La prelazione è il diritto che attribuisce al titolare una posizione di preferenza rispetto ad altri soggetti, a parità di condizioni, ai fini della costituzione di un determinato negozio giuridico.
A seconda della fonte del diritto si suole distinguere tra
- prelazione legale, se il fondamento sia la legge;
- prelazione volontaria, laddove esso derivi dall’accordo delle parti.
Il concedente rimane libero di scegliere se stipulare il contratto o meno ma, qualora decida di contrarre, è obbligato a farlo con il titolare del diritto di prelazione.
In particolare, il primo è tenuto alla c.d. denuntiatio, mediante la quale comunica al secondo la volontà di stipulare un contratto nonché le relative condizioni ed il termine, in modo che questi possa decidere se esercitare o meno il proprio diritto.
Diversi sono i rimedi esperibili in caso di omessa comunicazione ovvero di mancato rispetto dell’obbligo di concludere il contratto con il prelazionario, rimedi che variano a seconda della tipologia di prelazione.
1. Prelazione del coerede e retratto successorio (art. 732 c.c.)
L’art. 732 c.c. impone al coerede che voglia alienare ad un estraneo la sua quota o parte di questa di notificare la proposta di vendita, con indicazione del prezzo, agli altri coeredi, i quali hanno diritto di prelazione, da esercitarsi entro due mesi.
In caso di omessa notificazione, “i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall’acquirente e da ogni successivo avente causa”.
La giurisprudenza precisa che “la c.d. denuntiatio della vendita, per essere conforme all’art. 732 c.c., deve risultare tale da permettere al destinatario di comprendere concretamente il tenore dell’offerta e valutarne in tutti i suoi elementi la convenienza, per stabilire se esercitare, o meno, il diritto di prelazione”[1].
Varie sono state le ricostruzioni della ratio della norma in commento.
In passato autorevole dottrina richiamava la volontà negativa di impedire l’ingresso nella comunione di soggetti estranei al nucleo familiare, potenzialmente spinti da un intento speculativo.
Tuttavia, essendo l’art. 732 c.c. applicabile anche alla successione testamentaria, non sempre i coeredi sono legati da un vincolo di parentela.
Altri hanno ritenuto che lo scopo fosse evitare un eccessivo frazionamento della massa ereditaria, ma a questa lettura è stato contestato che la vendita della quota non comporta necessariamente il frazionamento della massa ereditaria, essendo ben possibile, al contrario, che i coeredi vendano le proprie quote ad un unico acquirente.
Secondo condivisibile opinione, l’obiettivo sarebbe piuttosto quello di favorire la concentrazione dei beni oggetto di comunione nelle mani di pochi soggetti, anche a prescindere da vincoli di parentela, al fine di agevolare la divisione, permettere un migliore sfruttamento economico del patrimonio e ridurre le liti tra coeredi.
L’interesse tutelato – quello degli eredi, sia singolarmente che come gruppo, e quello dei creditori del de cuius a vedere favorita una più rapida realizzazione del proprio credito nei confronti di un numero chiuso e certo di debitori – ha carattere privato.
Tale natura emerge in maniera ancora più pregnante se si considerano le altre ipotesi di prelazione legale:
- la prelazione agraria (l. 590/1965) tutela l’interesse pubblico, in quanto generale, di evitare l’eccessivo frazionamento della proprietà terriera e a favorire lo sviluppo della piccola e media impresa agricola, in coerenza col disposto costituzionale di cui all’art. 44 Cost.;
- la prelazione urbana (l. 392/1978) tutela interessi della collettività legati alla produttività dell’impresa;
- la prelazione dello Stato nell’acquisto di beni culturali (d.lgs. 42/2004) l’esigenza di conservazione del patrimonio artistico nazionale;
- la prelazione del partecipante all’impresa familiare (art. 230bis c.c.) gli interessi di tipo familiare, ma sempre nell’ottica della produttività dell’azienda.
Da ciò deriva che il coerede avente diritto a prelazione e riscatto può preventivamente rinunciarvi, come di recente confermato dalla Cassazione, per cui “il coerede può rinunciare al diritto di prelazione per l’acquisto della quota non solamente al momento in cui gli viene presentata la proposta di vendita (c.d. denuntiatio), ma anche in maniera preventiva”[2]. Inoltre, il testatore può escluderne o limitarne l’operatività.
L’art. 732 c.c. si riferisce alla sola comunione ereditaria e non a quella ordinaria né a quella tra legatari.
