Omissione contributiva: quali rimedi?

in Giuricivile.it, 2022, 5 (ISSN 2532-201X)

Su chi grava la responsabilità del versamento contributivo? Quando si prescrive il credito contributivo e quali sono gli effetti dell’intervenuta prescrizione? Quali sono i rimedi in caso di omissione contributiva? Ecco un approfondimento completo di giurisprudenza in materia.

La responsabilità del versamento contributivo

Su chi grava la responsabilità del versamento contributivo? Prima di fornire un riscontro a tale interrogativo, è bene individuare la linea di confine che separa l’assistenza dalla previdenza. In estrema sintesi possiamo affermare che nella prima il versamento si fonda sulla fiscalità generale, nella seconda sulla contribuzione.[1]

Ad ogni modo, una precisa risposta al quesito trascritto in introduzione è rinvenibile nel disposto dell’art. 2115 cc., secondo il quale l’imprenditore e il lavoratore contribuiscono in egual modo all’istituzione della previdenza e dell’assistenza. Al contempo, il comma secondo dell’anzidetto articolo significa che il datore è responsabile del versamento contributivo anche per la parte di competenza del prestatore di lavoro.[2] La giurisprudenza, in ossequio al c.d. minimale contributivo, asserendo che l’obbligazione contributiva a carico del datore di lavoro deriva dalla sussistenza dell’obbligo retributivo, dichiara che la contribuzione deve essere misurata alla retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva vigente, a prescindere dal salario di fatto corrisposto che può essere nondimeno inferiore. Inoltre, la predetta contribuzione è dovuta anche nei casi di mancata esecuzione della prestazione lavorativa dipendente da illegittima interruzione, od unilaterale sospensione, del rapporto da parte del datore di lavoro, quale effetto risarcitorio dell’inadempienza di costui. Di contro, considerato il carattere sinallagmatico del rapporto di lavoro e la corrispettività tra le relative prestazioni, la contribuzione non è dovuta nei casi di assenza del lavoratore o di sospensione concordata della prestazione stessa, sicché, in presenza di una mancata esecuzione della prestazione, va sempre accertata la ragione per la quale la stessa non è stata resa.[3]

La retribuzione imponibile ai fini previdenziali è quella individuata dal combinato disposto degli artt. 51, d.P.R. 22.12.1987, n. 916, e 12, l. 30.4.1969, n.153.[4] Ne consegue che le somme erogate dal datore di lavoro ma per conto terzi saranno escluse dalla base imponibile per fini previdenziali.[5]

È da segnalare, inoltre, che il datore di lavoro può esercitare il diritto di rivalsa nei confronti del lavoratore, poiché sull’imprenditore – come citato in narrativa – pende la responsabilità del versamento contributivo anche per la parte di competenza del prestatore. Il diritto di rivalsa del datore non è escluso dalla previsione di cui all’art. 19, c. 2, della legge 4.4.1952, n. 218, in ragione della quale il datore deve trattenere la quota di contribuzione spettante al lavoratore sulla retribuzione corrisposta allo stesso alla scadenza del periodo di paga cui il contributo si riferisce. La giurisprudenza,[6] tuttavia, ha escluso che il datore di lavoro possa operare la trattenuta in busta paga, allorché abbia omesso di effettuare il versamento nei termini e nella misura dovuta. Giurisprudenza di legittimità, infine, interpretando il dettato normativo di cui all’art. 23 della l. n. 218/1952, afferma che il principio secondo il quale il diritto di rivalsa non è riconosciuto in capo al datore, allorquando questi ometta o versi con ritardo le somme previdenziali, è applicabile anche alle ipotesi di violazione del divieto di interposizione di manodopera,[7] ove l’imprenditore appaltante o interponente abbia pagato i contributi e le relative somme aggiuntive.

La prescrizione del credito contributivo

I regimi di prescrizione che interessano l’assistenza e la previdenza sono speciali e sono definiti dall’art. 3, co. 9, della legge n. 335/1995 (c.d. legge Dini). Essa prevede che le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere più versate con il decorso di: a) dieci anni per quelle di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, termine ridotto a cinque anni dal 1.1.1996, salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti; b) cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria. Altresì, l’art. 10 della citata legge prevede che i termini di prescrizione si applicano anche alle contribuzioni relative ai periodi precedenti la entrata in vigore della l. n. 335/1995, con la precisazione che, per i contributi dovuti alle gestioni pensionistiche, la prescrizione è quinquennale solo dal 1.1.1996. L’individuazione della disciplina che interessa l’istituto della prescrizione è notevolmente importante, poiché solo il mancato decorso del periodo prescrittivo darà seguito alla c.d. automaticità delle prestazioni previdenziali di cui farò discorso nel successivo paragrafo.

