Nullità derivata: il rapporto tra intesa anticoncorrenziale e contratto del consumatore

in Giuricivile, 2020, 2 (ISSN 2532-201X)

Con il termine nullità derivata si intende la propagazione di un vizio di nullità da un contratto a monte ad uno diverso e successivo, collegato al primo dal punto di vista pratico ed economico.

Tale forma di invalidità trova particolare rilevanza nell’ambito delle intese anticoncorrenziali. [1]

In merito a ciò, è necessario richiamare l’art. 2 della lg 287/1990 che precisa quando le intese tra imprese debbano essere considerate anticoncorrenziali. [2]

In primo luogo, è possibile soffermarsi sulla concezione di intesa sulla scorta del dettato normativo e alla luce dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza.

In tal senso, si predilige una nozione estensiva: con il termine predetto sono da intendersi non solo i contratti in senso tecnico, ma anche i comportamenti consapevoli, tenuti in maniera comune e finalizzati ad una distorsione del gioco della concorrenza.[3]

In secondo luogo, sulla scorta dell’originaria versione dell’art. 33 della lg 287/90[4], è possibile verificare quali rimedi fossero attribuiti al ricorrente in caso di intesa anticoncorrenziale.

Nello specifico, l’azione di nullità e quella di risarcimento del danno, con attribuzione della competenza in unico grado alla Corte d’Appello.

Le questioni rilevanti

Una delle principali problematiche è relativa alla legittimazione attiva.

In particolare, risulta necessario stabilire se la legittimazione a far valere la nullità e a domandare il risarcimento del danno spetti solamente agli altri soggetti del mercato (altre imprese) o anche al consumatore, parte del contratto stipulato a valle.

Sul punto si confrontano due tesi.

Da un lato, coloro che propendono per un’interpretazione restrittiva, ritenendo attribuita la legittimazione ex art 33 ai soli altri soggetti del mercato e non anche ai consumatori. Di conseguenza, in capo a quest’ultimi rimarrebbe l’azione ordinaria di responsabilità aquiliana ex art 2043 c.c.

Dall’altro, coloro che prediligono una soluzione estensiva, affermando che la legittimazione risulterebbe anche in capo agli stessi consumatori. Fondamento è da rinvenire in una pronuncia della Corte di Giustizia del settembre 2001, nella quale si specifica che il principio della libertà di concorrenza sarebbe inoperante se non fosse garantito a tutti, anche agli stessi consumatori finali.

La pronuncia della Sezioni Unite

In tale contesto, si inserisce la pronuncia della Corte di Cassazione del 2005, che risolve il contrasto predetto estendendo la legittimazione ad agire ex art 33 lg 287/90 non solo alle imprese, ma anche ai consumatori finali.[5]

Sulla scorta di ciò, è possibile richiamare il concetto di nullità derivata: il consumatore, infatti, in quanto parte del contratto a valle, può agire al fine di ottenere la declaratoria di nullità del contratto, collegato all’intesa anticoncorrenziale, stipulata a monte.

Ratio è da ravvisare nel fatto che un’intesa restrittiva della concorrenza è in grado di ledere anche il patrimonio del singolo soggetto (ossia il consumatore), benchè quest’ultimo non sia concorrente con l’autore dell’illecito. In tal senso, infatti, il contratto finale stipulato dal consumatore costituisce lo sbocco naturale dell’intesa, potendo essere qualificato come strumento necessario affinchè quest’ultima produca i suoi effetti.

Di conseguenza, è necessario riconoscere, in capo al consumatore, l’azione volta ad ottenere il risarcimento del danno ex art. 33 comma 2 lg 287/90. Quest’ultimo potrà lamentare il fatto di essere stato privato, sulla scorta della collusione realizzata a monte, della libertà di autodeterminarsi.[6]

Gli interventi del legislatore

Alla luce di quanto detto, è possibile indagare le azioni proponibili da parte del consumatore.

Nello specifico:

  • a) azione di nullità, avente ad oggetto l’intesa ritenuta anticoncorrenziale;
  • b) azione di nullità derivata e di ripetizione dell’indebito;
  • c) azione di risarcimento del danno.

