Patto di quota lite stipulato prima dell’entrata in vigore del divieto: è valido?

La Seconda Sezione Civile della Cassazione, con la sentenza n. 26288 del 27 settembre 2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), ha chiarito se sia valido il patto di quota lite stipulato prima dell’entrata in vigore dell’art. 13 della l. n. 247 del 2012 che, al comma 4, vieta i patti con i quali l’”avvocato percepisca in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa”. Il “Formulario commentato del nuovo processo civile”, di Lucilla Nigro, acquistabile cliccando su Shop Maggioli o su Amazon, offre un supporto utile per gestire ogni fase del contenzioso civile. 

Formulario commentato del nuovo processo civile

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Lucilla Nigro
Autrice di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.

 

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Il caso di specie

La vicenda processuale origina da un mandato professionale conferito nel 2007 da due clienti a un avvocato per la difesa in una causa di successione ereditaria. L’accordo prevedeva un compenso minimo garantito di 15.000 euro e, in caso di esito favorevole del giudizio di primo grado, un ulteriore compenso pari al 10% della somma liquidata dal giudice in favore dei clienti, oltre al compenso liquidato giudizialmente.

Al termine del giudizio, l’avvocato notificava ai clienti due decreti ingiuntivi per ottenere sia importo pari ai compensi liquidati a loro favore nella sentenza, sia il 10% della somma liquidata nella predetta sentenza dichiarativa di scioglimento di comunione ereditaria. I clienti proponevano distinte opposizioni sostenendo, tra l’altro, di aver già corrisposto somme per attività stragiudiziali e contestando la legittimità del patto percentuale.

Il Tribunale di Bologna, riunite le cause, accoglieva parzialmente le opposizioni, riconoscendo all’avvocato il diritto ai compensi liquidati giudizialmente, detraendo però 5.000 euro già versati per attività che ha ritenuto riferibili al mandato giudiziale. Il Collegio, inoltre, dichiarava nullo il patto percentuale applicando retroattivamente il divieto del patto di quota lite introdotto dall’art. 13 della legge 247/2012, entrato in vigore dopo la conclusione dell’accordo ma prima dell’effettivo incasso da parte dei clienti.

L’avvocato, avverso l’ordinanza del Tribunale, presentava ricorso in Cassazione.

L’evoluzione normativa del patto di quota lite

La Cassazione, nel motivare la propria decisione, ha ripercorso nel tempo la disciplina del patto di quota lite. Il decreto legge 223/2006, convertito nella legge 248/2006, aveva abrogato il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi, modificando l’art. 2233 c.c. e liberalizzando sostanzialmente i patti di quota lite.

Questo periodo di libertà contrattuale è stato però temperato dalle norme deontologiche. L’art. 45 del codice deontologico forense, modificato con la riforma del 2006, pur consentendo compensi parametrati agli obiettivi, stabiliva che questi dovessero essere “proporzionati all’attività svolta”.

Dal 2 febbraio 2013, è in vigore la legge n. 247/2012 che, con l’art. 13, ha reintrodotto un divieto parziale:

  • il comma 3 ammette la pattuizione dei compensi per l’avvocato anche “a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione”;
  • mentre il comma 4 vieta espressamente i patti con i quali l’”avvocato percepisca in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa”.

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La distinzione tra patto di quota lite e palmario

La Suprema Corte, poi, ha delineato la distinzione tra patto di quota lite vietato e palmario legittimo (clicca qui per ulteriori approfondimenti), richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale.

Il patto ammesso è quello in cui la percentuale viene convenuta in rapporto al valore dei beni o degli interessi litigiosi, determinabile già al momento del conferimento dell’incarico. Il divieto scatta invece quando la percentuale è stabilita rispetto al risultato concreto della lite, creando una commistione di interessi tra cliente e avvocato che trasforma il rapporto professionale da rapporto di scambio a rapporto associativo.

Il palmario rappresenta una figura diversa: è un compenso supplementare con connotazione premiante, riconosciuto in caso di esito favorevole a titolo di premio per l’importanza e la difficoltà della prestazione professionale, ma non collegato in modo totale o prevalente all’esito della lite.

La Cassazione non ha condiviso la tesi difensiva secondo cui, il compenso pari al 10% della somma liquidata dal giudice in favore dei clienti, avrebbe costituito un legittimo palmario. La percentuale era infatti parametrata esclusivamente al risultato raggiunto all’esito del giudizio, variando con riferimento ai benefici ottenuti dai clienti senza alcuna connotazione premiale legata all’importanza dell’attività svolta. Il fatto che tale compenso si aggiungesse all’importo liquidato giudizialmente non bastava ad attribuirgli la natura di palmario.

Il principio di irretroattività delle disposizioni che prevedono nullità di clausole negoziali

La questione centrale della decisione riguarda, tuttavia, l’aspetto relativo all’applicazione temporale della disciplina. Il Tribunale aveva ritenuto nullo il patto applicando l’art. 13 della legge 247/2012, valorizzando il fatto che il rapporto professionale si fosse protratto oltre l’entrata in vigore della nuova normativa e che il diritto al compenso fosse sorto dopo tale data.

La Cassazione ha censurato questo ragionamento: le disposizioni che prevedono nullità di clausole negoziali non sono retroattive. L’irretroattività opera anche ai fini della previsione della sostituzione della clausola nulla con la disciplina legale (in tal senso, hanno statuito, per tutte, Cass. Sez. 1 31-12-2019 n. 34740 Rv. 656441-01, Cass. Sez. 3 5-5-2016 n. 8945 Rv. 639941-01, Cass. Sez. 1 21-12-2005 n. 28302 Rv. 585489-01).