L’automaticità delle prestazioni previdenziali

Il prestatore di lavoro, specie nei tempi in cui la tecnologia fa da padrona, ha la possibilità di accorgersi, con più semplicità e in tempi ragionevoli, dell’eventuale omissione contributiva da parte del datore di lavoro. L’indagine del prestatore in ordine al regolare versamento della quota contributiva da parte del datore è fondamentale, giacché l’automaticità delle prestazioni previdenziali[8] rileva allorché non sia intervenuta la prescrizione.[9]

Il principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali rappresenta uno dei pilastri del sistema di previdenza nel nostro ordinamento. Autorevole dottrina asserisce che, in linea con l’anzidetto principio, l’acquisizione del diritto alle prestazioni previdenziali avviene al verificarsi dell’evento generatore del bisogno a prescindere dall’adempimento degli obblighi contributivi del datore di lavoro.[10]

Il principio in commento, inoltre, introdotto parzialmente nell’area del lavoro subordinato, si applica anche alla tutela per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti. Tuttavia, l’automaticità delle prestazioni previdenziali incontra il limite della prescrizione, poiché la legge ha disposto che il requisito di contribuzione per il diritto alle prestazioni di vecchiaia, invalidità e superstiti, si intende verificato anche quando i contributi non siano stati effettivamente versati, ma risultino dovuti nei limiti della prescrizione e che tali periodi di contribuzione siano da considerare utili anche ai fini della determinazione della misura delle pensioni. [11] Di rilievo, altresì, risulta essere la disciplina normativa sui crediti contributivi prescritti del datore di lavoro oggetto di procedure concorsuali,[12] secondo la quale il lavoratore può considerare utili a tutti gli effetti quei contributi, con la conseguenza che l’ente previdenziale potrà esercitare azione di regresso nei confronti del predetto datore per un importo corrispondente alla liquidazione del danno in forma specifica.[13] Il principio in esame non è configurabile per i lavoratori autonomi. Dalla disamina di quanto in discorso, risultano evidenti “le gravi ed importanti conseguenze che possono derivare dalla prescrizione del credito contributivo”. Pertanto, “deve ritenersi che l’ente previdenziale sia tenuto ad impedire tale prescrizione e che ne risponda nei confronti del soggetto protetto, almeno tutte le volte che quest’ultimo abbia provveduto a denunciare l’omissione contributiva”.[14]

Il risarcimento del danno e la costituzione della rendita vitalizia

Quanto sopra passato in rivista, ci dà la precisa indicazione degli effetti dell’intervenuta prescrizione del credito contributivo. Essa, di fatti, comporta – a carico del soggetto protetto – un gravissimo danno. Con la ratio, quindi, di arginare i gravissimi danni prodotti dalla prescrizione della contribuzione, è intervenuto il legislatore, tutt’altro che pusillanime, il quale ha introdotto nel nostro ordinamento, al fianco dell’ordinario mezzo del risarcimento del danno, lo strumento della costituzione della rendita vitalizia.[15]

Partendo dal risarcimento del danno, vediamo come esso – fondandosi sul duplice presupposto dell’inadempimento contributivo da parte del datore di lavoro e della perdita della pensione – sorga nel momento in cui matura il diritto del lavoratore alla prestazione previdenziale.[16]

È al raggiungimento dell’anzianità pensionabile che si verifica il danno subito dal lavoratore per la perdita della pensione, derivante da omessa contribuzione. Pertanto, è solo da tale momento che decorrerà il termine di prescrizione decennale per esercitare l’azione di risarcimento del danno, posto che il lavoratore è tenuto a provare di aver chiesto vanamente al datore di lavoro la costituzione della rendita vitalizia di cui all’art. 13, l. 12.8.1962, n. 1338, dovendosi ritenere, diversamente, che abbia concorso con la propria negligenza a cagionare il danno medesimo, che può essere, conseguentemente, ridotto od escluso ai sensi dell’art. 1227 c.c..[17]

Il rimedio in commento, di natura ordinaria, soggiace ad un termine prescrittivo di dieci anni, dopo il quale non è più possibile azionare l’istituto in questione. È in questo scenario, dunque, che il legislatore ha annoverato, tra gli strumenti “rimediali”, la c.d. costituzione della rendita vitalizia.[18]

In premessa, è doveroso segnalare che la rendita può essere costituita dal datore di lavoro anche quando i contributi omessi siano prescritti.[19]

Il lavoratore, in ogni caso, qualora non riesca ad ottenere la costituzione della rendita vitalizia da parte del datore di lavoro, potrà egli stesso chiederne la costituzione all’Inps, fornendo a quest’ultimo la documentazione di data certa attestante il rapporto di lavoro,[20] mentre la durata del rapporto e l’ammontare della retribuzione erogata possono essere provati anche con altri mezzi.[21]

La giurisprudenza, infine, ammette che il lavoratore possa chiedere al giudice la condanna del datore di lavoro alla costituzione della rendita vitalizia.[22]


[1] Cfr. R. Del Punta, F. Scarpelli, Codice commentato del lavoro, con la collaborazione di M. Marrucci e P. Rausei, Wolters kluwer, I edizione, 2019

[2] Le aliquote contributive ai fini pensionistici sono pari al 33 % e vengono così modulate: il 23,81% è a carico del datore di lavoro e il 9,19% a carico del lavoratore.

[3] C. 3.10.2018, n. 24109

[4] Secondo il dettato normativo, costituiscono oggetto di retribuzione imponibile ai fini previdenziali “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono”.

