
Il patto di quota lite è un contratto aleatorio stipulato tra avvocato e cliente. In base a tale accordo, il compenso del difensore varia in funzione dei benefici ottenuti all’esito favorevole della causa.
Ciò che lo caratterizza è il rischio: il risultato non è certo, né nell’an né nel quantum. Proprio per questo, si distingue da altri modelli di accordo, come il palmario (che abbiamo analizzato in un altro approfondimento).
L’art. 13, comma 4, della Legge n. 247/2012 vieta espressamente il patto di quota lite. In particolare, è fatto divieto di stipulare accordi in cui l’avvocato percepisca, in tutto o in parte, una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa.
La ratio del divieto è chiara: si vuole tutelare l’indipendenza e la dignità dell’avvocato. L’obiettivo è evitare che il difensore sia coinvolto direttamente nell’interesse economico della lite, snaturando così la relazione professionale e trasformandola in un rapporto di tipo associativo.
Su questi aspetti è intervenuta la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9359/2025 (clicca qui per consultare il testo integrale dell’ordinanza). In una controversia in cui le parti avevano stipulato un patto di quota lite nullo, la Corte ha chiarito se, in caso di esito negativo della lite, l’avvocato possa comunque pretendere il compenso secondo le normali tariffe forensi.
Consiglio: il “Formulario commentato del nuovo processo civile” aggiornato alle ultime novità normative e giurisprudenziali, offre un supporto pratico e operativo per affrontare ogni fase del contenzioso civile.
Il caso in esame
La cliente incaricava l’avvocato di difenderla in una controversia civile. Il difensore e la cliente si accordavano nel senso che, qualora la controversia avesse avuto esito positivo, l’avvocato avrebbe avuto diritto al 40% della somma ottenuta dall’assistita. Viceversa, in caso di esito negativo, il legale non avrebbe avuto diritto ad alcunché. Inoltre, era precisato che, parimenti, il difensore non avrebbe avuto diritto in caso di recesso della cliente per una qualche giusta causa.
La causa aveva avuto esito negativo, ma, nonostante ciò, il difensore agiva in giudizio per ottenere il pagamento del compenso, sul presupposto che il patto di quota lite era nullo e che, dunque, si dovevano applicare le normali tariffe forensi.
Il Tribunale accoglieva la domanda, ritenendo che l’accordo intercorso tra l’avvocato e la cliente costituisse patto di quota lite, vietato dalla legge, con la conseguenza che, al suo posto, dovevano applicarsi le regole sul compenso del difensore. La cliente impugnava tale decisione in Cassazione.
Formulario commentato del nuovo processo civile
Il volume, aggiornato alla giurisprudenza più recente e agli ultimi interventi normativi, il cd. correttivo Cartabia e il correttivo mediazione, raccoglie oltre 200 formule, ciascuna corredata da norma di legge, commento, indicazione dei termini di legge o scadenze, delle preclusioni e delle massime giurisprudenziali. Il formulario si configura come uno strumento completo e operativo di grande utilità per il professionista che deve impostare un’efficace strategia difensiva nell’ambito del processo civile.
L’opera fornisce per ogni argomento procedurale lo schema della formula, disponibile anche online in formato editabile e stampabile.
Lucilla Nigro
Autrice di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.
Leggi descrizione
Lucilla Nigro, 2025, Maggioli Editore
94.00 €
89.30 €

Formulario commentato del nuovo processo civile
Il volume, aggiornato alla giurisprudenza più recente e agli ultimi interventi normativi, il cd. correttivo Cartabia e il correttivo mediazione, raccoglie oltre 200 formule, ciascuna corredata da norma di legge, commento, indicazione dei termini di legge o scadenze, delle preclusioni e delle massime giurisprudenziali. Il formulario si configura come uno strumento completo e operativo di grande utilità per il professionista che deve impostare un’efficace strategia difensiva nell’ambito del processo civile.
L’opera fornisce per ogni argomento procedurale lo schema della formula, disponibile anche online in formato editabile e stampabile.
Lucilla Nigro
Autrice di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.