Ciò che rileva è esclusivamente il momento di conclusione del contratto di patrocinio, che costituisce il titolo in forza del quale il professionista svolge l’attività e può vantare il compenso nell’entità pattuita. Se l’accordo sul patto di quota lite era lecito quando è stato concluso il contratto, la sopravvenuta introduzione del divieto non può travolgere i diritti già sorti nel vigore della legge precedente.

La Corte ha richiamato un orientamento consolidato applicato a diverse clausole negoziali, dalla determinazione degli interessi con rinvio agli usi alle clausole sugli interessi usurari, ribadendo che le norme che prevedono nullità non influiscono sulla validità delle clausole dei contratti conclusi prima della loro entrata in vigore.

Il controllo di proporzionalità e ragionevolezza

L’affermazione della validità in astratto del patto non esaurisce però il giudizio. La Cassazione ha chiarito che i patti di quota lite stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 247/2012 devono comunque superare un controllo di proporzionalità e ragionevolezza.

Come evidenziato dalle Sezioni Unite nella sentenza 25012/2014, l’aleatorietà del patto non esclude la possibilità di valutarne l’equità. Occorre verificare se la stima effettuata dalle parti all’epoca della conclusione dell’accordo fosse ragionevole o sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, tenuto conto del valore e della complessità della lite, della natura del servizio professionale e dell’assunzione del rischio.

Il sindacato giudiziale trova fondamento nell’art. 2233 comma 2 c.c. e nell’art. 45 del codice deontologico. Si tratta di un’indagine sulla causa concreta del contratto e sull’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni, che può portare alla nullità parziale della clausola ex art. 1418 comma 2 c.c., senza pregiudicare l’intero contratto di patrocinio.

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La Suprema Corte, cassando l’ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinviando la causa al Tribunale di Bologna, ha affidato proprio a questo controllo la valutazione finale sulla vicenda. Il giudice del rinvio dovrà verificare se il rapporto tra il compenso pattuito (10% della somma liquidata) e il risultato conseguito risulti sproporzionato rispetto alla tariffa di mercato del 2007.

Il principio di diritto enunciato

Dalla sentenza n. 26288/2025 della Cassazione è possibile, quindi, ricavare il seguente principio di diritto:

«Il patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione dell’art. 2233 c.c. da parte del d.l. 223/2006, conv. con modif. dalla l. n. 248 del 2006, e prima dell’entrata in vigore dell’art. 13 della l. n. 247 del 2012, è valido, a meno che, valutato sotto il profilo causale e sotto il profilo dell’equità, alla stregua della regola integrativa di cui all’art. 45 del codice deontologico forense (nel testo deliberato il 18 gennaio 2007), il rapporto tra il compenso pattuito e il risultato conseguito, stabilito dalle parti all’epoca della conclusione del contratto, risulti sproporzionato per eccesso rispetto alla tariffa di mercato».

Validità del patto di quota lite stipulato prima dell’entrata in vigore del divieto: in sintesi

Ecco infine una pratica e breve checklist per orientarsi nell’applicazione dei principi affermati dalla Seconda Sezione Civile della Cassazione con la sentenza n. 26288/2025.

Cosa prevede il divieto di patto di quota lita e quando è stato reintrodotto?

Il divieto del patto di quota lite è stato reintrodotto dall’art. 13 della legge 247/2012, entrato in vigore il 2 febbraio 2013. Esso prevede che sono vietati i patti con cui l’avvocato percepisce in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa. Restano invece ammesse le pattuizioni a percentuale sul valore dell’affare.

I patti di quota lite stipulati prima dell’entrata in vigore dell’art. 13 della legge n. 247/2012 sono validi?

Secondo la Cassazione, i patti di quota lite conclusi prima dell’entrata in vigore dell’art. 13 della legge n. 247/2012 non sono automaticamente nulli. La loro validità va valutata in base alla normativa vigente al momento della stipula. Tuttavia, devono superare un controllo di proporzionalità: se il compenso pattuito risulta sproporzionato per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, la clausola può essere dichiarata nulla.

Qual è la differenza tra patto di quota lite e palmario?

Il patto di quota lite oggi vietato è quello in cui il compenso è parametrato al risultato concreto della lite. Il palmario è invece un compenso supplementare con funzione premiante, riconosciuto per l’importanza e difficoltà della prestazione, non collegato in modo totale o prevalente all’esito della lite. La distinzione è sostanziale, non formale.

Se il patto di quota lite è nullo, l’avvocato perde il diritto al compenso?

No. La nullità del patto di quota lite non pregiudica l’intero contratto di patrocinio ma solo la clausola relativa. L’avvocato conserva il diritto al compenso per le prestazioni effettivamente svolte, che sarà liquidato sulla base delle tariffe professionali applicabili.

Come si verifica la proporzionalità di un patto di quota lite?

Il controllo di proporzionalità richiede di verificare se il rapporto tra compenso pattuito e risultato conseguito, stabilito dalle parti al momento della conclusione del contratto, sia ragionevole o sproporzionato per eccesso rispetto alla tariffa di mercato. Vanno considerati tutti i fattori rilevanti: valore e complessità della lite, natura del servizio professionale, assunzione del rischio da parte dell’avvocato.

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