La prima Sezione Civile della Suprema Corte, con l’ordinanza n. 2281/2025 del 30 gennaio 2025, ha affrontato la delicata questione del passaggio in giudicato di una sentenza, chiarendo quali siano i presupposti necessari e, in particolare, se sia o meno sufficiente la produzione del certificato di mancata impugnazione, di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c., per dimostrarlo.
Il caso in esame
La vicenda trae origine dalla richiesta di una cittadina extracomunitaria che si è rivolta al Tribunale di Roma per il riconoscimento dello status di cittadina italiana. Con ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., il Tribunale accoglieva la domanda e ordinava al Ministero dell’Interno e all’ufficiale di Stato civile competente di procedere alle iscrizioni, trascrizioni e annotazioni nei registri dello stato civile, nonché alle eventuali comunicazioni alle autorità consolari.
La ricorrente chiedeva all’ufficiale di Stato civile competente di trascrivere l’ordinanza. Questi, tuttavia, dapprima preannunciava l’intenzione di non dare seguito al provvedimento in assenza di un’attestazione che ne certificasse il passaggio in giudicato. Successivamente, confermava tale rifiuto, nonostante avesse, nel frattempo, ricevuto l’attestazione della Corte d’Appello di Roma che confermava la mancata impugnazione della decisione e, quindi, il suo passaggio in giudicato ai sensi dell’art. 702 quater c.p.c.
A fronte di tale rifiuto, la ricorrente adiva il Tribunale di Treviso ex art. 95 D.P.R. n. 396/2000, chiedendo l’esecuzione dell’ordinanza e richiamando il principio di immediata esecutività di cui agli artt. 702 ter, comma 6, e 282 c.p.c. Sottolineava in particolare che la decisione fosse ormai passata in giudicato tanto formale (in quanto non più impugnabile con mezzi ordinari), quanto sostanziale (avendo il legislatore ritenuto di anticipare gli effetti del giudicato alla scadenza del termine per proporre appello, a norma dell’art. 702 quater).
Il Tribunale rigettava tuttavia la domanda e condannava la ricorrente al pagamento delle spese processuali. La ricorrente impugnava tale decisione dinanzi alla Corte d’Appello di Venezia, che confermava la decisione di primo grado ritenendo, in primo luogo, che l’ordinanza del Tribunale di Roma fosse una decisione di accertamento puro, non di condanna, e quindi non soggetta ad esecuzione. Asseriva inoltre che, sebbene l’art. 702 quater c.p.c. stabilisca che, in assenza di appello, l’ordinanza produca gli effetti del giudicato, ciò non esonera dall’onere di fornire la certificazione del passaggio in giudicato, come previsto dall’art. 124 disp. att. c.p.c.
Dopo tale decisione, l’ufficiale di Stato civile provvedeva alla trascrizione del provvedimento e, di conseguenza, veniva meno la materia del contendere.
Tuttavia, la ricorrente proponeva ugualmente ricorso per Cassazione avverso il decreto della Corte d’Appello sostenendo sia l’ammissibilità dell’impugnazione (nonostante fosse venuta meno la materia del contendere), sia l’errata valutazione della Corte d’Appello in merito al passaggio in giudicato dell’ordinanza, comprovato dalla produzione del certificato di impugnazione.
La decisione della Corte: la natura della certificazione di mancata impugnazione
L’ordinanza in esame ha chiarito che la certificazione per mancata comunicazione dell’impugnazione è del tutto satisfattiva in ordine alla prova del giudicato interno. In particolare, la Corte non ha condiviso l’argomentazione della decisione di secondo grado che, facendo leva sul dettato dell’art. 124 disp. att. c.p.c., riteneva che il certificato attestante la mancanza di avvisi di impugnazione, prodotto dalla ricorrente, non costituisse prova del passaggio in giudicato dell’ordinanza.
Al contrario, è stato rilevato come la statuizione contenente l’ordine oggetto del dispositivo dell’ordinanza del Tribunale di Roma fosse coperta da giudicato in quanto incontestatamente non appellata nei termini di legge. Peraltro, le parti resistenti non avevano mai contestato tale circostanza, limitandosi ad eccepire la mancanza del suddetto certificato.
Quanto poi alla certificazione di mancata impugnazione, la Corte di legittimità ha chiarito che questa è finalizzata proprio a confermare che, alla data di rilascio dell’attestato, non risultano comunicati o avvisi relativi a motivi ostativi al passaggio in giudicato dell’ordinanza in questione, considerato che non sono stati comunicati avvisi di atto di impugnazione di cui all’art. 123 att. c.p.c., né altri avvisi di notifiche di impugnazioni effettuate direttamente dagli avvocati.
L’attestazione della mancanza di avvisi di impugnazione corrisponda dunque a quanto indicato nel secondo comma dell’art. 124 disp. att. c.p.c.: non è infatti necessario, né previsto dalla legge che debba essere inderogabilmente prodotta la certificazione prevista al primo comma.
Alla luce di quanto evidenziato, la Corte di Cassazione ha perciò confermato che l’ordinanza del Tribunale prodotta dalla ricorrente doveva considerarsi certamente passata in giudicato.
La Corte ha così dichiarato ammissibile il ricorso, nonostante la cessazione della materia del contendere, dal momento che riguardava anche la questione della soccombenza virtuale, e lo ha accolto.
Spese legali e parti convenute in giudizio: la reciproca soccombenza
La Suprema Corte ha inoltre riformato la sentenza impugnata anche nella parte in cui, nonostante entrambe le parti controricorrenti fossero risultate soccombenti nei precedenti gradi di merito e nel giudizio di legittimità, era stata disposta la condanna delle ricorrente alle spese legali.
La compensazione integrale delle spese “per reciproca soccombenza” non corrisponde infatti all’andamento del giudizio. Se, infatti, la parte ricorrente non ha citato il Sindaco come organo del Ministero dell’Interno ma solo come Ufficiale dello Stato civile, la costituzione dell’ente territoriale è stata frutto di autonoma e non corretta valutazione della legittimazione passiva anche in relazione alla parte convenuta così come individuata dalla ricorrente (Sindaco in qualità di ufficiale dello stato civile, e non come legale rappresentante dell’Ente territoriale).
Con riferimento al caso in esame, nei gradi di merito, la compensazione può operare per un terzo tenuto conto dell’imperfetta evocazione in giudizio e dell’error iuris ripetuto del giudice di merito nei due gradi di giudizio mentre la soccombenza è piena nel giudizio di legittimità (in particolare, nel caso in esame il Ministero dell’Interno risultava costituito solo nel giudizio di legittimità rimanendo tuttavia soccombente nel merito).
La Corte ha pertanto accolto anche tale motivo di ricorso, dichiarando cessata la materia del contendere tra le parti, e condannando alle spese i controricorrenti in applicazione del principio della soccombenza virtuale.