“Parcheggi Ponte” e vincolo di destinazione sui parcheggi pertinenziali condominiali

I “parcheggi Ponte” sono così definiti poiché l’obbligo della loro realizzazione è stato introdotto dall’art. 18 della c.d. “legge Ponte” (l. 765/1967), il quale ha introdotto un apposito art. 41 sexies nella legge urbanistica (l. 1150/1942).

In virtù di tale modifica normativa, “Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione” (i metri cubi di riferimento sono in seguito divenuti dieci per effetto della l. 122/1989).

È pacifico che tale prescrizione normativa abbia carattere pubblicistico, in quanto la presenza di un’apposita area destinata a parcheggio nel progetto di una nuova costruzione (secondo il suddetto rapporto tra cubatura e superficie) costituisce ed ha costituito condizione di legittimità per il rilascio, da parte dell’autorità comunale, del provvedimento abilitativo alla costruzione (licenza edilizia, concessione edilizia o permesso di costruire, a seconda del periodo considerato).

Secondo una nota circolare del Ministero dei lavori pubblici[1], tale obbligo si applica solamente alle costruzioni iniziate dopo l’entrata in vigore della legge Ponte (e dunque dell’art. 41 sexies della legge urbanistica), ossia dopo l’1 settembre 1967.

Contrasti dottrinali sui parcheggi Ponte

Quanto alla circolazione di tali spazi destinati a parcheggio, tradizionalmente si scontrano:

– l’orientamento definibile come “liberista” (sostenuto dalla prevalente dottrina[2]), secondo cui la norma di cui sopra avrebbe introdotto un vincolo di natura meramente oggettiva, valevole nei soli rapporti tra costruttore e p.a.

In altri termini sarebbe sufficiente che venga rispettata la destinazione delle aree adibite a parcheggio, non essendo invece necessario che tali aree vengano utilizzate dai titolari delle unità immobiliari dell’edificio a cui accedono (i quali ben potrebbero concederle in uso ad altri soggetti).

– l’orientamento definibile come “vincolista”, sostenuto dalla Cassazione[3], secondo cui tra le unità immobiliari dell’edificio e gli spazi riservati a parcheggio vi sarebbe un vincolo inderogabile di natura soggettiva tale che, qualora vi fosse una scissione tra la titolarità dell’unità immobiliare e quella del parcheggio, comunque nascerebbe ex lege un particolare diritto reale d’uso sul parcheggio in favore del titolare (o del detentore) dell’unità immobiliare.

In altre parole, se il diritto di proprietà sullo spazio a parcheggio viene alienato a terzi da parte del titolare dell’unità immobiliare a cui accede, comunque il diritto di proprietà dell’acquirente sarà sempre gravato da un diritto d’uso in favore del titolare dell’unità immobiliare e dei successivi acquirenti o locatari di quest’ultima (e il contratto di compravendita del parcheggio che non prevedesse tale circostanza sarebbe nullo relativamente a tale mancata previsione, nonché integrato di diritto, ex artt. 1339 e 1419 c.2 c.c., con la previsione di tale diritto reale d’uso).

Parcheggi pertinenziali o parcheggi non gravati da vincoli?

La giurisprudenza di legittimità ha mantenuto fermo tale orientamento anche a seguito dell’introduzione, all’interno dell’art. 41 sexies, di un c.2 (da parte dell’art. 26 c.5 della l. 47/1985), il quale aveva previsto che “Gli spazi di cui all’articolo 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765, costituiscono pertinenze delle costruzioni, ai sensi e per gli effetti degli articoli 817, 818 e 819 del codice civile”.

Una tale norma poteva far ritenere che fosse possibile un’alienazione separata del parcheggio comportante anche la possibilità di utilizzo per l’acquirente, ma secondo gli la Cassazione tale norma attribuiva semplicemente certezza testuale al principio (da lei accolto anche in precedenza), secondo cui è ben possibile che gli spazi a parcheggio (essendo pertinenze ai sensi del c.c.) formino oggetto di atti di alienazione separatamente rispetto al bene principale cui accedono, fermo restando, però, il vincolo del diritto reale d’uso in favore del proprietario (o locatario) dell’unità immobiliare, dettato da una norma di natura pubblicistica e dunque inderogabile dall’autonomia privata[4].

