Quasi certamente, tutti almeno una volta nella vita hanno sentito parlare di donazione, ossia di quella liberalità attuata frequentemente dai genitori in favore dei figli, più raramente realizzata a favore di estranei. Quando si parla di donazione, l’aspetto che per primo viene in mente è la gratuità dell’atto, dato che nei confronti del donante non è previsto alcun corrispettivo. Tuttavia, tale connotato riguarda diversi negozi, i quali viceversa non si possono considerare tecnicamente delle donazioni, e solo in alcuni casi sono atti di liberalità. La dottrina e la giurisprudenza hanno dato il loro contributo per delineare i tratti distintivi tra negozi gratuiti, liberalità e donazione, ma per meglio comprenderne le differenze, occorre preliminarmente inquadrare in linea generale i singoli istituti.
Negozio gratuito
Nel negozio gratuito, a differenza di quello oneroso, il sacrificio patrimoniale è posto a carico di una sola delle parti. L’esempio classico è il comodato che per espressa previsione legislativa è un contratto “essenzialmente gratuito”[1]. Più in particolare, si tratta di un contratto reale, ovvero che si perfeziona con la consegna materiale della cosa, mediante il quale il comodante consegna un bene mobile o immobile al comodatario affinché ne faccia l’uso specificato in contratto, e per il tempo prestabilito, dovendo restituirlo alla scadenza. È chiaro che chi ottiene qualcosa in comodato ne trae un vantaggio, che certamente può variare in relazione all’utilità della cosa e al tempo di utilizzo, ma si tratta comunque di un beneficio senza che la controparte riceva un corrispettivo. Un altro contratto reale, normalmente oneroso, ma che per accordo delle parti può essere gratuito è il mutuo; esiste infatti la possibilità che i contraenti stipulino il c.d. mutuo infruttifero, ossia quello che esclude la corresponsione degli interessi quale corrispettivo della somma mutuata, di guisa che alla scadenza del contratto il mutuante avrà diritto esclusivamente al tandundem. L’elemento del vantaggio unilaterale risulta ancor più chiaro quando la parte mutuante sia un incapace, ad esempio un minore, il quale può compiere atti di straordinaria amministrazione relativamente al proprio patrimonio previa autorizzazione giudiziale, debitamente rappresentato e solo se il giudice ravvisi un’utilità o reputi necessario l’atto da compiere[2]. Invero, in questo caso secondo la dottrina il giudice non autorizzerebbe la stipula del contratto di mutuo attivo gratuito, ossia quello che vede l’incapace come parte mutuante, dato che tale negozio comporterebbe una perdita patrimoniale non compensata da alcun vantaggio economico per il minore[3], rivelandosi quindi né utile né necessario.
Atti di liberalità
Sono liberalità gli atti che determinano l’ impoverimento di chi li compie ed il correlativo arricchimento di chi li riceve, senza che ciò derivi dall’adempimento di un’obbligazione, neanche naturale[4]. Arricchimento ed impoverimento sono requisiti indefettibili dell’atto di liberalità, e per meglio comprenderne il reale significato è utile fare qualche esempio: Se Tizio rimette il debito a Caio ex art. 1236 c.c. per ragioni fiscali, ha compiuto un negozio gratuito, ma non vi è spirito di liberalità, perché non intende arricchirlo, bensì avvantaggiare sé stesso. Allo stesso modo se Tizio paga il prezzo della compravendita dell’immobile acquistato dal figlio Caio perché in debito con lui per l’equivalente, il suo intento sarà evidentemente solutorio, ma non certamente liberale. Viceversa, qualora Tizio, ai sensi dell’articolo 1180 c.c. adempia l’obbligazione del pagamento del prezzo di vendita spontaneamente, o rimetta il debito solo per arricchire il debitore, saremo di fronte ad un atto di liberalità e nella fattispecie si tratterà di una donazione indiretta. Semplificando, si ha contratto indiretto quando si utilizza un determinato schema negoziale per raggiungere lo scopo di un altro negozio. Nel caso della remissione di debito, Tizio si serve dello schema negoziale di cui all’art. 1236 c.c., raggiungendo praticamente lo stesso scopo della donazione.