In primis l’art. 1116 c.c., nell’individuare la disciplina sulla divisione applicabile alla comunione ordinaria, rinvia alle norme sulla divisione dell’eredità, mentre prelazione e riscatto non sono operazioni divisorie.
In secondo luogo la norma pone un’eccezione alla regola per cui ciascun comunista può disporre liberamente della propria quota (art. 1103 c.c.). Infine, trattandosi di norma eccezionale, non è suscettibile di interpretazione estensiva.
1.1. Ambito applicativo dell’art. 732 cc
Questioni sono sorte in riferimento all’ambito applicativo, tanto soggettivo quanto oggettivo, della norma de qua.
Sotto il primo profilo, c’è chi ha ritenuto coerede solo il successore diretto del de cuius e chi ha considerato tale chiunque abbia diritto alla divisione in quanto titolare di una quota di eredità.
Il secondo profilo concerne invece l’individuazione dei negozi che costituiscono alienazione ai sensi dell’art. 732 c.c.
Secondo dottrina e giurisprudenza unanimi si tratterebbe dei negozi a titolo oneroso con origine e fondamento nella volontà dell’alienante, con conseguente esclusione delle donazioni e degli altri negozi a titolo gratuito, nonché delle vendite forzate.
Vi rientra la vendita, anche se alcune sua versioni appaiono ambigue, quali la vendita con patto di riscatto, con riserva di usufrutto, con riserva di proprietà e la vendita condizionata.
Dubbi riguardano la permuta, rispetto alla quale si distingue a seconda che l’oggetto consista in un bene infungibile (inapplicabilità dell’art. 732 c.c.) o un bene fungibile (applicabilità).
Ancora, vi rientra la datio in solutum, caso in cui il coerede debitore si libera dal proprio obbligo trasferendo al creditore tutta o parte della propria quota: se la notifica c’è stata, gli altri coeredi possono esercitare la prelazione e pagare al coerede alienante un prezzo pari al valore del suo debito verso il terzo creditore, mentre laddove la notifica sia mancata, possono riscattare la quota dal terzo acquirente sempre pagandogli tale somma[3].
2. La prelazione del partecipante all’impresa familiare (art. 230 bis cc)
Il comma 5 dell’art. 231bis c.c. stabilisce che, qualora si proceda a divisione ereditaria ovvero a trasferimento d’azienda, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto di prelazione sull’azienda.
La norma, poi, rinvia all’art. 732 c.c. che disciplina, come sopra analizzato, il diritto di prelazione dei coeredi.
Il richiamo che la norma de qua fa all’art. 732 “nei limiti in cui è compatibile” è stato oggetto di differenti letture: per alcuni, in caso di cessione d’azienda, sarebbe applicabile unicamente la disciplina della prelazione, sicché l’impedimento all’esercizio del diritto per mancata notificazione dell’intenzione di cedere l’azienda comporterebbe solo la possibilità di risarcimento del danno, mentre ad avviso di altri sarebbe applicabile altresì la regola del riscatto, anche se adattata all’istituto.
La Cassazione[4] che si è occupata della questione, è partita innanzitutto da un’interpretazione letterale, osservando che il rinvio non concerne la disciplina dell’esercizio del diritto di prelazione ma il diritto di prelazione in sé.
L’art. 732, sotto la rubrica “diritto di prelazione”, non disciplina solo l’esercizio del diritto in discorso, ma anche il suo possibile evolversi in diritto di riscatto presso i terzi acquirenti.
Spostando poi l’attenzione sulla ratio dell’istituto, emerge la volontà legislativa di tutelare in maniera più pregnante il lavoro familiare, favorendo nell’acquisto dell’azienda chi, nell’ambito familiare, ha attivamente contribuito alla stessa.
Peraltro la tutela del lavoro – in particolare di quello femminile giacché, seppur non sia detto expressis verbis, ciò emerge dal momento storico di gemmazione della norma – è un valore di rilievo costituzionale, circostanza che impone di estendere quanto più possibile l’ambito applicativo della figura in esame.
Inoltre, in dottrina è stato osservato che la prelazione legale, come quella in discorso, ha sempre natura reale e non obbligatoria.
2.1. Il caso del terzo acquirente di un’impresa familiare
La Corte si è peraltro preoccupata di affrontare le critiche rivolte a questa lettura, in particolare quella per cui una simile soluzione produrrebbe un vulnus sul piano della certezza e sicurezza nella circolazione dei beni, in quanto, mancando un sistema di pubblicità legale, il terzo acquirente di un’azienda non sarebbe in grado di sapere che essa costituisce l’oggetto di un’impresa familiare.
