Natura di impugnazione merito e poteri della Commissione tributaria

in Giuricivile, 2018, 1 (ISSN 2532-201X)

Il giudizio tributario non ha natura esclusivamente impugnatoria e di legalità formale, ma di impugnazione-merito.

Ne consegue che spetta al giudice il potere (dovere) di stabilire i limiti quantitativi di fondatezza della pretesa impositiva in modo da adottare una pronuncia sostitutiva sulla sussistenza ed entità dei presupposti della pretesa.

Se dunque l’Agenzia delle Entrate rettifica, ai fini dell’imposta di registro, il valore dichiarato nella compravendita di un terreno e il giudice tributario non ritiene fondata tale valutazione, può rideterminare autonomamente la nuova stima dell’area.

A fornire questo chiarimento è la Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 1728/2018.

La valutazione nel merito del giudice tributario

La valutazione nel merito è circoscritta all’atto impositivo impugnato poiché il giudice non può considerare elementi non dedotti dall’amministrazione finanziaria nell’atto stesso.

Egli, inoltre, è comunque vincolato dalla regola generale sull’onere della prova, poiché non può ricercare autonomamente prove sostituendosi all’amministrazione.

Tale integrazione probatoria infatti, per consolidata giurisprudenza di legittimità, non è ammessa per sopperire a carenze istruttorie delle parti in causa, altrimenti verrebbero sovvertiti i rispettivi oneri probatori.

Ne consegue che le commissioni tributarie, in caso di errore o di difetto di prova, possono confermare o annullare l’atto impositivo ma hanno anche il potere di modificare la stima operata dall’amministrazione.

In tale ipotesi, il contribuente sarà tenuto a rilevare l’eventuale inesattezza ed incongruità della valutazione svolta dal giudice.

In conclusione, la Cassazione ha inoltre rimarcato che l’amministrazione finanziaria non può modificare o integrare nel corso del contenzioso i presupposti della propria iniziale pretesa indicati nell’atto impugnato.

Un precedente di merito

Il principio enunciato dall’ Ordinanza in commento trova un precedente recente nella Giurisprudenza di merito, ovvero nella Sentenza n. 3465 del 14.06.2017 della Commissione Tributaria Provinciale di Salerno (Sezione n. 4).

Nello specifico, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato, al venditore e agli acquirenti di un terreno, avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro, aumentando, a seguito di apposito accertamento, il valore finale del bene compravenduto, ai sensi degli artt. 51 e 52 d.p.r. 131/86, in € 35.380,00, a fronte del prezzo pattuito e certificato nell’atto di compravendita di € 17.000,00.

Si determinava, pertanto, la maggiorazione dell’imposta di registro in € 2.232,82, oltre la sanzione pecuniaria pari ad € 2.206,00, per un totale da versare, a carico delle parti contraenti in solido, di € 4.529,28.

“Nella determinazione di detto valore – si legge nella motivazione dell’atto impugnato a pag. 2 – si è tenuto conto che trattasi di un appezzamento di terreno agricolo della superficie di mq 52.277, sito in………….. (SA), alla loc………., zona periferica/suburbana, che costeggia la strada vicinale Arcuzzo e poco distante in linea d’aria dalle strade comunali del comune di riferimento.Il terreno interessato, catastalmente riportato come pascolo cespugliato di cl. 1^, si presenta con una configurazione planimetrica di forma regolare. Lo stesso, alla data della stipula dell’atto, nel vigente P.R.G. ricadeva interamente in zona E agricola, con i relativi parametri dell’edificazione rurale, nel rispetto della L.R. 14/82 e 2787, pari a 0,03 mc/mq per le strutture residenziali e 0,07 mc/mq per la realizzazione di silos, stalle, magazzini e locali depositi. In linea generale, il valore di un immobile può essere espresso in funzione delle diverse caratteristiche tecniche ed economiche possedute dallo stesso, per questo l’ analisi di mercato deve riguardare la tipologia immobiliare potenzialmente realizzabile e la superficie del cespite , pertanto, per il terreno sulla base di quanto sopra, in applicazione del criterio valutativo sintetico-diretto assumendo a base di calcolo un valore di trasformazione in funzione dei valori venali praticati in comune commercio, considerando l’ incidenza dell’ area pari al 10% del valore commerciale della potenziale costruzione realizzabile, coerente con i valori OMI risultanti dalla banca dati delle quotazioni immobiliari pubblicati dall’ Agenzia delle Entrate per le costruzioni ultimate ed alla sua localizzazione, la valutazione è stata eseguita ad € 0.68 mq, ossia ad € 6.800,00 ad ettaro per la piena proprietà (mq 52.277 x € 0,68 mq = € 35.548,00).Il valore unitario, espresso al minimo in € 290 al mq ed al massimo in € 370 al mq, di cui ai calcoli estimali, calcolato al minimo in € 290,00 al mq, per la parte pertinenziale di cui sopra (0,07mc/mq), è scaturita dalla quotazione m dei valori indicati dall’ O.M.I.”.

