Patti parasociali e rinuncia all’azione di responsabilità in Srl e Spa

in Giuricivile, 2020, 6 (ISSN 2532-201X)

La rinuncia all’azione di responsabilità verso gli amministratori, nelle società per azioni e nelle società a responsabilità limitata, consacrata all’interno di un patto parasociale stipulato in occasione dell’acquisto di partecipazioni sociali.

La responsabilità degli amministratori[1] sussiste principalmente nei confronti della società e, pertanto, in via di principio, è a quest’ultima che spetta la legittimazione processuale a farla valere mediante i propri organi.

Con particolare riferimento alla legittimazione processuale, assumono rilevanza numerosi interessi, tra loro potenzialmente contraddittori, che possono diversamente essere combinati ed introdurre opposte soluzioni.

Tuttavia, a prescindere dalla poliedricità e varietà degli interessi in gioco, non può non essere preso in considerazione un dato formale insindacabile, vale a dire il fatto che la titolarità del diritto al risarcimento del danno perseguito con l’azione di responsabilità -che, per tali ragioni, è indicata come azione “sociale” di responsabilità- spetta, comunque, alla società stessa, giacché la proposizione dell’azione implica necessariamente una comparazione tra i ricavi ad essa sottesi e i costi della medesima, anche sul piano del “discredito commerciale” nel mercato.

Dunque, sembrerebbe conveniente rimettere la scelta dell’esperimento dell’azione di responsabilità, solamente alla società, per tramite dei suoi organi. Questa scelta è stata adottata dall’ordinamento anglosassone, dove si riconosce una sorta di precedenza degli organi sociali e si consente al singolo socio di proporre -in via derivativa- l’azione spettante alla società, ma solo sul presupposto che i primi siano stati invitati ad operare in tal senso e che il loro rifiuto debba considerarsi ingiustificato.

Differente risulta essere la soluzione adottata dal nostro ordinamento[2].

Infatti, sia nelle società per azioni (ex art. 2393 c.c.), sia nelle società a responsabilità limitata (ex art. 2364 c.c.), è riconosciuta la legittimazione a proporre l’azione sociale di responsabilità tanto alla società, a seguito di deliberazione dei soci, quanto direttamente ai singoli soci.

In particolare, quando l’azione è esercitata direttamente dal socio, le due discipline (S.p.a. e S.r.l.) divergono in modo significativo e, segnatamente, mentre nelle S.p.a. si richiede il possesso di una determinata percentuale di capitale sociale (che varia a seconda che si tratti di una società che ricorre al mercato di capitale o meno, e che risulta pari, nel primo caso, ad un quarantesimo, o alla minor percentuale prevista nello statuto, e, nel secondo caso, ad un quinto, o alla diversa misura prevista dallo statuto, comunque non superiore al terzo: art. 2393 bis c.c.); diversamente, nella S.r.l. non è previsto alcun requisito quantitativo e l’azione può essere promossa, quindi, da ciascun socio ex art. 2476 comma 3 c.c.

Occorre rilevare che, in entrambi i casi (S.p.a. e S.r.l.), tramite l’azione di responsabilità promossa dai soci singolarmente, costoro fanno valere -in nome proprio- un diritto di cui risulta essere titolare la società, in veste di sostituti processuali[3] della prima, ex art. 81 c.p.c.[4]

Ne consegue che l’eventuale risarcimento del danno ottenuto a seguito dell’azione di responsabilità andrà quindi a favore del patrimonio della società e, dunque, la società sarà tenuta, in caso di accoglimento dell’azione, a rimborsare agli attori le spese di giudizio che non abbiano potuto recuperare dai soccombenti (ex artt. 2393 bis, comma 5 c.c. e 2476, comma 4 c.c.).

Evidentemente, si è in presenza di un litisconsorzio processuale necessario tra la società e il socio, tale per cui, in caso di esercizio dell’azione da parte del singolo socio, quest’ultimo dovrà notificare l’azione alla società ovvero chiamarla in giudizio ex art. 2393 bis, comma 3 c.c. Dunque, sia nelle società per azioni sia nelle società a responsabilità limitata, il singolo socio è legittimato ad esercitare -in qualità di sostituto processuale- l’azione di responsabilità spettante alla società, nei cui confronti, pertanto, deve essere integrato il contraddittorio, quale litisconsorte necessaria, giacché la società non può subire pretermissioni.