La donazione
La donazione (diretta) è un contratto consensuale, essa cioè si perfeziona con il consenso delle parti legittimamente manifestato. Attraverso questo negozio una parte arricchisce l’altra, disponendo in suo favore di un diritto, o assumendo verso la stessa un’obbligazione[5]; nel primo caso si parla di donazione reale, nel secondo di donazione obbligatoria . Si tratta di un contratto solenne che deve essere stipulato per atto pubblico a pena di nullità e con la necessaria presenza dei testimoni[6]. Questo in linea generale, poiché non sempre la donazione è un contratto, si veda ad esempio la disciplina della donazione obnuziale ex art. 785 c.c., vale a dire quella fatta in ragione di un determinato futuro matrimonio, la quale si perfeziona senza il consenso del donatario. Inoltre, non sempre la donazione è un contratto consensuale, si pensi alla donazione di cose mobili di modico valore ex art. 783 c.c., la quale è contratto reale e non necessita dell’atto pubblico, né di altri requisiti di forma. Uno degli aspetti peculiari della disciplina della donazione è che ad essa può essere apposto un onere (si pensi alla donazione di un immobile con l’onere di occuparsi degli animali appartenenti al donante), il quale tuttavia non è idoneo ad intaccarne la natura sostanziale, anche qualora esso assorba l’intero arricchimento del donatario[7], fermo restando che ai sensi dell’art. 793 c.c. egli non è tenuto all’adempimento per la parte che eccede il valore della cosa oggetto di donazione.
Distinzioni e profili giurisprudenziali
Date le precedenti premesse, dovrebbe ora risultare più agevole distinguere tra negozi gratuiti, atti di liberalità e donazione. Possiamo affermare che i negozi gratuiti rappresentano il genus nel quale è possibile collocare tutte quelle manifestazioni di volontà negoziale che pur comportando un sacrificio economico solo a carico di una delle parti, difettano dello spirito di liberalità. Come già visto il mutuante nel mutuo infruttifero ed il comodante, non vedono depauperato il loro patrimonio, ma più semplicemente arricchiscono rispettivamente il mutuatario ed il comodatario senza ricevere alcun corrispettivo. La giurisprudenza di legittimità[8], proprio in tema di comodato, sembra escludere che anche di fronte ad un vantaggio economico di entità rilevante, come per esempio concedere in comodato un immobile per un lungo periodo, si possa ravvisare un intento liberale, in quanto se è vero che il comodatario trae vantaggio dall’utilizzo della cosa, è pur vero che ciò corrisponde al contenuto tipico del contratto: chi pone in essere un comodato perfeziona solo un comodato e non una donazione, nemmeno indiretta. Dunque, nonostante come abbiamo visto, esistano dei negozi gratuiti che possono sfociare in liberalità, quali la remissione del debito e l’adempimento del terzo, non ogni atto a titolo gratuito è necessariamente liberale. Viceversa tutte le liberalità sono gratuite, e per questo si può affermare che esse sono una species del genus negozi gratuiti. La donazione invece, comprende in sé ambedue i caratteri della gratuità e della liberalità, in quanto il donante non riceve un corrispettivo, così come accade per i negozi gratuiti, ed il suo unico intento è l’ arricchimento del donatario cui corrisponde il depauperamento del proprio patrimonio. La cassazione [9]ha affermato che se l’assenza di corrispettivo basta ad identificare un negozio come gratuito, la stessa non basta ad individuare i caratteri della donazione, la quale richiede un elemento soggettivo che consiste nella libera volontà di attribuire ad altri un vantaggio senza esservi costretti (spirito di liberalità o animus donandi), e un elemento oggettivo, che costituisce causa della donazione, rappresentato dall’effettivo decremento del patrimonio del donante e correlativo incremento di quello del donatario. Infine, se tutte le donazioni sono permeate dallo spirito di liberalità, non ogni atto liberale è donazione, basti pensare alle donazioni indirette di cui si è già parlato, nonché alle c.d. liberalità d’uso che esplicitamente l’articolo 770, 2° comma c.c. esclude dal novero delle donazioni. Esse sono quelle liberalità “che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi”, si pensi ad esempio alla mancia data al cameriere del ristorante, o ai regali fatti in occasione di festività ed eventi. Si tratta dunque di elargizioni che trovano fondamento negli usi invalsi nel tempo, ma che seppur collegate a ciò che è consueto fare, non vengono percepite come vincolanti da chi le pone in essere.
[1] V. art. 1803 c.c.
[2] V. art. 320 c.c.
[3] L. GENGHINI, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, p.880.
[4] L’obbligazione naturale può essere definita come un dovere morale o sociale, non giuridicamente vincolante, per tale motivo il creditore non ha azione per richiedere l’adempimento, ma nello stesso tempo l’art. 2034 c.c. non ammette la ripetizione di quanto spontaneamente prestato (c.d. soluti retentio).
[5] V. art. 796 c.c.
[6] V. art. 48 L. 16 febbraio 1913 n. 89 (Legge notarile).
[7] Cass. civ., sez. II, sent. n. 3735, 21 giugno 1985.
[8] Cass. civ., sez. II, sent. n. 24866, 23 novembre 2006.
[9] Cass. civ., sez. II, sent. n. 6994, 26 maggio 2000.