Tuttavia, si è chiarito, nell’ordinamento esistono diversi casi in cui il legislatore ha operato un bilanciamento tra i contrapposti interessi della tutela del lavoro e della famiglia, da un lato, e quelli relativi alla sicurezza nella circolazione dei beni, dall’altra, facendo prevalere i primi.
Caso emblematico è quello della prelazione e del riscatto in favore del coltivatore diretto sul fondo rustico in concessione in caso di sua alienazione, disciplinato dall’art. 8 l. 590/1965, per cui è sufficiente che la coltivazione sia stata esercitata per almeno due anni, a prescindere dalla pubblicità.
In definitiva “se il familiare vuole alienare a terzi la propria quota della società, deve notificare la proposta agli altri coeredi, che hanno diritto di prelazione. In assenza della notifica, scatta la facoltà da parte degli altri familiari di riscattare la quota dell’acquirente”.
3. La prelazione agraria (l. 26 maggio 1965, n. 590)
L’art. 8 riconosce il diritto di prelazione dell’affittuario coltivatore diretto, del mezzadro, del colono o del compartecipante diretto in caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione in enfiteusi di fondi, sussistendo alcuni presupposti di legge.
L’art. 7 ha esteso tale diritto anche al coltivatore diretto di terreni confinanti, purché il terreno oggetto della vendita non sia insediato da altri coltivatori diretti, ipotesi in cui prevale la prelazione dell’affittuario coltivatore diretto.
Dunque, la prelazione del confinante non è una prelazione di secondo grado che sorge per il fatto che il coltivatore insediato abbia omesso di esercitare la propria prelazione, ma è una prelazione che nasce solo se questi soggetti non esistono.
La giurisprudenza di legittimità[5] ha osservato che tale diritto può essere consentito anche al nudo proprietario del fondo confinante, in quanto titolare di un diritto di proprietà ancorché temporaneamente compresso dall’esistenza dell’altrui diritto reale sul medesimo bene, purché però coltivi legittimamente e direttamente il terreno da almeno due anni, in base ad un titolo legittimo, la cui ricorrenza consente, in concorso con gli altri requisiti legali, l’operatività della prelazione e del riscatto.
La ratio è quella di favorire, nel generale interesse dello sviluppo dell’agricoltura, la riunione nella stessa persona della qualità di proprietario del fondo e di lavoratore della terra, laddove il fondamento della prelazione del confinante consiste nella riunione dei fondi per rendere i terreni più redditizi ed espandere la propria attività.
Il diritto de quo deve essere esercitato entro 30 giorni, decorrenti dalla notifica della proposta di alienazione.
Secondo parte della dottrina la denuntiatio configura una proposta contrattuale, dunque avrebbe natura recettizia e forma scritta, mentre l’orientamento prevalente in dottrina ed in giurisprudenza parla di atto giuridico non negoziale, per cui vige la libertà delle forme.
La notifica contenente la proposta di alienazione deve contenere il preliminare di compravendita che indichi il nome dell’acquirente, il prezzo di vendita e le altre norme pattuite.
Di recente la Cassazione[6] ha tuttavia statuito che “deve ritenersi superflua la trasmissione, al prelazionario, del contratto preliminare di compravendita del terreno, ove risulti che il coltivatore diretto abbia già avuto precedente conoscenza, in qualsiasi modo e per iniziativa del proprietario-venditore, della proposta di vendita e delle relative condizioni, dovendosi in tal caso ritenere realizzata la finalità della legge”.
Se il proprietario non provveda alla notificazione o indichi un prezzo superiore da quello pattuito nella vendita, il coltivatore potrà esercitare il diritto di riscatto entro un anno dalla trascrizione dell’acquisto.
Trattasi di un diritto potestativo con cui il coltivatore subentra con effetti retroattivi nel contratto con il terzo, diritto però subordinato alla condizione legale del pagamento del prezzo a favore dell’acquirente. Alla luce del diritto di riscatto, si ritiene che la prelazione in commento abbia effetti reali.
In caso di più coltivatori diretti sul medesimo fondo, essi devono esercitare congiuntamente la prelazione, salvo che uno o più vi rinuncino.
4. La prelazione urbana (l. 27 luglio 1978, n. 392)
Gli artt. 38 e 39 della legge sulle locazioni di immobili urbani prevedono, rispettivamente, il diritto di prelazione ed il diritto di riscatto a favore del conduttore.
In particolare, qualora il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l’immobile locato, deve comunicarlo al conduttore mediante notificazione tramite ufficiale giudiziario.
