Obbligo di cooperazione in mediazione e relative sanzioni in ipotesi di violazioni

ll decreto legislativo n. 28 del 2010, fin dalla sua introduzione, ha inteso stabilire un obbligo di cooperazione delle parti nel processo di mediazione, indipendentemente dal fatto che il tentativo sia obbligatorio per legge, derivante da un accordo contrattuale o meno. Questo principio è esplicitamente sancito nell’articolo 8, quinto comma, che prevede che solo un “giustificato motivo” possa esonerare una parte dall’obbligo di partecipare alla mediazione. Inoltre, si specifica che la mancata partecipazione senza giustificato motivo consente al giudice di utilizzare tale inadempimento come prova sfavorevole nel successivo processo.

Quadro normativo e finalità

Le sanzioni per la mancata cooperazione in mediazione, stabilite dal Decreto Legislativo n. 28/2010, si articolano in due principali conseguenze, che variano a seconda della situazione concreta e del tipo dimediazione in gioco. Queste sanzioni mirano a incentivare la partecipazione alle procedure di mediazione, riconoscendo la cooperazione come un elemento centrale per il buon funzionamento della giustizia alternativa e per alleggerire il carico di lavoro dei tribunali.

Il quadro normativo iniziale è stato poi consolidato, evidenziando sempre di più l’intento del legislatore di rendere la mediazione uno strumento centrale per affrontare l’inefficienza del sistema giudiziario. Con l’intervento dei decreti-legge n. 138 del 2011 (convertito con legge n. 148 del 2011) e n. 212 del 2011,l’articolo 8, quinto comma, del d.lgs. n. 28 del 2010 ha subito delle modifiche, stabilendo che: «Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti
di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Con ordinanza non impugnabile pronunciata d’ufficio alla prima udienza di comparizione delle parti, ovvero all’udienza successiva di cui all’articolo 5, comma 1, il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del
bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio».

Tipologie di sanzioni: conseguenze economiche e processuali

Oggi, quindi, la mancata partecipazione alla mediazione senza un giustificato motivo comporta due tipi di sanzioni: una di natura economica e l’altra che incide sul merito della decisione finale della causa. È importante notare che le due sanzioni non sono applicabili in tutte le situazioni in modo uniforme. La sanzione economica, infatti, è prevista solo nei casi in cui la mediazione sia obbligatoria per legge (art. 5, primo comma) o sia stata scelta dalle parti tramite un accordo contrattuale (art. 5, quinto comma), o ancora quando il giudice
ha invitato le parti a partecipare alla mediazione (mediazione delegata, art. 5, secondo comma). In altri casi, in cui la mediazione è volontaria, si applica solo la sanzione riguardante il merito della causa, ovvero la possibilità per il giudice di utilizzare la mancata partecipazione come prova a carico della parte che non hacollaborato senza giustificato motivo.

A prescindere dalle critiche generali sulla validità della mediazione come strumento per alleggerire il carico di lavoro del giudice, è importante riflettere sui vari aspetti tecnici sollevati dalle modifiche legislative. In particolare, si può discutere sull’effettiva applicabilità delle sanzioni in contesti differenti e sulle difficoltà di interpretazione riguardo a cosa costituisca un “giustificato motivo” che possa esonerare una parte dalla partecipazione alla mediazione. La normativa offre ampio margine di valutazione ai giudici, ma la necessità di
un approccio coerente e chiaro rimane cruciale per garantire l’efficacia e la giustizia del processo di mediazione.

