
La recente sentenza del Tribunale di Pavia del 2 aprile 2025 (Concordato preventivo R.G. n. 130-1/2024) tratta un tema del diritto della crisi d’impresa: i presupposti per l’omologazione forzosa (o cross-class cram-down) di un concordato preventivo in continuità aziendale. Nello specifico, i giudici pavesi valutavano se la presenza di un valore eccedente quello di liquidazione, generato dalla prosecuzione dell’attività, sia una condizione imprescindibile per imporre il piano ai creditori dissenzienti. La decisione offre importanti chiarimenti sull’interpretazione dell’art. 112, comma 2, del Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII). Per un approfondimento su questi temi, ti segnaliamo il volume “Le tutele del nuovo sovraindebitamento. Come uscire dal debito”, con oltre 200 casi pratici e precedenti giurisprudenziali.
Le tutele del nuovo sovraindebitamento. Come uscire dal debito
Aggiornato al terzo decreto correttivo del CCII (D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136), il volume, giunto alla sua II edizione, propone un’ampia ricognizione delle rilevanti novità normative e del panorama giurisprudenziale sul tema della crisi da sovraindebitamento. Sono raccolti diversi casi giudiziari riguardanti piani, omologati e non, ove emergono gli orientamenti dei vari fori e le problematiche applicative della normativa di riferimento. Il taglio pratico rende l’opera uno strumento utile per il professionista – gli organismi di composizione e i gestori della crisi, gli advisor e i liquidatori – al fine di offrire un supporto nelle criticità e i dubbi che possano sorgere nella predisposizione del Piano.
Monica Mandico
Avvocato cassazionista, Founder di Mandico&Partners. Gestore della crisi, curatore, liquidatore e amministratore giudiziario. È presidente di Assoadvisor e coordinatrice della Commissione COA Napoli “Sovrain- debitamento ed esdebitazione”. Già componente della Commissione per la nomina degli esperti indipendenti della composizione negoziata presso la CCIAA di Napoli. Esperta in crisi d’impresa e procedure di sovraindebitamento e presidente di enti di promozione sociale. Autrice di numerose pubblicazioni, dirige la Collana “Soluzioni per la gestione del debito” di Maggioli Editore, ed è docente di corsi di alta formazione e master accreditati presso Università e ordini professionali.
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Monica Mandico, 2025, Maggioli Editore
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Le tutele del nuovo sovraindebitamento. Come uscire dal debito
Aggiornato al terzo decreto correttivo del CCII (D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136), il volume, giunto alla sua II edizione, propone un’ampia ricognizione delle rilevanti novità normative e del panorama giurisprudenziale sul tema della crisi da sovraindebitamento. Sono raccolti diversi casi giudiziari riguardanti piani, omologati e non, ove emergono gli orientamenti dei vari fori e le problematiche applicative della normativa di riferimento. Il taglio pratico rende l’opera uno strumento utile per il professionista – gli organismi di composizione e i gestori della crisi, gli advisor e i liquidatori – al fine di offrire un supporto nelle criticità e i dubbi che possano sorgere nella predisposizione del Piano.
Monica Mandico
Avvocato cassazionista, Founder di Mandico&Partners. Gestore della crisi, curatore, liquidatore e amministratore giudiziario. È presidente di Assoadvisor e coordinatrice della Commissione COA Napoli “Sovrain- debitamento ed esdebitazione”. Già componente della Commissione per la nomina degli esperti indipendenti della composizione negoziata presso la CCIAA di Napoli. Esperta in crisi d’impresa e procedure di sovraindebitamento e presidente di enti di promozione sociale. Autrice di numerose pubblicazioni, dirige la Collana “Soluzioni per la gestione del debito” di Maggioli Editore, ed è docente di corsi di alta formazione e master accreditati presso Università e ordini professionali.
La fattispecie all’esame della Corte
La vicenda oggetto della pronuncia trae origine da una procedura di concordato preventivo presentata da una società qualificabile come impresa in continuità aziendale indiretta. Il piano concordatario era strutturato per ottenere la provvista necessaria al soddisfacimento dei creditori mediante due strumenti principali: da un lato, la cessione dell’azienda; dall’altro, la liquidazione di beni non strumentali alla prosecuzione dell’attività.