Motivi di ricorso
La ricorrente contestava la pronuncia del tribunale per due motivi:
- In primo luogo, prospettava la violazione degli artt. 2233 e 1339 c.c. e della legge n. 247/2012. In particolare, sosteneva di non aver stipulato un patto di quota lite, dal momento che le due clausole dell’accordo intercorso con l’avvocato avevano portata autonoma: la prima, commisurava il compenso del difensore al 40% del risultato; la seconda, invece, prevedeva che nessun compenso sarebbe stato dovuto in caso di esito negativo della lite. La due previsioni erano distinte e indipendenti l’una dall’altra e non configuravano un unico accordo con cui si legava la retribuzione al risultato della causa. La seconda clausola, inoltre, doveva interpretarsi come una rinuncia preventiva del difensore al corrispettivo.
- In secondo luogo, denunciava l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo. L’accordo con il difensore prevedeva che quest’ultimo non avrebbe avuto diritto al compenso se la cliente avesse receduto dal mandato, per giusta causa. Tale ipotesi si sarebbe verificata dal momento che, la ricorrente, non appena era venuta a conoscenza della nullità del patto di quota lite, aveva revocato il mandato, per giusta causa, in quanto l’avvocato l’aveva costretta a stipulare un accordo che sapeva essere nullo.
Nullità del patto di quota lite
La Suprema Corte ha osservato che le due clausole del patto erano parte di un unico accordo e avevano la medesima funzione: regolare il compenso del difensore. Non si poteva dire che si trattasse di due distinti atti in quanto entrambe integravano un patto con cui si legava il corrispettivo al risultato: se il difensore avesse vinto la causa, avrebbe avuto diritto a una percentuale del risultato; se avesse perso, non gli sarebbe spettato nulla.
La Cassazione ha, quindi, condiviso la tesi del Tribunale secondo cui la clausola di rinuncia al corrispettivo in caso di esito infausto rappresentava un patto di quota lite, vietato dalle legge.
La nullità, ormai pacifica, del patto di quota lite, tuttavia, non inficia l’intero contratto tra avvocato e cliente (Cass. 20069/2018), che resta valido e che può essere integrato, quanto alla parte elisa da nullità, dalle regole generali sul compenso.
Diritto dell’avvocato al compenso: la decisione della Corte
I giudici di legittimità hanno, poi, escluso la sussistenza di un recesso per giusta causa da parte della ricorrente. L’accordo presupponeva un recesso per giusta causa prima che la funzione stessa del patto si esaurisse e le condotte imputate al difensore si riferivano a una fase successiva all’attività professionale già svolta.
In altre parole, i comportamenti dell’avvocato che avrebbero giustificato il recesso della cliente dovevano essere anteriori all’esecuzione dell’incarico, altrimenti non avrebbero inciso sul diritto al pagamento.
In linea con questa ricostruzione, la Corte ha richiamato e condiviso le conclusioni del Procuratore Generale, secondo cui la cliente avrebbe potuto revocare liberamente il mandato, anche in assenza di giusta causa, ma tale revoca non pregiudicava il diritto del professionista a ricevere il corrispettivo per l’attività già svolta, salvo che vi fosse prova di un inadempimento effettivo nell’esecuzione del mandato. Nel caso in esame, le contestazioni mosse riguardavano solo comportamenti successivi alla prestazione professionale, privi di incidenza sulla validità e sulla remunerazione per l’attività svolta.
La Suprema Corte, sulla base di tali argomentazioni, ha rigettato il ricorso, confermando la nullità dell’accordo tra l’avvocato e la ricorrente, in quanto patto di quota lite, e riconoscendo il diritto dell’avvocato al compenso professionale, secondo le normali tariffe forensi.
Conclusioni
La decisione della Corte di Cassazione ribadisce il principio secondo cui, la nullità del patto di quota lite, vietato dall’ordinamento per ragioni di tutela dell’autonomia del difensore, non fa venir meno il diritto dell’avvocato al compenso per l’attività effettivamente svolta. Anche a seguito dell’esito negativo della causa e in presenza di un accordo nullo, la prestazione professionale resa deve essere retribuita secondo le tariffe forensi, a meno che non sussista un inadempimento accertato.