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Il concetto di “giustificato motivo” e i criteri di valutazione

Il recente aggiornamento normativo riapre il dibattito sul concetto di “giustificato motivo” che può esonerare una parte dall’obbligo di partecipare alla mediazione. La questione è particolarmente rilevante poiché, al momento, non esistono ancora orientamenti giurisprudenziali consolidati, lasciando ampio spazio alle opinioni degli interpreti, che avanzano possibili scenari.Se le parti hanno concordato di intraprendere un tentativo di mediazione prima di avviare una causa, è plausibile che esse abbiano anche deciso l’organismo da scegliere e, forse, anche la localizzazione territoriale.
In tale caso, la mancata partecipazione di una parte potrebbe essere giustificata se essa venga invitata a una mediazione con un organismo diverso da quello concordato o ubicato in una sede diversa da quella inizialmente stabilita. Ad esempio, se le parti avevano deciso di rivolgersi alla camera di commercio di Firenze, l’assenza di una parte invitata invece a una mediazione organizzata dall’ordine degli avvocati di Firenze o dalla camera di commercio di Bologna potrebbe essere considerata giustificata, a meno che non siano intervenuti fatti che giustifichino quel cambiamento (ad esempio, imprevisti legati alla disponibilità o all’organizzazione dell’ente scelto). In questo caso, la parte che non partecipa dovrà comunque dimostrare la propria buona fede.

Nel caso in cui non vi sia stato alcun accordo preliminare tra le parti, la determinazione di cosa costituisca un “giustificato motivo” potrebbe essere più complessa. Tuttavia, si può ritenere giustificata la mancata partecipazione se l’invito a mediare fosse stato formulato in modo vessatorio, ad esempio, indicando un organismo molto lontano geograficamente dal luogo in cui si svolge l’affare. Inoltre, l’assenza di giustificato motivo potrebbe essere esclusa anche se la parte non ha ricevuto correttamente la notifica della domanda di
mediazione. In tal caso, chi ha avviato la mediazione dovrà fornire prove adeguate di aver adempiuto agli obblighi di comunicazione e di aver fatto tutto il possibile per informare l’altra parte.

Ruolo del giudice e del mediatore nella valutazione della condotta delle parti

Un caso più controverso riguarda la valutazione di una pretesa manifestamente infondata da parte dell’iniziatore della mediazione. Sebbene non si possa esigere che la parte invitata alla mediazione si sposti per affrontare richieste palesemente senza fondamento, non si può neppure considerare che la valutazione dell’infondatezza possa giustificare l’inattività della parte invitata. In questo caso, i giudici dovranno applicare con attenzione il concetto di “giustificato motivo”, tenendo conto delle specifiche circostanze del caso.

Una delle problematiche aggiuntive riguarda il ruolo del mediatore nella valutazione del “giustificato motivo”. Se il mediatore dovesse esprimere una sua valutazione sul motivo dell’assenza di una delle parti, tale giudizio non avrà alcun valore nel contesto del processo successivo, che rimarrà di competenza esclusiva del giudice.
La valutazione del “giustificato motivo” diventa dunque centrale poiché incide su due possibili “sanzioni” distinte: una economica (ad esempio, la condanna al pagamento del contributo unificato per la causa) e una che riguarda il merito del giudizio, con la possibilità che il giudice utilizzi la mancata partecipazione come argomento di prova a carico della parte che non ha collaborato senza giustificato motivo. La situazione si
complica ulteriormente per il fatto che queste valutazioni potrebbero avvenire in momenti diversi del processo: la sanzione economica viene decisa in sede di udienza preliminare, mentre la valutazione del comportamento delle parti e la sua incidenza sul merito della causa avverranno nel corso del giudizio vero e proprio.

In sintesi, la definizione e applicazione del concetto di “giustificato motivo” restano ambiti complessi e incerti, che richiedono un’attenta analisi caso per caso, con particolare attenzione a come la normativa si inserisca nel contesto più ampio del sistema giuridico. La discrezionalità del giudice sarà fondamentale, ma è necessario che questa venga esercitata con rigore e coerenza per evitare interpretazioni contrastanti e
garantire la giustizia nelle singole cause.

