Notoriamente, il rapporto tra Cliente e Banca è asimmetrico: è la Banca a possedere le nozioni tecniche necessarie alla predisposizione del contratto, mentre il Cliente – generalmente non esperto del settore – non può che “fidarsi”.
Per ovviare a tale “asimmetria informativa”, l’art. 117 TUB prevede un particolare obbligo di trasparenza a carico della Banca, che si estrinseca nella forma scritta ad substantiam del contratto concluso con il Cliente. Il Legislatore ritiene che mettendo “nero su bianco” le condizioni di contratto, il Cliente possa conoscere meglio i termini che regoleranno il suo rapporto con l’istituto di credito.
L’obbligo di forma scritta vale anche per il contratto di mutuo, al quale deve altresì essere allegato il c.d. “piano di ammortamento”, ossia l’indicazione delle singole rate mensili che il Cliente andrà a pagare dall’apertura sino all’estinzione del mutuo.
Peraltro, in molti casi, l’obbligo di forma scritta non è sufficiente a tutelare al meglio il Cliente che – a distanza di anni dalla sottoscrizione del contratto di mutuo – può trovarsi di fronte a brutte sorprese. Difatti, pur dovendo allegare il piano di ammortamento, la Banca non è obbligata a rendere noti i calcoli compiuti per giungere alla determinazione della rata mensile di mutuo. Di più! Rispetto a tale rata, la Banca non è tenuta ad indicare l’importo da imputarsi al capitale e quello da imputarsi agli interessi legali.
A causa di ciò, capita molto spesso che – dopo molti anni di mutuo – il Cliente scopra di aver corrisposto alla Banca notevoli somme a titolo di interessi e, invece, molto poco a titolo di capitale. In altri termini, il capitale da restituire continua ad essere molto alto e a generare ulteriori interessi.
Perché ciò accade?
Innanzitutto va precisato che esistono differenti tipologie di ammortamenti e differenti formule per il calcolo della rata di ammortamento: in base alla formula applicata, la composizione della rata cambia e, quindi, cambiano anche la quota di rata imputata agli interessi e quella imputata al capitale. Ebbene, come anticipato, la Banca – nel contratto di mutuo – non specifica quale formula matematica utilizza per il calcolo della rata di ammortamento.
Peraltro, tra le varie tipologie di ammortamento, ce n’è una che presenta maggiori criticità e che, pertanto, può costituire un serio rischio per il Cliente: si tratta del c.d. “ammortamento alla francese”.
L’ammortamento alla francese: come funziona e le criticità
L’ammortamento alla francese altro non è che un piano di pagamento di rate mensili costanti: ad esempio, a fronte di un prestito di euro 1.000,00, dovrò corrispondere alla Banca una rata mensile costante di euro 315,00 (comprensiva di una quota capitale e di una quota interessi).
Ma perché un piano di ammortamento, apparentemente così lineare, dovrebbe costituire un rischio per il Cliente?
Partiamo con il chiarire che esistono due formule matematiche che possono essere applicate per il calcolo della rata costante: il calcolo di interessi in forma semplice e il calcolo di interessi in forma composta.
La differenza tra queste due formule risiede nel fatto che gli interessi semplici vengono calcolati solo sul capitale in scadenza (art. 1282 c.c.), mentre gli interessi composti vengono calcolati sia sul capitale che sulla base di altri interessi detti “primari”, a loro volta calcolati sul capitale. Sicché, gli interessi composti altro non sono che interessi generati da altri interessi.
Ebbene, gli interessi possono generare altri interessi?
L’art. 1283 c.c. prevede dei casi specifici in cui è ammessa la produzione di interessi su interessi; mentre l’art. 120 TUB – al secondo comma – stabilisce che gli interessi debitori non possono produrre ulteriori interessi, fatta eccezione per quelli moratori. A ben vedere, pertanto, il fenomeno della produzione di interessi su interessi – c.d. “anatocismo” – è vietato nel nostro ordinamento.
Ciò chiarito, è possibile individuare la criticità che si cela dietro un piano di ammortamento “alla francese”: se la Banca calcola la rata mensile costante in applicazione della formula degli interessi composti – pur non dandone traccia nel contratto di mutuo – viola, nei fatti, il divieto di anatocismo, in quanto quel piano di ammortamento sarà caratterizzato dalla produzione di interessi su interessi.
Ovviamente non si tratta di una violazione palese ed esplicita; la Banca utilizza un escamotage: nel calcolo della rata mensile costante, l’istituto di credito utilizza la formula di calcolo degli interessi semplici, ma tali interessi “semplici” vengono calcolati non già sul capitale in scadenza, bensì sul capitale residuo dell’ammortamento.
Di seguito, un esempio pratico.