In altri termini, con riferimento all’azione di responsabilità, in generale, può essere affermato il principio secondo cui, quando il socio agisce in giudizio, agisce come sostituto processuale della società e, pertanto, sussiste un litisconsorzio necessario, ex art. 102 c.p.c., tra il socio e la società; dunque, in mancanza di integrazione del contraddittorio -per via della pretermissione di un litisconsorte necessario- la sentenza sarà nulla ed affetta da un vizio insanabile, che rasenta i limiti dell’inesistenza, essendosi in presenza di una sentenza “inutiliter data”.

Orbene, anche nelle ipotesi in cui l’azione sia stata promossa dai soci, la società può comunque rinunciare[5] all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, così come può transigere sulla misura del risarcimento, dal momento che, anche in tal caso, essa conserva la formale disponibilità dell’azione ex art. 23939 bis comma 7 c.c. All’art. 2476 comma 5 c.c., tra l’altro, con una inequivocabile disposizione, si prevede espressamente il potere di rinuncia all’azione di responsabilità da parte della società.

In particolare, detta disposizione prescrive che: “salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, l’azione di responsabilità contro gli amministratori può essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della società, purché vi consenta una maggioranza dei soci rappresentante almeno i due terzi del capitale sociale e purché non si oppongano tanti soci che rappresentano almeno il decimo del capitale sociale.”

Tuttavia, la rinunzia e/o la transazione dell’azione di responsabilità, nelle S.r.l., devono riscuotere il consenso di una maggioranza dei soci che rappresenti almeno i due terzi del capitale sociale e, invece, nelle s.p.a., detti atti devono essere espressamente approvati dall’assemblea (ovvero, nel caso di azione deliberata dal consiglio di sorveglianza, dalla maggioranza assoluta dei suoi componenti ex art. 2409 decies comma 4 c.c.); in ogni caso, alla rinuncia e alla transazione non si devono opporre i soci che rappresentano una determinata percentuale del capitale sociale (almeno un decimo nelle srl; un ventesimo o un quinto nelle spa, a seconda che facciano o meno ricorso al mercato di capitale di rischio, ovvero una misura pari alla percentuale richiesta dallo statuto per l’esercizio da parte dei soci dell’azione di responsabilità ex. artt. 2393 comma 6 e 2476 comma 5 cc).

La rinuncia all’azione da parte della società o del consiglio di sorveglianza non impedisce, comunque, date le particolari caratteristiche del sistema dualistico, l’esercizio dell’azione sociale da parte dei soci ex art. 2409 decies comma 5 cc., tenuto anche conto della natura contrattuale dell’azione di responsabilità, che, in definitiva, fa capo al “negozio societario” costitutivo della società stessa.[6] Anche gli stessi soci che hanno promosso l’azione di responsabilità possono rinunciarvi o transigerla: ogni corrispettivo per la rinuncia o la transazione deve tuttavia andare a vantaggio della società ex art. 2393 bis comma 6 c.c.

Inoltre, l’efficacia della rinuncia e della transazione sono subordinate alla sussistenza e alla presenza di cause note[7], giacché, oltre a dover essere deliberatamente espresse dalla maggioranza qualificata prevista ex lege, non possono desumersi -in alcun modo- né da espressioni generiche contenute in verbali aventi altro oggetto, né da fatti concludenti.

La nullità dei patti aventi ad oggetto la rinuncia all’azione di responsabilità: l’orientamento giurisprudenziale passato.

Il tema della rinuncia ad agire nei confronti degli amministratori è, da molto tempo, oggetto di discussione nella comunità degli interpreti; infatti, già prima della riforma del 2003, detto dibattito è stato oggetto di diverse pronunce in giurisprudenza, soprattutto con riferimento al caso in cui la rinuncia venga consacrata in un patto parasociale stipulato in occasione dell’acquisto di partecipazioni sociali.

A mente dell’art. 2393 c.c., nelle società per azioni, competente a deliberare sul punto è l’assemblea ordinaria; inoltre, la rinuncia all’azione sociale può essere oggetto solo di una delibera espressa e la delibera non può essere assunta con il veto di una minoranza qualificata di soci. Per quanto riguarda, invece, la società a responsabilità limitata, ai sensi dell’art. 2476 c.c., si prevede che, “l’azione di responsabilità contro gli amministratori può essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della società”.