Tuttavia la giurisprudenza ritiene che tale comunicazione possa essere eseguita anche con mezzi equipollenti a quello della notifica per mezzo di ufficiale giudiziario, come ad esempio tramite lettera raccomandata[7].
Devono essere indicati il corrispettivo, le condizioni della compravendita e l’invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione. Se, entro sessanta giorni, tale esercizio avviene, il conduttore deve pagare il prezzo entro i successivi trenta giorni e, contestualmente, stipulare il contratto di compravendita ovvero il preliminare. Laddove i conduttori siano più d’uno, la notificazione va fatta a tutti, i quali possono esercitare il diritto congiuntamente.
In mancanza della notificazione o di corrispettivo superiore a quello risultante dall’atto di trasferimento, il titolare del diritto di prelazione può, entro sei mesi dalla trascrizione del contratto, riscattare l’immobile dall’acquirente e da ogni successivo avente causa.
Secondo pacifica giurisprudenza “la stipula del contratto preliminare di vendita dell’immobile locato con altro soggetto integra la chiara manifestazione, da parte del locatore, dell’intento di alienare, atteso che da tale momento sorge a suo carico l’obbligo, ai sensi dell’art. 38 l. 27 luglio 1978 n. 392, di darne comunicazione al conduttore con atto notificato e corredato di tutte le indicazioni circa le condizioni della compravendita, mentre è irrilevante che il contratto definitivo debba essere stipulato in data successiva alla cessazione del rapporto locatizio”[8].
L’art. 38 precisa, tra l’altro, che la disposizione non trova applicazione del caso di cui all’art. 732 c.c. e quindi “anche qualora il coerede alieni la sua quota a persona estranea alla comunione ereditaria, stante il tenore letterale dell’art. 38 citato e tenuto conto dell’esigenza di garantire al comproprietario di altra quota ereditaria la possibilità di esercitare – nei confronti del terzo acquirente – il retratto successorio, diritto, quest’ultimo, che può essere esercitato dal quotista finché dura lo stato di comunione ereditaria, mentre il conduttore può esercitare il diritto di riscatto entro il termine di sei mesi”[9].
5. La prelazione dello Stato in caso di acquisto di beni culturali (d.lgs. 42/2004)
L’originario dettato normativo di cui alla l. 1 giugno 1939, n. 1089, è stato ora sostituito con il d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio).
L’art. 60 configura in capo al Ministero, ed in certi casi alla regione o agli altri enti pubblici territoriali interessati, il diritto di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso o conferiti in società.
Tale diritto deve essere esercitato entro sessanta giorni dalla ricezione della denuntiatio ovvero, in caso di omissione o incompletezza, entro centottanta giorni da quando ne sia venuto a conoscenza.
In pendenza di tale termine l’atto di alienazione è sospensivamente condizionato all’esercizio della prelazione ed all’alienante è precluso consegnare la res.
La giurisprudenza ha di recente precisato che il fatto che la condizione sospensiva sia menzionata nell’atto di compravendita non la trasforma da condizione legale in volontaria, in quanto essa trova la sua fonte in norme di legge e non nella volontà negoziale, tant’è che opera a prescindere dal richiamo delle parti.
Dalla natura legale di questa, per cui la legge non prevede alcuna prescrizione formale, consegue che “non si pone alcun obbligo di evidenza pubblicitaria per la stessa e, quindi, di conseguenza, nessuna formalità di annotazione mediante cancellazione della condizione”. I terzi, si osserva, sono comunque tutelati in quanto, essendo a conoscenza per legge della condizione, ben potranno accertarsi dell’avvenuto o del mancato avveramento[10].
Le Sezioni Unite hanno avuto modo di precisare, tempo addietro e quindi con riferimento alla previgente disciplina di cui all’art. 31 l. 1089/1939, che tale diritto di prelazione a favore dello Stato “costituisce espressione di un potere statale di supremazia per il conseguimento dell’interesse pubblico alla conservazione ed al generale godimento di determinati beni e si esercita per mezzo di un atto amministrativo che affievolisce il diritto del privato, rendendo la relativa situazione giuridica tutelabile davanti al giudice amministrativo, ove si contesti la legittimità di tale esercizio, mentre, qualora l’interessato ponga a fondamento delle sue pretese l’assunto della carenza del potere stesso, come nel caso di esercizio della prelazione dopo la scadenza, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, essendo la controversia attinente alla tutela del diritto soggettivo di proprietà”[11].
Infine, il peculiare procedimento per la prelazione è disciplinato dall’art. 62.
