Con la sentenza n. 8100 del 21 aprile 2015, la prima sezione civile della Cassazione ha chiarito se ai nonni sia attribuito o meno un diritto di visita al nipote, qualora egli si rifiuti di ripristinare il rapporto con loro, condizionato dalla pressione dei genitori.
Nel caso di specie, i nonni di una minore, affidata ai servizi sociali a seguito della separazione dei genitori, avevano proposto reclamo avverso un provvedimento del Tribunale dei minori che aveva revocato le disposizioni relative alla previsione di un graduale avvicinamento tra la minore ed i nonni paterni.
La Corte d’Appello respingeva tuttavia il reclamo sul presupposto che, seppure il rifiuto espresso dalla minore nel corso del procedimento, era stato condizionato dall’ostilità dei genitori al ripristino del rapporto fra nonni e nipote, di esso si doveva tenere conto perchè esprimeva la volontà dell’adolescente di non esporsi a una situazione di conflitto che non era in grado di sostenere.
Quanto al rapporto del minore con gli ascendenti, l’art. 155 c.c., novellato dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 1, comma 1, prevede al 1° comma che “anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale“.
Di contro, la Corte di legittimità, in conformità ad un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ha tuttavia ribadito che tale disposizione non attribuisce ai nonni un autonomo diritto di visita, “ma affida al giudice un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nell’articolazione di provvedimenti da adottare in tema di affidamento, nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una crescita serena ed equilibrata del minore” (Cass. civ. sezione 1^ n. 17191 dell’11 agosto 2011).
Ne consegue che al giudice è affidato il potere di emettere provvedimenti che tengano conto dell’interesse prevalente del minore e che si prestino alla maggiore flessibilità e modificabilità possibile in relazione alla finalità di attuare la miglior tutela in favore del minore. Cosi nella specie i giudici di merito avevano correttamente voluto evitare al minore di trovarsi al centro di un conflitto interfamiliare, in grado di determinare una condizione ansiogena e non corrispondente alle sue esigenze di serenità nella crescita.
La Cassazione ha inoltre respinto la censura relativa alla mancata nomina di un curatore speciale del minore per il procedimento in oggetto. In effetti, rileva la Suprema Corte, l’art. 336 c.c., che prevede la nomina di un difensore del minore, si applica soltanto ai provvedimenti limitativi ed eliminativi della potestà genitoriale ove vi sia un concreto profilo di conflitto di interessi tra genitori e minore, e “non anche alle controversie relative al regime di affidamento e di visita del minore nelle quali la partecipazione del minore si esprime, ove ne ricorrano le condizioni di legge e nel perseguimento del suo superiore interesse, mediante l’ascolto dello stesso“.
(Corte Suprema di Cassazione, Prima sezione civile, sentenza n. 8100 del 21 aprile 2015)