Alcuna parte della giurisprudenza[8], in passato, ha rilevato la nullità di tali patti per violazione dell’interesse sociale e, in particolare, per violazione dell’interesse della società ad ottenere il ristoro a beneficio del proprio patrimonio; la nullità, inoltre, è stata considerata la “sanzione” più opportuna per via della contrarietà del patto alle finalità imposte inderogabilmente dalla legge.

La Corte, a tal proposito, ha affermato espressamente come: “con riferimento ad una società a responsabilità limitata, confligge con l’interesse ufficiale l’accordo parasociale di voto con il quale i soci rinunciano a promuovere l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità nei confronti dell’amministratore uscente per i danni da esso arrecati alla società e ciò anche quando all’accordo abbia preso parte l’intera compagine sociale.”.

Successivamente, tale indirizzo ermeneutico si è consolidato e, in particolare, la Suprema Corte[9] ha espressamente affermato la nullità di detti patti in quanto aventi ad oggetto “la non votazione” dell’azione di responsabilità; più nello specifico, è stata presa in considerazione la categoria dei motivi comuni illeciti, perché la clausola de qua sarebbe stipulata per far prevalere l’interesse soggettivo dei soci a discapito, appunto, dell’interesse sociale dell’ente. In particolare, è stato testualmente affermato come: “Il patto parasociale che impegna i soci a votare in assemblea contro l’eventuale proposta di intraprendere l’azione di responsabilità sociale nei confronti degli amministratori, non è contrario all’ordine pubblico, ma agli art. 2392 e 2393 c.c., i quali non pongono principi aventi tale carattere, ma sono norme imperative inderogabili, con conseguente nullità del patto, in quanto avente oggetto (la prestazione inerente alla non votazione dell’azione di responsabilità) o motivi comuni illeciti (perché la clausola mira a far prevalere l’interesse di singoli soci che, per regolamentare i propri rapporti, si sono accordati a detrimento dell’interesse generale della società al promovimento della detta azione, dal cui esito positivo avrebbe potuto ricavare benefici economici); né l’estensione della nullità all’intero negozio e la conversione del negozio nullo, di cui agli art. 1419 e 1424 c.c., implicano la violazione dell’ordine pubblico, in quanto l’istituto della nullità non è, di per sé, di ordine pubblico, potendo solo alcune sue ipotesi essere generate dalla violazione di tali principi.”.

In linea con la giurisprudenza di legittimità si è posto anche il Tribunale di Milano[10], il quale si è espresso per la nullità dei patti di rinuncia all’azione di responsabilità, muovendo dall’osservazione che, nella vicenda oggetto della controversia, l’obbligo di non esercitare l’azione assumeva, in concreto, un’equivalenza sostanziale con la rinuncia all’azione di responsabilità, dal momento che la società -titolare dell’azione- perdeva, per effetto dell’incorporazione della società acquirente nella stessa, ogni interesse ad agire, in quanto contestualmente gravata dall’impegno di non proporre l’azione stessa. Detto giudice di merito, in ossequio al consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, ha affermato il principio secondo cui: “la delibera assembleare costituisce modo formale e inderogabile di espressione della volontà della società di cui non sono ammessi equipollenti.

La rinuncia all’azione di responsabilità e l’invalidità dei patti di rinuncia: la tesi sostenuta in dottrina.

Anche la dottrina, ha più volte affermato la nullità dei patti in esame, adeguandosi, in questo modo, alla corrente giurisprudenziale che, in passato, ha negato la validità dei patti di rinuncia all’azione di responsabilità, comminando, talvolta, la “sanzione” della nullità. Secondo un primo orientamento[11], deve essere considerato nullo l’impegno a non esercitare l’azione di responsabilità assunto dal socio nei confronti dell’amministratore interessato, in quanto la situazione di conflitto verrebbe fatta propria dal promittente e l’impegno violerebbe le norme imperative previste in materia.

Altra parte della dottrina[12], muove invece dall’esigenza di rispettare la causa di collaborazione che giustifica l’esistenza della società e, pertanto, considera invalido qualsiasi patto volto a operare contro l’interesse sociale. Un altro indirizzo dottrinale,[13] ha ritenuto invalide le clausole che esonerano gli amministratori da una loro responsabilità, anche in caso di colpa lieve, argomentando detta tesi sulla base dell’inderogabilità dell’art. 2392 cod. civ. e argomentando alla luce della disposizione normativa di cui all’art. 1229 cod. civ., sulla base dell’assunto della natura di ordine pubblico delle norme sulla responsabilità degli amministratori, in quanto poste a tutela di terzi.

