Quanto può essere rischioso fare affari con un usuraio?
Potrebbe essere intitolata così la sentenza depositata il 2 agosto 2018 dalla Corte di Cassazione in merito ad un mutuo concesso ad un usuraio.
Il Supremo Collegio, infatti, si è espresso nel caso di un istituto di credito che aveva iscritto ipoteca su un bene appartenente ad un uomo condannato per usura e in seguito oggetto di confisca speciale, ai sensi dell’art. 12 – sexies d.lgs. n.306/1992, pretendendo la liquidazione del credito.
Più nello specifico, la Corte con la sentenza del 2 agosto 2018 n. 37558 ha affermato che “non basta la regolarità formale delle procedure o l’assenza, al momento, di condanne penali per ritenere assolti gli stringenti obblighi di verifica sulla “affidabilità” e “solvibilità” dei clienti che gravano su un operatore professionale qualificato come la banca.”
La decisione della Corte
Con tale pronuncia è stato così accolto il ricorso dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, contro l’ordinanza del GIP di Siracusa che invece, aveva ammesso l’istituto al pagamento del credito ipotecario residuo.
L’Agenzia rilevava all’interno del ricorso che in fase istruttoria la banca avrebbe dovuto cogliere “l’inadeguatezza dei redditi leciti dichiarati in rapporto alla sopportazione del mutuo e all’obbligo della sua restituzione nei tempi e con le modalità concordate”.
D’altro canto la banca si è difesa sostenendo che si era trattato di un ‘semplice’ operazione di finanziamento fondiario.
La Suprema Corte ha ritenuto però che “omettendo di considerare le ragioni poste a fondamento del sequestro e della successiva confisca”, l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione ha disposto l’ammissione al passivo della banca “ha del tutto astratto dall’analisi dei pertinenti profili patrimoniali e della proporzionalità tra i redditi del condannato e del coniuge e gli esborsi rateali per il pagamento del mutuo”.
Proseguendo nella lettura della sentenza si legge anche che la compatibilità tra il valore dell’immobile e la cifra erogata “non assicura affatto che attraverso l’erogazione del mutuo non si realizzi un fenomeno di sostanziale ripulitura di capitali di provenienza illecita utilizzati al fine di sostenere le obbligazioni nascenti dal contratto”. Inoltre, l’ordinanza fondando “il giudizio positivo relativo alla buona fede della Banca creditrice”, unicamente “sul rispetto delle procedure tipizzate per la concessione dei finanziamenti, non si è confrontata con il tipo di attività svolta dal terzo creditore, che, tenuto ad attenersi alle specifiche direttive emanate dagli organi di vigilanza, è soggetto a particolari obblighi di diligenza professionale qualificata per la peculiare posizione rivestita per la gestione del credito nel sistema socio-economico”.
Conclusioni
In conclusione, appare quindi evidente come la banca si sia dimostrata incauta nel concedere il credito, considerando che per la concessione del mutuo, avrebbe dovuto procedere a ben più che alla semplice verifica dell’assenza di anomalie, richiedendo invero il controllo fattuale e la dimostrazione dell’effettiva capacità finanziaria del richiedente e della famiglia, nonché della affidabilità soggettiva. [1]
Ciò a maggior rilievo delle ragioni del terzo creditore incolpevole – ignaro delle condizioni criminali del malvivente che devono essere severamente valutate dal giudice.
[1]http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20180802/snpen@s10@a2018@n37558@tS.clean.pdf