Tuttavia, non avendo ottenuto l’approvazione unanime delle classi di creditori — come invece richiesto ai fini dell’omologazione ordinaria ex art. 109, comma 5, del Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII) — la società ha formulato istanza per l’omologazione forzosa del concordato, facendo leva sul meccanismo del c.d. cross-class cram-down disciplinato dall’art. 112, comma 2, CCII.
Dati economici e verifica procedurale
Il piano prevedeva la distribuzione complessiva di € 1.131.996,00 a fronte di una passività di € 3.699.160,00. Prima di decidere sull’istanza di omologazione, il Tribunale ha proceduto a una verifica puntuale della regolarità procedurale. È stato così accertato che la proposta fosse stata debitamente notificata, che i creditori fossero stati correttamente raggruppati in classi omogenee, e che le operazioni di voto si fossero svolte in modo regolare.
Sotto il profilo del consenso, il piano aveva ricevuto l’approvazione della maggioranza delle classi (8 su 13), comprese quattro classi di creditori privilegiati. Tale circostanza si è rivelata determinante, in quanto ha reso applicabile la prima parte della lettera d) dell’art. 112, comma 2, CCII, che consente l’omologazione forzosa a fronte del voto favorevole della maggioranza dei creditori privilegiati.
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Le contestazioni sollevate dall’Agenzia delle Entrate
Nonostante l’esito favorevole della votazione in termini di classi, alcuni creditori dissenzienti, tra cui l’Agenzia delle Entrate, hanno proposto opposizione. In particolare, la doglianza principale verteva sulla qualificazione dell’attivo disponibile.
Secondo l’Amministrazione finanziaria, la proposta non presentava alcun attivo effettivamente eccedente rispetto al valore di liquidazione. In tal senso, una parte significativa delle risorse — nello specifico, una somma promessa dall’affittuario dell’azienda subordinatamente all’aggiudicazione e all’omologazione — avrebbe dovuto essere qualificata come “finanza esterna” e non come frutto della continuità aziendale.
Il nodo giuridico: valore eccedente e continuità
In base a tale impostazione, il creditore opponente ha sostenuto che, in mancanza di un concreto surplus generato dalla continuità, la proposta non potesse accedere all’omologazione forzosa. A suo avviso, la deroga alla regola generale dell’approvazione unanime, prevista dall’art. 109 CCII, sarebbe giustificata solo qualora il piano esibisse una capacità effettiva di generare valore aggiuntivo a beneficio dei creditori.
In tale prospettiva, il meccanismo del cram-down interclassi deve trovare fondamento in una differenza economicamente apprezzabile tra lo scenario concordatario e quello meramente liquidatorio. A sostegno di questa interpretazione restrittiva, l’Agenzia delle Entrate ha richiamato due precedenti significativi: la sentenza del Tribunale di Mantova del 14 marzo 2024 e quella della Corte d’Appello di Brescia del 17 novembre 2024.
Il rigetto delle opposizioni e l’omologazione del concordato
Con decisione motivata, il Tribunale di Pavia ha respinto le opposizioni sollevate dai creditori dissenzienti, tra cui l’Agenzia delle Entrate, procedendo all’omologazione forzosa del concordato. In primo luogo, i giudici hanno ritenuto inapplicabili i precedenti giurisprudenziali richiamati dagli opponenti, evidenziando come tali pronunce si riferissero a ipotesi diverse da quella in esame.
Infatti, i casi citati riguardavano l’interpretazione e l’applicazione della seconda parte della lettera d) dell’art. 112, comma 2, del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), che presuppone l’esistenza e la distribuzione di un valore eccedente quello di liquidazione, rilevante ai fini del confronto economico tra scenari. La vicenda pavese, al contrario, ricadeva nell’ambito applicativo della prima parte della medesima disposizione, la quale richiede esclusivamente che il piano ottenga l’approvazione della maggioranza delle classi, comprensiva di almeno una classe privilegiata — condizione questa pacificamente soddisfatta.