I ricorrenti deducevano l’illegittimità dell’avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro per “errata determinazione della base imponibile e violazione dell’ art. 43 d.p.r. 131/86 e delle norme urbanistiche vigenti”, assumendo lo stesso, come base imponibile, un valore gonfiato, posto che il terreno compravenduto veniva considerato rientrante in zona agricola (zona E), secondo le previsioni del P.R.G. vigente nel Comune di……… (SA).

Alla base del calcolo per la maggior imposta di registro dovuta, si teneva conto dei parametri per l’edificazione rurale: 0,03 mc/mq per strutture residenziali e 0,07 mc/mq per la realizzazione di silos, stalle, magazzini e locali depositi.

La valutazione, quindi, è stata eseguita ad € 0.68 mq, ossia ad € 6.800,00 ad ettaro per la piena proprietà (mq 52.277 x € 0,68 mq = € 35.548,00).

I ricorrenti, nel far emergere l’inesattezza dell’attività di accertamento dell’Ufficio, in quanto avente ad oggetto un terreno privi dei requisiti minimi di inedificabilità in concreto, puntualizzavano che il terreno compravenduto “ricadeva in Zona B1 del Piano del Parco Nazionale Cilento, Vallo di Diano e Alburni”.

Si legge, infatti, all’ art. 8, n. 3, del Piano del Parco: “Zona B1 di riserva generale orientata: si riferiscono ad ambiti di elevato pregio naturalistico, in cui si intende potenziare la funzionalità ecosistemica, conservarne il ruolo per il mantenimento della biodiversità, con funzione anche di collegamento e di protezione delle zone A. Gli usi e le attività hanno carattere naturalistico comprendono la  fruizione  che,  oltre  agli  scopi   naturalistici,   scientifici   e   didattici, può   avere   carattere   sportivo   o   ricreativo,   (limitatamente a quelle attività che non  richiedono  l’uso  di  motori  o  mezzi  meccanici  o  attrezzature fisse, e che non comportano comunque apprezzabili interferenze sulle biocenosi in  atto,  o  trasformazioni  d’uso  infrastrutturali   o  edilizi    o  modificazioni  sostanziali  della  morfologia dei suoli). Sono ammesse le attività agricole tradizionali (A) e di pascolo brado che assicurino il mantenimento della funzionalità ecosistemica e del paesaggio esistenti e le azioni  di  governo  prevalenti  fini protettivi,  ivi  compresi  gli  interventi  silvicolturali  per  il  governo dei boschi d’alto fusto e  le ceduazioni necessarie a tali fini, in base alle previsioni del  piano  di  gestione  naturalistico  e  nelle  more della  formazione  dei  piani  di  assestamento  forestale   approvati   dall’Ente   Parco.   Gli   interventi   conservativi (CO) possono   essere   accompagnati da interventi manutentivi  e  di  restituzione  (MA  e  RE)  definiti  dal  Piano  di  Gestione  Naturalistico.  Sono in ogni caso esclusi interventi edilizi che eccedano quanto previsto alle  lettere  a),  b) e  c),  di  cui  al  comma  1  dell’art.  3 del D.P.R.  n.380/2001 o interventi infrastrutturali non esclusivamente e  strettamente  necessari  per  il  mantenimento  delle attività agro- silvo – pastorali o per la prevenzione degli incendi”.