In merito a tali tipologie di azioni, il legislatore interviene modificando l’art. 33: – la competenza viene attribuita alle sezioni specializzate del Tribunale dell’Impresa; – viene previsto un doppio grado di giurisdizione.

Di recente, il legislatore è intervenuto con il d.lgs n.3 del 2017, in attuazione della direttiva europea n. 104/2014. In particolare, ai sensi dell’art. 1 commi 1 e 2, è previsto il diritto al risarcimento del danno in favore di chiunque abbia subito un danno a causa della violazione del diritto della concorrenza, da parte di un’impresa o di un’associazione di un’impresa.

Nell’articolo citato non si fa alcun riferimento alla possibilità di esperimento dell’azione di nullità, in caso di intesa anticoncorrenziale. Ciò ha posto un problema interpretativo, risolto in senso estensivo: il mancato riferimento esplicito all’azione di nullità non esclude automaticamente la possibilità di comminarla.

Assunto ciò, è necessario indagare il nesso di causalità intercorrente tra intesa anticoncorrenziale e danno, al fine di individuare l’onere della prova in capo al consumatore finale.

Sul punto, è possibile distinguere due orientamenti ante e post d lgs 3 del 2017: nel primo caso, si prediligeva un criterio di carattere logico/probabilistico, ritenendo, dunque, sufficiente l’allegazione del contratto e l’accertamento, in sede amministrativa, dell’intesa anticoncorrenziale[7]; nel secondo caso, invece, è lo stesso art. 3 ad attribuire al giudice una serie di poteri istruttori d’ufficio, alleggerendo l’onere probatorio.[8]

Ambito applicativo

1. Fideiussioni bancarie

Uno specifico ambito, nel quale assume rilevanza il rapporto tra intesa anticoncorrenziale e diritto al risarcimento del danno, è relativo all’investimento bancario.

La questione ha ad oggetto i contratti di fideiussione elaborati sul modello ABI del 2003[9], censurati dalla Banca d’Italia nel 2005[10].

Sul punto, è possibile richiamare la pronuncia della Corte di Cassazione del 2017[11].

La fattispecie ha ad oggetto una problematica di carattere temporale, legata alla possibilità o meno di incidenza della declaratoria di nullità delle clausole contenute in contratti di fideiussione stipulati ante intervento della Banca d’Italia.

La cassazione risolve la questione richiamando la pronuncia a Sezioni Unite del 2005, in particolare confermando la sussistenza di un danno in capo al consumatore (ex art 2043 c.c.), derivante dall’intesa stipulata a monte ritenuta anticoncorrenziale. Unico rimedio è, quindi, da individuare nella possibilità di esercitare l’azione di nullità.

La Corte recupera il concetto di intesa contenuto nell’art. 2 della lg 287/90, specificando come tale locuzione debba essere intesa in senso ampio, in quanto riferita non solo ai contratti intesi in senso tecnico, ma anche a tutti i negozi giuridici consistenti in manifestazioni di volontà. [12]

Sulla scorta di ciò, ritiene che non si possa escludere la nullità della fideiussione, soltanto in quanto stipulata anteriormente al provvedimento della Banca d’Italia. In tal senso, specificando che proprio per i contratti anteriori si pone il problema di verificare il carattere anticoncorrenziale, in quanto, auspicabilmente, le successive fideiussioni dovrebbero essere state stipulate sulla base del nuovo modello.

La Cassazione non si sofferma sul tipo di nullità.

Per tale motivo, la giurisprudenza di merito ha sviluppato tre orientamenti: a) nullità totale del contratto; b) nullità parziale (sono nulle le sole clausole ritenute anticoncorrenziali, per tale motivo, il giudice dovrà compiere una valutazione ex art 1419 c.c.); c) il consumatore non può far valere nè la nullità parziale nè totale, ma potrà richiedere il solo risarcimento del danno.[13]

In merito a tale questione, è successivamente intervenuta la Corte di Cassazione nel 2019, con due distinte pronunce.