6. La prelazione societaria nelle s.r.l. (art. 2469 c.c.)
Il comma 1 dell’art. 2469 c.c., in tema di s.r.l., dispone la libera trasferibilità delle quote per atto tra vivi e a causa di morte, facendo salva una diversa disposizione dell’atto costitutivo.
L’inciso, ammettendo una limitazione a tale regola, porta a ritenere che sia possibile introdurre nell’atto costitutivo una clausola di prelazione che obbliga il socio, qualora decida di alienare le proprie quote, ad offrirle agli altri soci alle medesime condizioni concordate con i terzi.
Quanto alla ratio di tale strumento, secondo parte della dottrina consisterebbe nell’interesse dei soci ad impedire modificazioni nel gruppo sociale mediante l’ingresso di terzi ovvero mediante un mutamento delle rispettive partecipazioni. È stato però osservato che, una volta inserita nell’atto costitutivo, la clausola svolge una funzione organizzativa, dunque non permette di perseguire solo l’interesse dei soci ma anche della società.
In tale prospettiva, la giurisprudenza[12] ha sottolineato che questa, pur nascendo come patto parasociale e quindi come accordo tra i soci, in ragione dell’importanza che riveste, assume un carattere sociale, quale elemento della struttura organizzativa della società e parte integrante dell’atto costitutivo.
Di recente la Suprema Corte ha precisato gli effetti del patto di prelazione per la cessione di quote di società, distinguendo il caso in cui tale patto sia concluso dai soci ma non inserito nello statuto da quello in cui invece sia statutariamente previsto.
Nella prima ipotesi la pattuizione è idonea a generare obblighi e diritti reciproci in capo alle parti che lo abbiano stipulato. In particolare, da un lato c’è l’obbligo a carico del socio o dei soci che intendano disfarsi della partecipazione sociale di darne comunicazione agli altri e di preferirli ad ogni altro acquirente, a parità di condizioni, dall’altro il diritto degli altri soci di ricevere tale comunicazione e di essere preferiti nell’acquisto.
La natura pattizia della prelazione implica che essa, in linea di principio, ha effetto solo tra le parti e non rispetto a terzi. Dal carattere obbligatorio e non reale deriva che la violazione dell’obbligo e la cessione della quota a terzi dà luogo ad una pretesa risarcitoria, mentre l’acquisto dal terzo estraneo al patto rimane salvo, non essendo tale patto opponibile a terzi.
Qualora invece il patto di prelazione sia inserito nell’atto costitutivo o nello statuto della società, esso assume, accanto alla sua intrinseca natura di patto parasociale, anche carattere sociale. Tale inserimento, invero, mira ad attribuirle rilevanza per la società nel suo complesso, dal momento che atto costitutivo e statuto ne regolano organizzazione e funzionamento.
La clausola avrà allora efficacia reale, con conseguente opponibilità dei propri effetti a terzi. Ciononostante, la Cassazione esclude il diritto al riscatto del bene mediante la proposizione di una domanda di retratto, giacché per giurisprudenza consolidata la prelazione convenzionale, avendo efficacia obbligatoria, è efficace e vincolante per i soli contraenti e non per i terzi estranei.
In altre parole, il patto di prelazione inserito nell’atto costitutivo, ancorché opponibile a terzi in quanto afferente alla struttura della società, rimane comunque di natura convenzionale, sicché la sua violazione legittima esclusivamente l’esperimento del rimedio risarcitorio.
L’art. 2469 c.c., infatti, non prevede un diritto di prelazione, ma si limita a consentirne il patto, dunque la prelazione avrà pur sempre natura convenzionale. Peraltro, il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell’acquirente mediante il retratto non è un rimedio generale in caso di violazioni di obbligazioni contrattuali, ma solo una forma di tutela specificamente apprestata dalla legge e conformativa dei diritti di prelazione, previsti per legge[13].
[1] Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 2017, n. 1358.
[2] Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2016, n. 16314.
[3] N. Atlante, In tema di prelazione del coerede, in Rivista del Notariato, fasc. 1, 2017, p. 158.
[4] Cass. civ., sez. lav., 19 novembre 2008, n. 27475.
[5] Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2016, n. 22887.
[6] Cass. civ., sez. VI, 13 febbraio 2017, n. 3760.
[7] Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2010, n. 20807.
[8] Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2014, n. 11247.
[9] Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2010, n. 13838.
[10] Cass. civ., sez. I, 11 maggio 2016, n. 9618.
[11] Cass. civ., Sez. Un., 15 aprile 2003, n. 5993.
[12] Cass. civ., sez.I, 26 novembre 1998, n. 12012.
[13] Cass. civ., sez. I, 2 dicembre 2015, n. 24559.