Quanto al rapporto tra Piano del Parco e strumento urbanistico comunale (P.R.G.), esso è configurabile alla stregua del rapporto di genus ad speciem, essendovi una norma, l’ art. 12, c.7 l. 6 dicembre 1991 n. 394, a stabilire che “Il  piano del Parco  ha  effetto  di  dichiarazione  di  pubblico  generale  interesse  e  di  urgenza  e  di  indifferibilità  per  gli  interventi in esso previsti e sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione”.

I ricorrenti, infine, segnalavano ulteriori limiti oggettivi e soggettivi all’ eventuale ius aedificandi, come si evince dal certificato di destinazione urbanistica, allegato all’ atto di compravendita, rilasciato dall’ufficio urbanistica del Comune in data 29.09.2014 :

  1. Vincolo paesaggistico ex art. 142, c.7, d.lgs. 42/2004;
  2. Vincolo idrogeologico ex R.D. 3962/1933;
  3. La mancanza della qualifica di “Imprenditore agricolo a titolo principale” dell’acquirente, requisito indispensabile per ottenere il permesso di costruire, qualora la normativa urbanistica del Parco Nazionale non fosse stata così stringente;
  4. sino a quando non è stato approvato il Piano del Parco del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, il terreno medesimo ricadeva in zona C.I. (Conservazione Integrale) del Piano Territoriale Paesistico Cilento Costiero, nella quale non era assolutamente praticabile qualsiasi attività edilizia.

Tanto si evince nell’ art. 11, nn.2-3, delle relative norme di attuazione:

“ Norme di tutela: La zona in oggetto è sottoposta alle norme di tutela di conservazione integrale finalizzata al mantenimento dell’attuale assetto paesaggistico e naturalistico dell’ insieme (C.I.).

  1. Divieti e limitazioni:

Nella zona sono VIETATI i seguenti interventi:

– realizzazione di nuove infrastrutture e/o edifici o incremento dei volumi esistenti;

– impianto di nuove serre;

– esecuzione di movimenti o livellamenti di terreno, anche di modesta entità o di qualsiasi altra modifica dell’andamento morfologico naturale;

– installazione di apparecchiature per la trasmissione di segnali radio-televisivi in aree attualmente non utilizzate per analoga destinazione;

– realizzazione di nuove linee elettriche aeree ad alta tensione su tralicci;

– trasformazione di aree di macchia mediterranea o di bosco……”.

Elementi, questi sopra citati, che tendevano a dimostrare in concreto l’assenza dei requisiti minimi di edificabilità e, quindi, la congruità del prezzo di vendita del bene con conseguente richiesta di annullamento del provvedimento impugnato:

Tali argomentazioni risultavano provate non solo dal Certificato di Destinazione Urbanistica, ma anche dalla perizia allegata.

L’Agenzia resistente, nel costituirsi in giudizio, ribadiva la legittimità della sua attività di accertamento che non si discostava dai valori O.M.I., ritenendoli un parametro soddisfacente ai fini della corretta valutazione del bene compravenduto per la liquidazione dell’imposta di registro dovuta.

Il Collegio, nel definire il giudizio, anticipando lato sensu il principio di diritto enunciato dalla recente Sentenza della Cassazione n. 1728/2018, ha concretizzato la funzione di “impugnazione-merito” che può essere attribuita al Giudice Tributario.

In altre parole, alla luce delle prove documentali offerte dai ricorrenti tese a dimostrare la inedificabilità di fatto del terreno compravenduto, tenuto conto, peraltro, di una “non contestazione effettiva” dell’ Agenzia delle Entrate sul punto, il Collegio, spingendosi oltre ai motivi di impugnazione dedotti in ricorso, ha ritenuto equo rivedere la valutazione del terreno, abbassando il suo valore da € 35.380,00, come accertato dall’Ufficio, ad € 24.000,00.

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