L’occupazione di immobile senza titolo: istituto e giurisprudenza

in Giuricivile, 2019, 4 (ISSN 2532-201X)

L’occupazione di un immobile senza titolo si verifica allorquando si venga privati della possibilità di fruire del medesimo ad opera di un terzo, che lo occupi in maniera illegittima o senza un contratto efficace e idoneo a giustificarne il possesso.

Essa, dunque, si realizza in tutti i casi in cui una res sia posseduta o detenuta da un soggetto non legittimato o privo di qualunque titolo giustificativo; tali ipotesi si concretizzano sia nel caso in cui questi apprenda un immobile senza alcun titolo, sia nel caso in cui un titolo esista, ma sia invalido o ne sia cessata l’efficacia.

1. Casistica

L’occupazione senza titolo può essere originata da un inadempimento contrattuale[1] o da un illecito civile[2].

In sostanza, tre sono i casi in cui si parla di occupatio sine titulo:

  1. quello in cui un terzo occupi e disponga dell’immobile senza che sia mai stato stipulato un contratto (di locazione o di compravendita) con il proprietario[3];
  2. quello in cui terzo e proprietario dell’immobile abbiano stipulato un contratto legittimante la disponibilità da parte del terzo, ma il proprietario ne contesti l’originaria validità[4];
  3. quello in cui terzo e proprietario dell’immobile abbiano stipulato un contratto inizialmente valido ed efficace, ma che successivamente abbia perso efficacia[5].

E’ evidente che l’occupazione illegittima ricorre in tutte e tre le ipotesi; mentre la prima, però, si caratterizza per la totale assenza di un titolo legittimante l’occupazione, nelle altre esso è riscontrabile, anche se nullo, inefficace o scaduto.

2. Danno da occupazione sine titulo di immobile altrui: la giurisprudenza

Con riferimento al danno o al pregiudizio derivante dalla situazione sopra descritta, si rileva l’esistenza di due orientamenti giurisprudenziali antitetici.

2.1 Danno in re ipsa

Secondo il primo, ormai minoritario, qualora si verifichi un’occupatio sine titulo di immobile altrui, il danno subìto dal proprietario dell’immobile sarebbe da considerarsi in re ipsa, poiché si verificherebbe una soppressione delle facoltà di godimento e disponibilità del bene oggetto del diritto di proprietà a prescindere dall’esistenza di un effettivo e dimostrato danno. Il danneggiato, al fine di ottenere il risarcimento di quanto patito a seguito di occupazione sine titulo del proprio immobile, dovrebbe semplicemente allegare la lesione del proprio diritto di proprietà.

Il danneggiamento sarebbe da ritenersi, pertanto, sussistente sulla base di una mera presunzione, superabile solo se si riuscisse a dimostrare che il proprietario, anche se lo spoglio non si fosse verificato, non avrebbe comunque utilizzato l’immobile e se ne sarebbe completamente disinteressato.

Secondo questo orientamento, la stima del danno sarebbe effettuata con riferimento al c.d. danno figurativo, ossia al valore locativo dell’immobile[6].

In particolare, sostiene la Suprema Corte che, “In caso di occupazione senza titolo di un immobile altrui, il danno subito dal proprietario è ‘in re ipsa’, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità ricavabile dal bene medesimo in relazione alla sua natura normalmente fruttifera. La liquidazione del danno ben può essere, in tal caso, operata dal giudice sulla base di presunzioni semplici, con riferimento al cosiddetto danno figurativo, qual è il valore locativo del bene usurpato[7].

2.2 Inesistenza del danno in re ipsa

Secondo un secondo orientamento, che appare preferibile, il danno da occupazione abusiva non può ritenersi sussistente in re ipsa e non può coincidere col semplice evento dell’occupazione, che non rappresenterebbe un danno in sé e per sé, ma semplicemente la condotta produttiva dello stesso.

Di conseguenza, sarebbe onere del danneggiato che chieda il risarcimento del danno causato dall’occupazione provare l’effettiva entità del danno, ossia la concreta lesione derivante, ad esempio, dal non aver potuto locare l’immobile o, comunque, utilizzarlo direttamente o, ancora, dall’aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente: nello specifico, “La perduta disponibilità d’un immobile non costituisce un danno ‘in re ipsa’, nel senso che, provata l’occupazione abusiva, non può dirsi per ciò solo provato il danno. Quest’ultimo, tuttavia, può essere dimostrato col ricorso a presunzioni semplici, e può consistere anche nell’utilità teorica che il danneggiato poteva ritrarre dall’uso diretto del bene, durante il tempo per il quale è stato occupato da altri[8].