Tizio chiede alla banca Alfa un prestito di euro 100,00, con tasso nominale di interessi (TAN) pari al 10%. Alfa propone a Tizio un ammortamento “alla francese”, composto da due rate mensili costanti pari ad euro 57,62 cadauna. Per determinare l’entità di tali rate, Alfa – pur non palesando nulla a Tizio – calcola la “quota interessi” sul capitale residuo, applicando la formula degli interessi semplici:
- la prima rata di euro 57,62 sarà, quindi, composta da una “quota interessi” di euro 10,00 (ossia il 10% del capitale residuo 100,00) e da una “quota capitale” di euro 47,62 (ossia 57,62 – 10,00);
- la seconda rata di euro 57,62 sarà, invece, composta da una “quota interessi” di euro 5,24 (10% di euro 52,38, nuovo capitale residuo) e da una “quota capitale” di euro 52,38.
La prima anomalia che balza all’occhio è che, mentre la “quota interessi” decresce nel tempo (da 10,00 a 5,24), la “quota capitale” cresce (da 47,62 a 52,38): il che significa che il pagamento della prima rata abbatte in misura proporzionalmente superiore gli interessi, piuttosto che il capitale. In parole povere: il Cliente paga prima gli interessi rispetto al capitale.
La seconda anomalia, invece, rimane “nascosta” e può essere scoperta solo se si fraziona l’ammortamento in tanti singoli mutui: ogni rata diventa un finanziamento a sé stante. Ebbene, frazionando l’ammortamento in tanti singoli mutui – richiesti lo stesso anno ma saldati ad un anno di distanza l’uno dall’altro – e applicando – per il calcolo degli interessi – la formula degli interessi semplici, ottengo:
- primo finanziamento di euro 47,62 (prima “quote capitale”), chiesto nel 2017 e saldato nel 2018: interessi = euro 4,76 (10% del capitale, calcolati su un anno);
- secondo finanziamento di euro 52,38 (seconda “quota capitale”), chiesto nel 2017 e saldato nel 2019: interessi = euro 10,48 (10% del capitale, calcolati su due anni).
Notiamo subito come entrambe le quote (capitale e interessi) crescano nel tempo; il Cliente, pertanto, abbatte in equa misura sia il capitale che gli interessi.
Ma la vera sorpresa sta nel fatto che il costo del finanziamento risulta inferiore! Difatti, se anche in questo caso volessimo una rata costante – e quindi volessimo che l’importo di entrambi i finanziamenti fosse identico – otterremmo quanto segue:
- primo finanziamento di euro 57,39, chiesto nel 2017 e saldato nel 2018: capitale = euro 52,17 e interessi = euro 5,22 (10% del capitale, calcolati su un anno);
- secondo finanziamento di euro 57,39, chiesto nel 2017 e saldato nel 2019): capitale = euro 47,83 e interessi = euro 9,57 (10% del capitale, calcolati su due anni.
Ebbene, è evidente che la rata costante da pagare è inferiore a quella proposta dalla banca Alfa a Tizio; ma anche gli interessi totali che pago sono inferiori! Nella proposta della Banca, difatti, l’ammontare complessivo degli interessi da pagare è pari ad euro 15,24 (10,00 + 5,24); nella seconda ipotesi – ottenuta dal frazionamento del mutuo – l’ammontare complessivo degli interessi è di euro 14,78 (5,22 + 9,57).
Da cosa è generata tale differenza?
Dal fatto che nella seconda ipotesi gli interessi vengono calcolati – in formula semplice – sul capitale in scadenza; nella proposta di Alfa, invece, sono stati calcolati sul capitale residuo. Il calcolo degli interessi, seppure in formula semplice, sul capitale residuo – peraltro – genera il medesimo risultato che otterremmo calcolando gli interessi, in formula composta, sul capitale in scadenza. In altre parole, calcolare gli interessi sul capitale residuo sembrerebbe generare anatocismo.
La giurisprudenza in tema di ammortamento alla francese
Non esiste un orientamento univoco: parte della giurisprudenza da riscontro affermativo in quanto, dal punto di vista astratto e teorico, la Banca – nel calcolo della rata – applica la formula degli interessi semplici e non quella degli interessi composti, quindi, apparentemente, non c’è alcuna produzione di interessi su interessi.
Ad avviso di chi scrive è, però, più condivisibile l’orientamento diametralmente opposto: l’applicazione della formula “interessi semplici” è solo fittizia, perché – come detto – è come se la Banca stesse calcolando gli interessi, sul capitale in scadenza, in regime composto.
A ben vedere, considerando anatocistico il calcolo di interessi – sul capitale in scadenza – in formula composta, si dovrà altresì considerare anatocistico il calcolo di interessi – sul capitale residuo – in forma semplice, in quanto – nei fatti – il risultato che si ottiene è il medesimo.
La clausola contrattuale che prevede, seppur implicitamente, la produzione di interessi su interessi dovrà dunque considerarsi nulla, in quanto contraria a norme imperative, con conseguente possibilità – per il Cliente – di ripetere le somme indebitamente pagate a titolo di interessi anatocistici, in applicazione dell’art. 2033 cod. civ.