Molteplici sono le questioni sollevate e i contrasti risolti dalla giurisprudenza in riferimento al particolare rapporto sussistente tra il contratto di compravendita e il contratto di appalto. Queste due fattispecie contrattuali, infatti, possono assumere dei connotati interscambiabili tali da non permettere una netta e chiara distinzione e provocando incertezze circa la disciplina da applicare.
Ebbene, se in sede di stipula di un preliminare di vendita, il promittente venditore è anche il costruttore del bene compravenduto, quest’ultimo assume la veste di appaltatore e, conseguentemente, il promissario acquirente la veste di committente o ai due si applica esclusivamente la disciplina della compravendita?
A tale interrogativo ha dato risposta la Cassazione con la sentenza n. 26574 del 9 novembre 2017.
Il fatto
La vicenda, da cui è sorta la questione, ha ad oggetto la richiesta di condanna di una società immobiliare all’eliminazione dei vizi riscontrati negli immobili dalla stessa costruiti.
Gli attori lamentavano numerose difformità tra gli immobili realizzati e il precedente progetto edilizio (vi erano unità abitative che avevano presentato fenomeni di infiltrazioni di acqua dalle finestre, un raggio di curva troppo stretto per l’accesso ai garage, l’allagamento continuo degli scantinati con conseguente rigonfiamento degli intonaci e deterioramento della tinteggiatura …) e, pertanto, agivano ai sensi dell’art. 1668 c.c. chiedendo alla società la rimozione dei vizi e il risarcimento dei danni subiti.
In tal modo, dunque, i proprietari degli immobili procedevano a qualificare il rapporto giuridico insorto con la società immobiliare nella species del contratto di appalto, ex art. 1655 c.c., e domandavano l’applicazione della relativa disciplina giuridica.
La ricorrente società immobiliare, di contro, sosteneva innanzi alla Corte di Cassazione che il suddetto rapporto giuridico dovesse essere qualificato come un ordinario contratto di compravendita e, pertanto, era inibito alle controparti esperire l’azione di eliminazione dei vizi ex art. 1668 c.c., ma procedere esclusivamente secondo la disciplina dettata dall’art. 1492 c.c.
Confronto tra il contratto di compravendita e il contratto di appalto
Prima di fissare e chiarire la soluzione adottata dalla Suprema Corte, è necessario individuare, brevemente, la distinta disciplina che interessa il contratto di compravendita e il contratto di appalto.
In primo luogo, è utile ricordare che alla luce del principio consensualistico, espresso dall’art. 1376 c.c., nei contratti aventi ad oggetto il trasferimento di un bene o di un diritto reale la proprietà si acquista per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato.
Da ciò ne consegue che, mentre nel contratto di compravendita il bene, anche se ancora inesistente, è immediatamente trasferito nell’asse proprietario dell’acquirente con conseguente passaggio del rischio, nel contratto di appalto, invece, il bene è formalmente trasferito al committente esclusivamente nel momento il cui lo stesso è perfezionato e, pertanto, il rischio di deterioramento della res permane sull’appaltatore.
Tale logico assunto comporta che se il bene perviene all’acquirente affetto da vizi o imperfezioni, quest’ultimo non può richiedere al venditore di apportare modificazioni al bene, essendo ormai lo stesso di proprietà dell’alienatario; tutt’al più egli può domandare a scelta la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo ai sensi dell’art. 1492 c.c.
Distintamente opera, invece, l’azione di garanzia nel contratto di appalto, poiché, ai sensi dell’art. 1668 c.c., il committente che riscontra dei vizi o delle difformità nell’opera realizzata può chiedere:
- che gli stessi siano eliminati a spese dell’appaltatore;
- che il prezzo sia proporzionalmente diminuito;
- la risoluzione del contratto se le difformità o i vizi sono tali da rendere l’opera inadatta alla sua destinazione.
Alla luce di ciò è possibile arguire che l’azione di garanzia ha un raggio di copertura più esteso nel contratto di appalto che nel contratto di compravendita, ciò proprio in virtù del distinto momento in cui il consenso legittimamente prestato dalle parti esplica i suoi effetti.