La portata interpretativa della decisione
Il Tribunale ha colto l’occasione per chiarire un principio generale di rilevanza sistematica: l’esistenza di un valore eccedente quello di liquidazione non costituisce un presupposto necessario né per l’ammissibilità del concordato preventivo in continuità aziendale, né per l’omologazione forzosa, fatta eccezione per i casi in cui trovi espressa applicazione la seconda parte della lettera d) dell’art. 112, comma 2, CCII.
Secondo i giudici, le condizioni previste dalle lettere a) e b) della medesima norma — relative, rispettivamente, al rispetto delle cause legittime di prelazione per il valore liquidatorio (Absolute Priority Rule, APR) e alla distribuzione del valore eccedente in modo non deteriore rispetto a classi di pari o inferiore grado (Relative Priority Rule, RPR) — non richiedono affatto che il piano sia necessariamente basato su un’attività in continuità generatrice di surplus economico.
Al contrario, è sufficiente che, qualora il piano contempli la distribuzione di beni o somme qualificabili come valore di liquidazione o valore eccedente, vengano rispettate le regole distributive imposte dalla normativa. Nel caso concreto, il piano prevedeva la distribuzione di € 939.660 a titolo di valore di liquidazione (rispettando la regola dell’APR) e di € 192.337 quale valore ulteriore, distribuito secondo la RPR, dunque nel rispetto del principio della priorità relativa.
Il cram-down e la tutela di interessi collettivi
Il Tribunale ha altresì sottolineato che la funzione dell’omologazione forzosa non si esaurisce nella protezione dell’interesse economico dei creditori attraverso l’erogazione di utilità maggiori rispetto allo scenario liquidatorio. Al contrario, la possibilità di imporre il piano anche ai creditori dissenzienti risponde a un impianto valoriale e sistemico più ampio, che trova fondamento anche nella Direttiva (UE) 2019/1023.
Secondo tale impostazione, la continuità aziendale non rileva solo in termini di produzione di attivo, ma anche quale strumento di salvaguardia di interessi pubblici e collettivi, quali: la conservazione dei livelli occupazionali, la prosecuzione dei rapporti contrattuali in corso, la tutela del know-how aziendale e la salvaguardia dell’indotto economico collegato all’attività dell’impresa.
Finanza esterna e irrilevanza ai fini dell’omologa
In chiusura, il Tribunale ha precisato che, anche laddove si fosse aderito alla tesi dell’Agenzia delle Entrate secondo cui la somma promessa dall’affittuario dell’azienda dovesse qualificarsi come finanza esterna, tale circostanza non avrebbe inciso sulla legittimità dell’omologazione forzosa. Infatti, nella fattispecie risultavano comunque soddisfatte tutte le condizioni previste dalle lettere a), b), c) e d) (prima parte) dell’art. 112, comma 2, CCII.
Conclusioni
La sentenza del Tribunale di Pavia si inserisce nel dibattito, particolarmente vivo, relativo ai presupposti della ristrutturazione trasversale nel concordato preventivo. Essa fornisce una lettura dell’art. 112 CCII che valorizza la flessibilità dello strumento concordatario in continuità, svincolando, in determinate condizioni, l’accesso al cross-class cram-down dalla rigida necessità di dimostrare un plusvalore finanziario derivante dalla prosecuzione dell’attività rispetto alla liquidazione atomistica dei beni.
Si sottolinea come, ai fini dell’omologazione forzosa, sia dirimente il rispetto delle regole distributive (APR e RPR) per le diverse componenti dell’attivo e il soddisfacimento delle condizioni di voto previste dalla norma, in particolare quando si invoca la prima parte della lettera d) del secondo comma dell’art. 112 CCII. Tale approccio mira a bilanciare la tutela dei creditori con l’obiettivo, ritenuto dal legislatore (anche europeo) primario, del recupero dell’impresa in crisi attraverso la continuità aziendale.
La decisione conferma che, anche in assenza di un significativo “surplus da continuità”, la ristrutturazione può essere imposta se supportata da una maggioranza di classi (inclusa una privilegiata) e se garantisce ai creditori un trattamento conforme alle regole di priorità e comunque non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria.
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