La normativa in esame stabilisce una sanzione economica per la parte che non coopera alla mediazione senza un giustificato motivo. La prima riflessione riguarda l’irrigazione di questa sanzione: il giudice ha un margine di valutazione relativamente al concetto di “giustificato motivo”, ma, una volta che è accertato che tale motivo non sussiste, la sanzione deve essere irrogata senza discrezionalità ulteriore. Questo è un aspetto positivo,
poiché evita che il giudice possa agire in modo arbitrario nel valutare i casi più o meno gravi di non collaborazione. La seconda osservazione riguarda invece il fatto che la sanzione è prevista solo per la parte costituita, escludendo così la parte contumace dalla responsabilità economica, una distinzione che può sembrare poco giustificata, visto che la parte contumace potrebbe comunque essere considerata responsabile per il fallimento della mediazione.

La questione successiva riguarda il momento e la legittimazione per l’adozione dell’ordinanza da parte del giudice. La norma stabilisce che la sanzione venga irrogata d’ufficio, alla prima udienza di comparizione, ma si solleva il problema di chi sia legittimato a sollevare la questione. Un’opzione sarebbe quella di considerare che solo il giudice possa porre la questione in quanto la sanzione ha carattere pubblico, ma un’altra
interpretazione più ragionevole potrebbe ammettere che anche una parte possa sollevare la questione, rendendo possibile l’adozione della sanzione anche in udienze successive, non solo alla prima. Se il giudice non adotta la sanzione in prima udienza, l’ordinanza potrebbe essere adottata successivamente e, in caso di omessa pronuncia, la parte interessata potrebbe ricorrere in appello per lamentare la mancata adozione dell’ordinanza.

In relazione al provvedimento, la norma stabilisce che l’ordinanza sia “non impugnabile”. Questo solleva il problema di come interpretare la “non impugnabilità”: se significa che il giudice non può modificare o revocare l’ordinanza una volta emessa, o se si intende che la pronuncia dell’ordinanza non impugnabile rende impossibile per il giudice rivedere il contenuto dell’ordinanza nella sentenza finale. Se si opta per la prima interpretazione, l’ordinanza rappresenterebbe una decisione definitiva sulla questione e non potrebbe essere
riconsiderata successivamente. In questo caso, il giudice dovrebbe prestare particolare attenzione nel valutare il “giustificato motivo” prima di emettere l’ordinanza, poiché tale decisione non potrebbe essere modificata. Inoltre, l’ordinanza potrebbe essere impugnata solo tramite ricorso per cassazione se incide su diritti soggettivi.

Se, invece, si adotta la seconda prospettiva, che prevede una possibilità di rivedere l’ordinanza nella sentenza finale, si ridurrebbe l’importanza del provvedimento, poiché il giudice potrebbe “correggere” o rivedere la decisione relativa alla mancata partecipazione alla mediazione quando emette la sentenza finale. Tuttavia, questa seconda interpretazione rischia di indebolire la forza dell’ordinanza stessa, in quanto ridurrebbe
l’efficacia di una decisione presa al di fuori della fase di discussione del merito.

L’interpretazione più plausibile, che tiene conto del principio di “non impugnabilità” delle ordinanze, sarebbe quella che considera l’ordinanza come una decisione definitiva sulla questione della partecipazione alla mediazione, con un possibile ricorso in cassazione se l’ordinanza incide su diritti soggettivi. Questo approccio, inoltre, impedirebbe conflitti logici tra ordinanza e sentenza finale, poiché la questione della mancata partecipazione sarebbe già stata risolta con l’ordinanza e non sarebbe più oggetto di valutazione nella
sentenza.

Conclusioni

Quindi, in sintesi, il giudice dovrebbe prima valutare attentamente il concetto di “giustificato motivo” prima di emettere l’ordinanza, poiché tale provvedimento non potrà essere modificato successivamente. Inoltre, la parte che si ritiene danneggiata dalla mancata partecipazione alla mediazione potrebbe sempre ricorrere in appello se non riceve una risposta adeguata alla questione sollevata.

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