Tale diatriba è destinata a cadere per effetto della l. 246/2005, il cui art. 12 c.9 ha introdotto nuovamente un c.2 nell’art. 41 sexies della legge urbanistica, secondo il quale “Gli spazi per parcheggi realizzati in forza del primo comma non sono gravati da vincoli pertinenziali di sorta ne’ da diritti d’uso a favore dei proprietari di altre unita’ immobiliari e sono trasferibili autonomamente da esse”.

Dunque, a seguito di tale intervento normativo, il “parcheggio Ponte” alienato separatamente rispetto all’unità immobiliare da esso servita potrà essere liberamente utilizzato dall’acquirente, senza che si possa considerare gravato dal diritto reale d’uso di cui si è detto.

Secondo la Suprema Corte[5], tuttavia, tale norma si applicherebbe solamente alle costruzioni iniziate dopo l’entrata in vigore della l. 246/2005 (16 dicembre 2005) nonché alle costruzioni, anche ultimate anteriormente, in cui però il costruttore non avesse ancora alienato, a tale data, nessuna unità immobiliare.

Diverso è il discorso per i parcheggi realizzati in eccedenza rispetto alle prescrizioni dell’art. 41 sexies (cioè in misura maggiore rispetto al rapporto tra metri cubi e metri quadri di cui sopra), i quali sono stati considerati[6] esenti dal vincolo di destinazione di cui si è detto (ossia, nel caso in cui vengano alienati separatamente dall’unità immobiliare cui accedono, non saranno gravati ex lege dal diritto reale d’uso in favore del titolare o del locatario dell’unità immobiliare, potendo ciò formare oggetto, al limite, di un’espressa previsione delle parti).

Il caso in esame

Con la decisione in commento (sez. II, 25/05/2017, n. 13210), il Giudice di legittimità fornisce invece un chiarimento circa la “genesi” del vincolo di natura reale di cui si è finora parlato.

Nel caso di specie una società immobiliare, acquirente di un’area antistante a un fabbricato (utilizzata come parcheggio da parte dei condomini di tale fabbricato), conveniva in giudizio i condomini medesimi ed il condominio per ottenerne la condanna al rilascio dell’area in questione (sulla quale, a suo avviso, i condomini non avrebbero avuto alcun diritto di comproprietà o d’uso) oppure, in subordine, per ottenere il pagamento del valore dell’area da parte del condominio.

Con una prima sentenza il Tribunale di Roma condannava tutti i condomini (tranne uno) al rilascio dell’area.

In seguito, in sede di appello, la Corte territoriale rimetteva la causa di fronte al Tribunale per permettere l’integrazione del contraddittorio.

Il Tribunale capitolino emetteva dunque una nuova sentenza che, in parziale riforma della sua precedente decisione, accertava sull’area in questione (di titolarità della suddetta società) il vincolo di destinazione a parcheggio in favore dei condomini, condannando questi ultimi a pagare il corrispettivo per l’uso del medesimo.

Contro tale decisione proponeva appello principale la successiva acquirente dell’area, mentre il condominio, con alcuni condomini, proponevano appello incidentale.

La Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello principale ed in riforma, sul punto, della sentenza gravata, condannava i  condomini a rilasciare in favore dell’appellante principale il suolo in questione, rigettando  l’appello incidentale e confermando nel resto la pronuncia impugnata.

La decisione del giudice del gravame si fondava sull’assunto per cui il vincolo di destinazione di un’area a parcheggio non sarebbe riscontrabile qualora l’area medesima, pur prevista nel progetto iniziale, non sia stata poi realizzata in sede di costruzione (e sia stata invece impiegata per realizzarvi manufatti od opere di altra natura).

Infatti nel caso di specie il progetto (poi non rispettato) prevedeva la realizzazione dei parcheggi in aree interne e adiacenti al fabbricato, diverse rispetto a quella oggetto di causa, e dunque la Corte territoriale escludeva che potesse nascere un diritto reale d’uso a parcheggio rispetto ad un’area che non era mai stata prevista come tale (e che, peraltro, era stata acquistata dal costruttore  successivamente rispetto al rilascio della licenza edilizia relativa al fabbricato).