Tutte queste teorie, tuttavia, non esauriscono il dibattito relativo ai patti di rinuncia all’azione di responsabilità, in quanto la giurisprudenza e la dottrina hanno elaborato anche tesi favorevoli al riconoscimento della legittimità di detti patti.

La validità della rinuncia all’azione di responsabilità contenente la concreta e specifica indicazione degli episodi di mala gestio imputati agli amministratori: un diverso approccio ermeneutico.

La stessa giurisprudenza[14] ha affermato che la delibera di rinuncia all’azione sociale di responsabilità potrebbe assumere efficacia liberatoria, purché contenga la concreta e specifica determinazione degli episodi di amministrazione integranti l’eventuale pretesa risarcitoria; nello specifico, il Tribunale di Milano ha statuito il seguente principio: “la delibera di manleva per l’attività svolta dagli amministratori, in considerazione del suo contenuto generico, non può essere valutata come rinuncia all’azione sociale di responsabilità. Al fine di attribuire efficacia dispositiva liberatoria e di rinuncia all’azione sociale di responsabilità occorre infatti la specifica e concreta determinazione degli episodi di amministrazione integranti l’eventuale pretesa risarcitoria. Neppure risulta plausibile una rinuncia anteriore all’emersione dei fatti di “mala gestio”.

In particolare, il Tribunale ha affermato che la deliberazione assembleare di rinuncia (e di transazione) non può avere un contenuto generico. In caso contrario, la decisione assembleare non sarà invalida, ma non produrrà l’effetto di liberare gli amministratori dalle responsabilità loro imputate. La necessità di una specifica ed analitica individuazione dei singoli atti pregiudizievoli degli amministratori -per i quali l’assemblea intenda esercitare la facoltà concessale dall’art. 2393, ultimo comma, c.c.- non solo è dettata dalle esigenze ora segnalate, ma è altresì confermata dal sistema delineato dal codice civile.

Il carattere espresso che la deliberazione deve rivestire ex lege e la precisa individuazione delle operazioni per le quali la società intenda mandare esente da responsabilità l’organo amministrativo si muovono su piani differenti e non sovrapponibili. Il requisito della specificità delle operazioni per le quali si intende dare luogo all’azione di responsabilità opera sul piano esterno “della significazione della dichiarazione di volontà“, con l’effetto di escludere la possibilità di uno “scarico” implicito degli amministratori dalle loro responsabilità. Non si tratta, perciò, di disciplinare il contenuto della volontà, ma di individuare i requisiti che debbono essere soddisfatti dalla deliberazione, nella quale venga tradotta la volontà dei soci di rinunziare e transigere in ordine all’azione sociale di responsabilità.

Coerente con tale pronuncia, risulta essere il Tribunale di Roma[15] che, contrariamente a quanto affermato l’anno precedente dal citato Tribunale di Milano, ha riconosciuto la validità dei patti con i cui i soci s’impegnano a non deliberare l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore uscente successivamente alla conclusione del suo mandato gestorio. Nel caso in questione, il Tribunale ha riconosciuto la nullità dei soli patti aventi ad oggetto la preventiva rinunzia all’azione di responsabilità rispetto a qualsiasi condotta che gli amministratori uscenti avessero assunto nel corso del loro mandato.

In altre parole, il Tribunale di Roma, con la citata sentenza, ha affermato che è invalido il patto parasociale con cui si rinunzia preventivamente ad esercitare l’azione di responsabilità dell’amministratore per condotte assunte dall’amministratore successivamente all’adozione del patto parasociale stesso. In particolare, il Tribunale di Roma ha affermato che: “l’accordo con il quale i soci s’impegnino nei confronti di un terzo, socio uscente ed ex amministratore unico della società, a non deliberare l’azione sociale di responsabilità nei confronti dello stesso, abdicando all’esercizio del diritto di voto, costituisce un patto parasociale. Il patto (parasociale) è invalido qualora abbia ad oggetto la rinunzia preventiva ad esercitare l’azione di responsabilità dell’amministratore relativamente a condotte assunte dall’amministratore successivamente all’adozione del patto parasociale stesso, ma non quando abbia, al contrario, ad oggetto l’assunzione di un impegno a non votare l’azione di responsabilità dell’amministratore che, in conseguenza della cessione della propria partecipazione sociale, cessa (anche) di ricoprire tale carica e, dunque, faccia riferimento ad attività pregresse poste in essere dall’amministratore .”