La prima[14] sembra confermare la tesi della nullità totale. La Corte, ribadendo quanto affermato nel 2017, precisa che debbono essere ritenute nulle non solo le intese successive al provvedimento del 2005, non conformi allo schema, ma anche quelle anteriori.[15]

La seconda[16],invece, predilige la nullità parziale. Nello specifico, precisando come il provvedimento del 2005 abbia ritenuto soltanto alcune specifiche clausole del contratto lesive della concorrenza. In tal senso, risulterà necessario applicare lo schema dell’art. 1419 c.c., verificando se il consumatore avrebbe stipulato comunque il contratto anche in assenza di tali clausole.[17]

2. Delibere condominiali

È infine possibile richiamare un ulteriore ambito nel quale acquista rilevanza il concetto di nullità derivata: la materia condominiale.

In particolare, si ritiene nulla la delibera condominiale dipendente dalla precedente già viziata.

Sul punto, vale la pena richiamare due pronunce di merito [18]: in entrambe, il Tribunale ritiene affetta da nullità derivata le delibere condominiali, conseguenti a delibere precedenti annullate o dichiarate nulle da parte del giudice.

Attuale assetto

L’utilizzo dell’istituto della nullità derivata ha, dunque, permesso di garantire maggiormente il consumatore rispetto ad un’intesa ritenuta anticoncorrenziale.

Interesse di quest’ultimo è, infatti, da circoscrivere nel diritto costituzionalmente e comunitariamente tutelato alla libertà contrattuale, concretizzato nel diritto di godere dei benefici della corretta competizione commerciale all’interno del mercato.

Sin dalla pronuncia del 2007, la giurisprudenza è incline a ritenere incidente sul piano del consumatore la stipula di un’intesa contraria ai principi della leale concorrenza del mercato.

Per tale motivo, oltre ad un’azione volta ad ottenere il risarcimento del danno, è stata riconosciuta la possibilità di ottenere la declaratoria di nullità del contratto, grazie alla categoria della cosiddetta nullità derivata.


Bibliografia

  • Alessandro Bernes, La prova del danno e del nesso di causalità nell’azione risarcitoria derivante da “cartello” in seguito al recepimento della direttiva 2014/104/UE, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 2, 2017, pag. 0954B
  • Giuseppe Maria Berruti, Le intese anticoncorrenziali vietate, in Giust. Civ., fasc. 9, 2000, pag. 297
  • Enrico Camilleri, La tutela del contraente “a valle” di intesa illecita tra giurisprudenza comunitaria e diritto interno, in Europa e dir. priv., fasc. 1, 2007, pag. 43
  • Mariateresa Maggiolino, L’applicazione della L.287/90 alle intese restrittive della concorrenza, in Concorrenza e mercato, fasc. 1, 2002, pag. 3
  • Mariateresa Maggiolino, Le intese restrittive della concorrenza. Anni 2004, 2005 e primo semestre 2006, in Concorrenza e mercato, fasc. 1, 2006, pag. 29

[1] In tale contesto, assume rilievo il rapporto tra intesa anticoncorrenziale e contratto a valle stipulato con il singolo consumatore.

[2]Art. 2. Intese restrittive della libertà di concorrenza

  1. Sono considerate intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari.
  2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel:
  3. a)fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali;
  4. b)impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico;
  5. c)ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
  6. d)applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;
  7. e)subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l’oggetto dei contratti stessi.
  8. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto.”

[3] Di conseguenza, rientrano nel concetto di intesa anticoncorrenziale, anche le pratiche concordate e non solo i contratti in senso stretto. Anche laddove vi siano due sole imprese e non necessariamente un contratto associativo, con una pluralità di parti.

[4] Art. 33 vecchio testo:

Competenza giurisdizionale   

“1. I ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi adottati  sulla base delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV  della  presente legge   rientrano   nella   giurisdizione   esclusiva   del   giudice amministrativo. Essi devono  essere  proposti  davanti  al  Tribunale amministrativo regionale del Lazio.   

  1. Le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonchè i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai  titoli  dal  I al IV  sono promossi davanti alla corte d’appello competente per territorio.”

Art 33 nuovo testo:

1. La tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo è disciplinata dal codice del processo amministrativo.

  1. Le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV sono promossi davanti al tribunale competente per territorio presso cui e’ istituita la sezione specializzata di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 26 giugno 2003, n. 168, e successive modificazioni.”

