare l’effettività della tutela giurisdizionale, potrebbe alla fine risolversi in un grave vulnus del pariordinato principio di parità delle parti sul versante del rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale (Cons. di Stato, sez. 4^, 14 maggio 2015, n. 2458; sez. 5^, 23 febbraio 2015, n. 889).

La Corte conclude, però, chiarendo che non si esclude la possibilità di ammettere la rimessione in termini per errore di diritto, sempre che sia determinato da stati di fatto cui la parte rimanga del tutto estranea, imputabili alla controparte (specie se si tratti di soggetti in via di principio affidabili, come le pubbliche amministrazioni) o a terzi.

Redattore di manuali per la preparazione post – universitaria in materia di diritto civile e diritto amministrativo. Coordinatore e revisore scientifico di opere collettanee in materia di diritto civile e societario, diritto penale e diritto amministrativo. Ha conseguito il diploma di SSPL ed è laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II con tesi in diritto processuale civile su “La rimessione in termini nel processo civile”.

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