Quest’ultimo orientamento, partendo dal presupposto che esiste un danno evento[9] e un danno conseguenza[10], ha ribadito che il danno non può esistere in re ipsa e, come tale, essere risarcito: ciò in quanto, accogliendo la prima tesi (secondo la quale il danno evento sarebbe risarcibile a prescindere dall’esistenza di conseguenze negative del medesimo), si snaturerebbe la funzione attribuita dal nostro Legislatore al sistema della responsabilità civile (e cioè di ristoro del pregiudizio patito dal danneggiato), che si trasformerebbe in uno strumento punitivo (funzione tipica del sistema penale) volto a sanzionare un comportamento lesivo, indipendentemente dal verificarsi di un effettivo danno.

Se l’oggetto del risarcimento fosse il solo danno evento in quanto tale e non le sue conseguenze, i pregiudizi derivanti da fatti leciti, come l’esercizio di un’attività pericolosa, non troverebbero ristoro. Inoltre, la risarcibilità dei danni c.d. in re ipsa è in netto contrasto col principio previsto in materia di onere della prova[11].

Alla luce delle suesposte ragioni, il danneggiato, al fine di ottenere in giudizio il risarcimento del danno patito a seguito di occupazione sine titulo del proprio immobile, dovrà dimostrare di aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio e non semplicemente allegare la lesione del proprio diritto di proprietà.

3. Le azioni legali in materia di occupazione senza titolo

L’esistenza o meno di un titolo legittimante l’occupazione di un immobile è fondamentale sotto un duplice profilo: quello del rito applicabile e quello della natura dell’azione, da cui conseguono rilevanti conseguenze sul piano probatorio.

Nell’ipotesi in cui il titolo non sia mai esistito, il rito applicabile è quello ordinario finalizzato al rilascio o, in alternativa, il più celere rito sommario a cognizione piena con istruttoria semplificata ex art. 702 bis c.p.c.

Qualora, però, sia necessaria una tutela immediata del diritto, il fumus boni juris[12] ed il periculum in mora[13] legittimano il ricorso al procedimento ex art. 700 c.p.c. E’ preferibile, però, ricorrere a tale azione cautelare (a carattere residuale) solo nel caso in cui sia possibile fornire piena prova circa la sussistenza dei suddetti presupposti, in quanto oggetto di rigoroso accertamento in sede giudiziaria.

Diversamente, se il titolo originariamente esisteva (occupazione sine titulo in senso lato), come nell’ipotesi di mancato rilascio dell’immobile da parte dell’inquilino alla scadenza del contratto di locazione, si potrà azionare il più celere rito speciale (locatizio) di cui agli artt. 447 bis e ss. c.p.c. Tale rito, però, secondo la prevalente giurisprudenza, non è applicabile a quei contratti che, pur se conferenti una detenzione qualificata (affittacamere, albergo, pensione o deposito), non si considerano rientranti nella materia locatizia.

4. Sulla natura delle azione legali in materia di occupazione senza titolo: l’orientamento delle Sezioni Unite

Se l’azione mira ad ottenere l’adempimento dell’obbligo di rientrare in possesso dell’immobile precedentemente trasmesso in base a negozi come la locazione, a prescindere, quindi, dalla qualità di proprietario, essa va qualificata come azione personale di restituzione; nel caso in cui, invece, l’attore chiede di dichiarare abusiva ed illegittima l’occupazione di un immobile di cui assume essere proprietario, non collegando la sua pretesa al venir meno di un rapporto obbligatorio, tale azione va qualificata di rivendicazione.

Questo, sostanzialmente e in estrema sintesi, l’orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione[14], così riassumibile:

– nel caso di occupazione abusiva dell’immobile senza che sia mai stato firmato un contratto, il proprietario deve promuovere un’azione di rivendicazione;

– nel caso di occupazione senza titolo dell’immobile, ma preceduta da un pregresso accordo e contratto, il proprietario deve promuovere l’azione di restituzione.

4.1 L’azione personale di restituzione

L’azione di restituzione non è espressamente definita e disciplinata dal Legislatore.

Con tutela restitutoria si intende, in ogni caso, una tutela fornita dall’ordinamento giuridico, con la quale si ristabilisce lo status quo ante modificato in esecuzione o per effetto di un rapporto giuridico.

Sotto il profilo probatorio, sarà sufficiente, per l’attore, dimostrare l’avvenuta consegna dell’immobile in base ad un titolo ed il suo successivo venir meno.

4.2 L’azione di rivendicazione ex art. 948 cod. civ.

L’azione di rivendicazione (c.d. rivindicatio) è l’azione petitoria concessa a chi si afferma proprietario di un bene, ma non ne ha il possesso e/o la detenzione.

E’ volta, da un lato, a far accertare il diritto di proprietà vantato dal titolare sul bene; dall’altro, a far condannare chi lo possiede o lo detiene alla sua restituzione.