[5] C. 18.4.2018, n. 9601

[6] C. 16.10.1998, n. 10270

[7] L’articolo 1 della legge n. 1369/1960 così recita: “è vietato all’imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore o dall’intermediario, qualunque sia la natura dell’opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono.

È altresì vietato all’imprenditore di affidare ad intermediari, siano questi dipendenti, terzi o società anche se cooperative, lavori da eseguirsi a cottimo da prestatori di opere assunti e retribuiti da tali intermediari.

È considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante, quand’anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all’appaltante.

Le disposizioni dei precedenti commi si applicano altresì alle aziende dello Stato ed agli Enti pubblici, anche se gestiti in forma autonoma, salvo quanto disposto dal successivo art. 8.

I prestatori di lavoro, occupati in violazione dei divieti posti dal presente articolo, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni”.

[8] La norma di cui all’art. 2116 c.c., la cui rubrica reca “prestazioni”, prevede il seguente: “le prestazioni indicate nell’articolo 2114 sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali o dalle norme corporative. Nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro”. Le norme corporative sono state abrogate a seguito della soppressione dell’ordinamento corporativo avvenuta con r.d.l. n. 721/1943.

[9] Vedi supra § 2

[10] Cfr. D. Casale, L’automaticità delle prestazioni previdenziali. Tutele, responsabilità e limiti, Bologna 2017

[11] Cfr. art. 40 l. n. 153/1969 e art. 23 ter, l. n. 485/1972

[12] Per approfondimenti sul nuovo diritto concorsuale si rinvia alla lettura del d.lgs. n. 14/2019

[13] Cfr. art. 3 del d.lgs. n. 80/1992

[14] M. Persiani, M. D’Onghia, Fondamenti di diritto della previdenza sociale, G. Giappichelli, II edizione, pag. 199, cit.

[15] Cfr. art. 13 della l. n. 1388/1962

[16] T. Milano 31.1.2017. La pronuncia di merito del tribunale di Milano prende le mosse da quanto stabilito, giustappunto dal secondo comma dell’art. 2116 c.c., per il quale: “nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro”.

[17] C. 11.9.2013, n. 20827

[18] L’art. 13 della l. n. 1388/1962 prevede quanto segue: “ferme restando  le  disposizioni  penali,  il datore di lavoro che abbia  omesso  di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta   prescrizione  ai  sensi  dell’articolo  55  del  regio decreto-legge  4  ottobre  1935,  n. 1827, può chiedere all’Istituto nazionale  della  previdenza sociale di costituire, nei casi previsti dal  successivo  quarto comma, una rendita vitalizia riversibile pari alla   pensione  o  quota  di  pensione  adeguata  dell’assicurazione obbligatoria, che  spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi.

La corrispondente riserva matematica è devoluta, per le rispettive quote di pertinenza, all’assicurazione obbligatoria e al Fondo, di adeguamento, dando luogo alla attribuzione a favore dell’interessato di contributi base corrispondenti, per valore e numero, a quelli considerati ai fini del calcolo della rendita.

La rendita integra con effetto immediato la pensione già in essere; in caso contrario i contributi di cui al comma precedente sono valutati a tutti gli effetti ai fini della assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.

Il datore di lavoro è ammesso ad esercitare la facoltà concessagli   dal   presente articolo su esibizione all’Istituto nazionale della previdenza sociale di documenti di data certa, dai quali possano evincersi la effettiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro, nonché la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore interessato.

Il lavoratore, quando non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita a norma del presente articolo, può egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno, a condizione che fornisca all’Istituto nazionale della previdenza sociale le prove del rapporto di lavoro e della retribuzione indicate nel comma precedente.

Per la costituzione della rendita il datore di lavoro, ovvero il lavoratore allorché si verifichi l’ipotesi prevista al quarto comma, deve versare all’Istituto nazionale della previdenza sociale la riserva matematica calcolata in base alle tariffe che saranno all’uopo  determinate  e  variate,  quando  occorra,  con decreto del Ministro  del lavoro e della previdenza sociale, sentito il Consiglio di amministrazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale.

[19] Corte cost. n. 18/1995

[20] L’Inps, con la circolare n. 78/2019, ha fornito una serie di chiarimenti, in linea con la giurisprudenza vigente, per la costituzione della rendita vitalizia.

[21] Corte cost. n. 26/1984 e 568/1989

[22] Cfr. M. Persiani, M. D’Onghia, op. cit.

Laureato, prima in Scienze dei Servizi Giuridici con indirizzo risorse umane e consulenza del lavoro presso l'Università degli Studi di Milano, poi in Giurisprudenza presso lo stesso Ateneo. Ha perfezionato gli studi post-laurea conseguendo diversi titoli nel campo della gestione delle risorse umane. Esperto in diritto del lavoro, nel tempo libero si dedica, per passione, alle attività di ricerca ed approfondimento delle tematiche attinenti al diritto del lavoro, al diritto sindacale, alla previdenza sociale, alla sicurezza sul lavoro, al welfare e alla contrattualistica. È formatore della sicurezza nei luoghi di lavoro, responsabile dei servizi di prevenzione e protezione e mediatore civile e commerciale abilitato.

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