Inoltre, è stato affermato, sempre in dottrina[16], come la rinuncia all’azione di responsabilità, oltre a dover essere espressa, deve altresì avere un contenuto specifico; occorre, quindi, che la delibera indichi le singole azioni e/o violazioni da cui derivano pretese risarcitorie cui la società intende rinunciare (o transigere), poiché, solo in questo modo, l’oggetto della rinuncia risulterebbe determinato o determinabile (art. 1346 cod. civ.) e l’assemblea potrebbe procedere ad una cosciente valutazione della rinuncia.

Tali osservazioni sono state condivise anche da taluna parte della dottrina[17], che ha sostenuto la validità dei patti in esame, argomentando in base alla legittimità dell’impegno a compiere atti o tenere comportamenti che, di per sé, possono essere frutto di libere determinazioni attinenti alla materia patrimoniale e, inoltre, in base all’assenza di principi inderogabili incompatibili.


[1] Come noto, il tema della responsabilità degli amministratori è strettamente legato alla regola dell’insindacabilità delle scelte di gestione – tradotta con la locuzione inglese “business judgement rule”- secondo la quale le scelte economiche dell’amministratore di una società devono essere condotte sulla base di una valutazione di opportunità, giacché si tratta di scelte che ineriscono alla sfera della discrezionalità imprenditoriale e, pertanto, dette scelte possono solo fondare l’eventuale revoca degli amministratori ma non anche un’azione di responsabilità per i danni patrimoniali subiti dalla società. in altri termini, la scelta economica “inopportuna” (di c.d. mala gestio), condotta dall’amministratore, non sembra poter essere sindacata se non tramite la revoca dello stesso: mai tramite l’azione di responsabilità. Per completezza, si richiama la sentenza del tribunale di Roma, Sez. spec. Impresa, del 16/10/2019, n. 19881, con sui si è espresso il principio di diritto secondo cui per l’azione di responsabilità dell’amministratore non si guarda alle scelte di gestione. Detta pronuncia, testualmente, afferma che: “all’amministratore di una società di capitali non può essere imputato, a titolo di responsabilità ex artt. 2392 e 2476 c.c., di aver compiuto scelte inopportune da un punto di vista economico: tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore, non come fonte di responsabilità contrattuale verso la società. Il principio dell’insindacabilità delle scelte di gestione (business judgement rule) non è assoluto: la scelta di gestione si ritiene insindacabile se sia stata legittimamente assunta e se non è irrazionale.”

[2]Per un approfondimento in materia, si veda G. FERRI, “Manuale di diritto commerciale”, sedicesima edizione, UTET giuridica, Torino, a cura di C. ANGELICI E G.B. FERRI, pag. 362-365.

[3] In tal senso, la Cassazione civile, con sentenza della sez. I, del 04/07/2018, n.17493 ha affermato che: “In tema di azione individuale del socio di s.r.l., avente per oggetto l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori, sussiste litisconsorzio necessario con la società medesima in quanto l’autonoma iniziativa del socio, riconosciuta dall’art. 2476, comma 3, c.c. senza vincolo di connessione con la quota di capitale dallo stesso posseduta, non toglie che si tratta pur sempre di un’azione sociale di responsabilità, rifluendo l’eventuale condanna dell’amministratore unicamente nel patrimonio sociale e potendo solo la società (non il socio) rinunciare all’azione e transigerla.” Detto principio è altresì ribadito dalla pronuncia del Tribunale Palermo sez. V, 04/05/2018, che ha affermato che:Qualora l’azione sociale di responsabilità venga esercitata dal socio di s.r.l., ex art. 2476, comma 3, c.c., la società deve necessariamente partecipare al giudizio: il socio, infatti, agisce non già nel proprio interesse, ma quale sostituto processuale dell’ente, beneficiaria del risarcimento”.