[5] Cass. S.U. n. 2207/2005: Le sezioni unite escludono che la legge antitrust sia legge degli imprenditori soltanto, ma “al contrario essa è legge che riguarda tutti i soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia interesse processualmente rilevante alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere”.

[6] L’illecita riduzione della concorrenza tra le imprese ha l’effetto di rendere i prodotti completamente omogenei nei confronti dei consumatori, escludendo la possibilità per gli stessi di effettuare una scelta specifica.

[7] Di conseguenza, il consumatore doveva allegare il contratto e l’intesa anticoncorrenziale. L’accertamento circa il carattere anticoncorrenziale spettava all’autorità amministrativa che doveva allegare il provvedimento, anche pendente. In ordine al danno, ci si affidava ad una presunzione: l’importo dell’incremento subito dal consumatore doveva essere pari alla differenza tra il premio pagato e la media dei premi europei per le polizze dello stesso tipo. Alla compagnia assicurativa, quindi, veniva lasciato l’onere della prova contraria, sia con riferimento al nesso di causalità sia rispetto all’ammontare del danno.

[8] In attuazione del principio della vicinanza della prova, la documentazione relativa all’intesa anticoncorrenziale e gli effetti della stessa sono nella disponibilità dell’impresa stessa, quindi, non è onere il consumatore in merito a ciò, ma allegare documenti che possano fondare la plausibilità della domanda ed il giudice potrà utilizzare i poteri istruttori d’ufficio per integrare la documentazione. Ulteriore intervento del legislatore è in relazione alla rilevanza dell’accertamento amministrativo. Una delle problematiche è stabilire se al giudice sia consentito un accertamento incidentale in merito all’intesa anticoncorrenziale oppure un accertamento incidentale sull’intesa ritenuta anticoncorrenziale, nonostante l’accertamento sia già stato effettuato in sede amministrativa.

Con il dlgs 3/17, l’art. 7 ultimo comma stabilisce che la decisione dell’autorità garante per la concorrenza, che non sia stata impugnata o la sentenza definitiva del giudice amministrativo, consentono di ritenere definitivamente accertata la natura anticoncorrenziale dell’impresa. Il giudizio del giudice amministrativo risulta, dunque, vincolante nell’ambito civile.

[9] La deliberazione dell’ABI del luglio 2003 propone un modello di fideiussione omnibus, utilizzato dagli istituti di credito.

[10] Con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 la Banca d’Italia, in quanto autorità all’epoca preposta alla tutela del mercato e della concorrenza, interviene specificando che gli articoli 2, 6 ed 8 del modello approvato dall’ABI nel 2003 contengono disposizioni anticoncorrenziali.

[11] Corte di Cassazione n. 29810/2017: “In tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art.2, la stipulazione “a valle” di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse “a monte” (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la Banca d’Italia con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, articoli 14 e 20, (in vigore fino al trasferimento dei poteri all’AGCM, con la L. n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2016) a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza.”

[12] Di conseguenza, è possibile qualificare come intesa qualsiasi forma di distorsione del mercato.

[13] Il d.lgs 3/17 ha espressamente escluso una tutela reale in capo al consumatore, limitandosi a prevedere il solo risarcimento del danno.

[14] Cass. n. 13846 del 2019

[15] Ulteriore argomento, utilizzato dalla giurisprudenza, a fondamento della tesi della nullità totale, è da rinvenire nel fatto che la nullità deriverebbe dalla violazione del diritto alla libera scelta dei prodotti di mercato. L’intesa anticoncorrenziale inciderebbe sul diritto del consumatore ad una scelta più ampia e più libera nel mercato bancario.

[16] Cass. 24044 del 2019

[17] La Corte ritiene difficile parlare di nullità totale, in quanto le clausole, ritenute anticoncorrenziali, risultano funzionali all’esclusivo interesse della banca. Con la conseguenza che è quasi impossibile ritenere che il consumatore avrebbe stipulato il contratto anche in assenza di quest’ultime.

[18] Tribunale di Roma n. 1721/2019, n. 17220/2018.

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