In tale ipotesi dunque, pur potendo ricorrere responsabilità a vario titolo nei confronti del costruttore, non sarebbe invece configurabile un obbligo civilistico di ripristinare lo status quo ante, non essendo mai venuta ad esistenza l’area destinata a parcheggio così come prevista nel progetto originario; al più potrà essere apprestata una tutela di carattere meramente risarcitorio in favore degli acquirenti delle unità immobiliari (ex art. 872 c.c.).

Contro tale decisione, alcuni dei soccombenti proponevano ricorso in Cassazione lamentando, tra le altre cose, la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della l. 765/1967, e degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia: a giudizio dei ricorrenti, infatti, la licenza edilizia sarebbe stata rilasciata al costruttore solo subordinatamente alla realizzazione di appositi spazi a parcheggio, alla quale il medesimo avrebbe ottemperato con il successivo acquisto dell’area oggetto di causa.

La decisione della Corte: le condizioni di nascita del vincolo

Il giudice di legittimità rigettava il ricorso, facendo proprie le motivazioni della sentenza gravata: non potrebbe infatti considerarsi esistente un diritto reale d’uso a parcheggio sull’area de qua in favore dei condomini, poiché tale area (tra l’altro acquistata successivamente rispetto al rilascio della licenza edilizia), non era stata prevista come tale nel progetto definitivo del fabbricato (il quale prevedeva la realizzazione dei parcheggi, poi disattesa, in spazi interni e adiacenti all’edificio).

Si è dunque ribadito il principio di diritto espresso dalla Corte d’appello secondo cui il vincolo di destinazione di un’area a parcheggio nascerebbe solo se tale area venga poi effettivamente realizzata in conformità al progetto.

In caso contrario non potrebbe considerarsi esistente un vincolo di destinazione a parcheggio su un’area che non fosse prevista fin dall’inizio come tale.

Conclusioni

In definitiva si può dunque affermare che il vincolo di destinazione sui c.d. “parcheggi Ponte” nascerà, in favore dei titolari delle unità immobiliari, solamente se le aree a parcheggio siano state effettivamente realizzate, conformemente al progetto, in sede di costruzione dell’edificio.

In caso contrario, non vi potrebbe essere una tutela ripristinatoria rispetto ad un diritto – quello di uso sul parcheggio – che non è mai venuto ad esistenza.

Tale conclusione dovrebbe peraltro considerarsi valida, per quanto si è visto, solamente per gli edifici costruiti tra l’1 settembre 1969 e il 16 dicembre 2005, di cui sia stata venduta almeno un’unità immobiliare prima del 16 dicembre 2005.

Per gli edifici costruiti successivamente a tale ultima data (o per quelli in cui, seppur costruiti prima, la prima unità immobiliare sia stata venduta in seguito) tale problema non si pone poiché per essi, nel caso di dissociazione tra proprietà dell’immobile e proprietà del relativo parcheggio, non nascerebbe alcun diritto d’uso in favore del proprietario del primo.


[1] La n. 3210 del 28 ottobre 1967

[2] N. IRTI, Riserva di spazi a parcheggio nelle nuove costruzioni, in Giust. Civ. 1983, II, p. 44; G. ALPA, Destinazione delle aree adibite <<a parcheggio>> e controllo degli atti di disposizione, in Giur. it., 1982, IV, p. 254 e ss.; A. LUMINOSO, Posti macchina e parcheggi tra disciplina pubblicistica e Codice Civile, in Contr. e impr., 1990, p. 68; G. CASU, L’urbanistica nell’attività notarile. Condoni, terreni, parcheggi, Roma, 2008

[3] Si vedano ad es. Cass. civ., S.U., n. 6600-6601-6602/1984, Cass. civ., sez. II, n. 18/1993; Cass. civ., sez. II, n. 4271/1996, Cass. civ., sez. II, n. 7065/2016

[4] In tal senso ad es. Cass. Civ., S.U., n. 3363/1989; Cass. civ., sez. II, n. 4271/1996

[5] Cass. civ., sez. II, n. 4264/2006; Cass. civ., sez. II, n. 21003/2008

[6] Cass. civ., S.U., n. 12793/2005; Cass. civ., sez. II, n. 29344/2008

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