A questo si aggiunge, altresì, che l’azione di garanzia prevista nei due contratti oggetto di disamina configura una obbligazione accessoria, che si connota come un rimedio rafforzativo e non sostitutivo; cioè non sostituisce alla obbligazione principale un distinto rapporto obbligatorio, ma ha esclusivamente la funzione di rafforzare il legale sorto in origine tra le parti.
Tuttavia, nel contratto di appalto l’azione di garanzia può, anche, dar vita ad una autonoma e distinta obbligazione: l’obbligazione di facere, qualora l’appaltatore, su richiesta del committente, sia costretto ad agire per la rimozione dei vizi o delle difformità dell’opera.[1] Tale nuovo rapporto si affianca alla originaria obbligazione di garanzia, senza estinguerla e, pertanto, è soggetto non già ai termini di prescrizione e decadenza stabiliti per quella garanzia, ma all’ordinario termine di prescrizione decennale fissato per l’adempimento contrattuale.
Tale inferenza deduttiva configura un ulteriore elemento di distinzione tra la disciplina del contratto di appalto e quella del contratto di compravendita; poiché nella vendita l’autonoma obbligazione di facere può sorgere esclusivamente nel caso in cui il venditore si impegni di sua sponte ad eliminare i vizi e tale impegno sia accettato dal compratore, non potendo quest’ultimo avanzare per legge tale richiesta.[2]
La questione sollevata dalla società di costruzione
Nella sentenza in commento, la società costruttrice lamenta una violazione dell’art. 12 delle preleggi in ordine ai limiti dell’applicazione analogica previsti della norma stessa. La ricorrente società, infatti, ritiene errata la qualificazione del contratto stipulato come appalto, sostenendo, invece, che si tratta del distinto contratto di compravendita immobiliare sottoposto alla disciplina propria della garanzia prevista dall’art. 1495 c.c.
Di contro, l’interpretazione del contratto divisato dai soggetti proprietari degli immobili propendeva per una applicazione analogica della disciplina della garanzia dell’appalto ai sensi dell’art. 1667 c.c., atteso che la società venditrice era anche la costruttrice degli immobili.
La Corte di Cassazione risolve il contrasto, richiamando la sentenza Cass. n. 11540/1992, la cui massima recita che:
“la circostanza che il venditore sia anche il costruttore del bene compravenduto, non vale ad attribuirgli la veste di appaltatore nei confronti dell’acquirente e a quest’ultimo la qualità di committente nei confronti del primo. L’acquirente non può, dunque, esercitare l’azione per ottenere l’adempimento del contratto d’appalto e l’eliminazione dei difetti dell’opera a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., spettando tale azione esclusivamente al committente del contratto di appalto. Diversa, invece, è l’azione prevista dall’art. 1669 c.c. di natura extracontrattuale che opera, non solo, a carico dell’appaltatore nei confronti del committente, ma anche a carico del costruttore nei confronti dell’acquirente.”
La Suprema Corte, pertanto, oltre a rimarcare in modo netto la distinta disciplina tra il contratto di appalto e il contratto di compravendita, ritiene, altresì, la possibilità di estendere per analogia l’azione prevista dall’art. 1669 c.c. per l’appalto anche alla compravendita.
Tale norma, infatti, prevede la responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa per la rovina e i difetti di beni immobili. Tale responsabilità ha natura extracontrattuale e, pertanto, comporta ai sensi dell’art. 2043 c.c.:
- una condotta dolosa o colposa dell’appaltatore;
- la ingiusta lesione dei diritti del committente;
- la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta lesiva e il danno ingiusto provocato.
L’art. 1669 c.c. mira, nello specifico, a una finalità di ordine pubblico e, pertanto, è applicabile non solo nei confronti dell’appaltatore, ma altresì nei confronti del venditore che abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità.
Conclusioni
Allorquando il venditore sia anche il costruttore di un immobile, il contratto sottoscritto con l’acquirente è un mero contratto di compravendita e, pertanto, allo stesso non è applicabile per analogia anche la disciplina del contratto di appalto. Ciò alla luce del principio di certezza del diritto e di certezza dei rapporti giuridici.
Tuttavia, al venditore può essere estesa per analogia la disciplina della responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 1669 c.c. per l’appalto in ipotesi di rovina o difetti di beni immobili.
[1] Cass. Sez. II, 4 gennaio 2018 n. 62
[2] Cass. Sez. Un. 13 novembre 2012 n. 19702