[4] La Cassazione civile sez. I, del 25/07/2018, n.19745, si è inoltre espressa sul tema del concorso tra l’azione sociale di responsabilità e quella individuale, esercitate dal socio di s.r.l., affermando il seguente principio: “La legittimazione straordinaria del socio a proporre l’azione di responsabilità sociale prevista dall’art. 2476, comma 3, c.c. è cumulativa, non privativa della legittimazione spettante al titolare del diritto (cioè alla società) e permane anche in fase di gravame. Il socio è, pertanto, legittimato a proporre appello avverso la sentenza di rigetto della domanda, ove la società intervenuta in primo grado con posizione analoga abbia tuttavia omesso di impugnare la pronuncia. Il principio della permanenza della legittimazione individuale straordinaria ex art. 2476, c. 3, c.c. anche in sede di gravame, è stato altresì affermato con sentenza della Corte di Cassazione civile sez. I, 25/07/2018, n.19745, la quale ha affermato che: “La legittimazione individuale straordinaria, di cui all’art. 2476, comma 3 c.c., che consente al socio di proporre l’azione sociale di responsabilità, essendo riconducibile alla sostituzione processuale, ex art. 81 c.p.c. permane anche in sede di gravame, quand’anche la società abbia omesso di impugnare la sentenza reiettiva della domanda risarcitoria, salva la sola ipotesi in cui l’azione sia stata fatta oggetto di rinuncia o transazione da parte dell’ente, nel rispetto delle prescrizioni di cui al comma 5 dell’art. 2476 c.c., in materia di maggioranza deliberativa e potere di veto.

[6] Per quanto concerne la natura giuridica contrattuale dell’azione, il Tribunale di Catanzaro, Sez. spec. Impresa, con sentenza del 04/12/2018, n.2026, ha affermato che: “L’azione sociale di responsabilità, ex art. 2476 c.c., ha natura contrattuale e si configura come un’azione risarcitoria volta a reintegrare il patrimonio sociale in conseguenza del suo depauperamento cagionato dagli effetti dannosi provocati dalle condotte, dolose o colpose, degli amministratori, poste in essere in violazione degli obblighi sgravanti su di loro. Stante la natura contrattuale di tale azione, grava sull’attore l’onere di allegare e provare l’esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale e della riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore inadempiente.”

[7] Un principio simile è affermato dal Tribunale di Cagliari sez. I, con sentenza del 28/06/2016, n.2039: “nelle società a responsabilità limitata la delibera con cui i soci/amministratori, contestualmente alla cessione delle loro quote sociale, stabiliscono come conseguenza di tale cessione quella di essere liberati da ogni responsabilità, si riferisce esclusivamente a responsabilità riconducibili alla qualifica di “socio” e non anche a quelle connesse al titolo di amministratore. Infatti, la rinuncia o la transazione dell’azione di responsabilità sociale – ex art. 2476, comma 5, c.c. – deve essere deliberatamente espressa dalla maggioranza qualificata prevista ex lege, non potendosi desumere in alcun modo da espressioni generiche contenute in verbali aventi altro oggetto, o, ancora, da fatti concludenti.”

[8] Cfr. Corte di Cassazione, Sez. Civ., sentenza del 27 luglio 1994, n. 7030.

[9] Cfr. Corte di Cassazione, Sez. Civ., sentenza del 28 aprile 2010 n. 10215.

[10] Cfr. Tribunale Ordinario di Milano, Sez. Civ., sentenza del16 giugno 2014, n. 7946.

[11] In questo senso, si veda: C. COTTINO, Le convenzioni di voto nelle società commerciali, Milano, 1958, p. 247.

[12] A tal riguardo, un’ottima ricostruzione dottrinaria viene svolta da G. OPPO, Le convenzioni parasociali tra diritti delle obbligazioni e diritto delle società, in Riv. dirciv., 1987, p. 517.

[13] A tal proposito, si prenda in considerazione il pensiero di G.A. RESCIO, Convenzioni di voto: note a margine di recenti provvedimenti, in Riv. dir. priv., 1996, p. 122 ss.

[14] Cfr. Tribunale Ordinario di Milano, Sez. Civ., sentenza del 10 febbraio 2000.

[15] Cfr. Tribunale Ordinario di Roma, Sez. Civ., sentenza del 28 settembre 2015, n. 19193.

[16] A tal proposito, si veda: F. BONELLI, Gli amministratori di s.p.a., Milano, p. 197 e, inoltre, F. BONELLI, La responsabilità degli amministratori, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo- G.B. Portale, IV, Torino, 1991, p. 455.

[17] In tal senso, si vedano: B. VISENTINI, I sindacati di voto: realtà e prospettive, in Riv. soc., 1988, p. 15 ss.; A. TINA, L’esonero da responsabilità degli amministratori di s.p.a., Milano, 2008, p. 325 ss.

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