Sotto il profilo probatorio, essendo questa azione fondata sul diritto di proprietà, tutelato erga omnes, e non su un rapporto obbligatorio personale inter partes, occorre che di tale diritto venga data fornita piena prova, mediante la c.d. probatio diabolica. Ciò comporta, per l’attore, l’onere di dimostrare la propria titolarità fornendo la prova che il suo dante causa aveva, a sua volta, validamente acquistato il diritto da un altro soggetto e così di seguito, fino a risalire all’acquisto del diritto reale a titolo originario.

5. Indennità per l’occupazione senza titolo e risarcimento del maggior danno

Se il conduttore ritarda nella consegna della cosa locata, dovrà, anzitutto, corrispondere al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna dell’immobile, ovvero la c.d. indennità.

Essa rappresenta una forma di risarcimento minimo, una liquidazione forfettaria del danno, prevista dalla legge per la mancata disponibilità dell’immobile intrinsecamente collegata alla natura temporanea del rapporto[15], a prescindere, quindi, dalla prova di un concreto danno subìto dal locatore[16].

Se il locatore, inoltre, può fornire la prova concreta di esser stato vittima di un’effettiva lesione del suo patrimonio, troverà applicazione, stante la natura contrattuale dell’obbligazione da cui trae origine, l’art. 1591 c.c., per cui il conduttore dovrà risarcire il locatore per il maggior danno subìto[17].

Affinché, però, il danno sia risarcito, occorre che il locatore, su cui ricade l’onere della prova, fornisca “[…] specifica dimostrazione di un’effettiva lesione del patrimonio del locatore, consistente nel non aver potuto dare in locazione il bene per un canone più elevato, nel non averlo potuto utilizzare direttamente e tempestivamente, nella perdita di occasioni di vendita ad un prezzo conveniente od in altre analoghe situazioni pregiudizievoli […] dar conto dell’esistenza di ben determinate proposte di locazione o d’acquisto e di concreti propositi di utilizzazione[18].

6. Mediazione in materia di locazione

Il procedimento di rilascio dell’immobile occupato senza titolo è soggetto all’obbligatoria procedura di mediazione quale condizione di procedibilità ex art. 5 D.Lgs 28/10, in quanto concernente materie quali quella locatizia e dei diritti reali.


[1] Si pensi all’ipotesi di permanenza del conduttore nell’abitazione in locazione oltre il termine contrattualmente pattuito con il locatario, cfr. artt. 1590 e 1591 c.c.

[2] Si pensi al caso in cui un immobile venga abusivamente occupato da un terzo, senza alcuna ragione giustificativa.

[3] Ad es. occupazioni abusive di unità immobiliari o edifici aziendali non produttivi.

[4] Ad es. per mancanza di un requisito essenziale come la capacità della parte o il difetto di causa o di forma) o l’inefficacia (ad es. per mancata verificazione di una condizione sospensiva cui era sottoposto.

[5] Nell’ipotesi, ad esempio, di mancata restituzione dell’immobile da parte dell’inquilino a seguito della scadenza del contratto di locazione.

[6] Cass. civ. sentt. nn. 1422/2012; 5568/2010, 10498/2006; cfr. Trib. Roma, 14 novembre 2017 n. 21347 e App. Bari, 27.03.2017 n. 305.

[7] Cass. Civ. sent. n. 9137/2013; cfr. Trib. Ferrara, 12.06.2017 n. 605.

[8] Cass. Civ. sent. n. 18494/2015.

[9] Inteso come lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento e coincidente con il danno contra ius.

[10] Inteso come il pregiudizio patito dalla vittima in conseguenza del verificarsi del danno evento, come espresso dalle Sezioni Unite con le quattro sentenze gemelle nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 del 2008.

[11] Art. 2697 c.c.

[12] La verosimile esistenza del diritto per cui si agisce.

[13] Il verificarsi di un pregiudizio irreparabile se si seguisse la via ordinaria.

[14] Cass. Civ. SS.UU. sent. n. 7305/14.

[15] Cass. Civ. sent. n. 20589/2007.

[16] Cass. Civ. sent. n. 8913/2002: “Il conduttore in mora nel restituire la cosa è, perciò stesso, ossia indipendentemente da qualsiasi prova fornita dal locatore, tenuto a corrispondere un importo pari al corrispettivo convenuto, con ciò intendendosi, in caso di applicabilità della l. 27 luglio 1978 n. 392, il canone legalmente dovuto. Ne consegue che egli ha il diritto di ripetere, nei confronti del locatore, quella parte del corrispettivo che superi la misura stabilita dalla legge sul cosiddetto equo canone, anche se tale corrispettivo si riferisca al periodo successivo alla data stabilita per il rilascio, salva la facoltà del locatore di dimostrare, soggiacendo ai principi generali in tema di prova, di aver subito un danno maggiore rispetto a quello coperto dal canone legale”.

[17] Cass. Civ. sentt. nn. 2525/2006 e 7499/2007.

[18] Cass. Civ. sent. n. 12962/11.

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