Con la sentenza n. 5001 del 2 marzo 2018 la Corte di Cassazione si è occupata nuovamente della specificità dei motivi del ricorso, tema tanto dibattuto quanto tecnicamente complesso in quanto avvolge plurimi profili problematici.
L’argomento merita una approfondita analisi per una serie di ragioni.
In primo luogo, le conseguenze della declaratoria di inammissibilità, pena prevista nel caso di motivo non sufficientemente specifico, è particolarmente grave in quanto consuma il potere di impugnazione; in secondo luogo non è chiaro cosa la giurisprudenza intenda per “motivo specifico” non essendovi alcun addentellato normativo.
Infatti, l’onere della specificità del motivo è opera di creazione giurisprudenziale [1]: la legge non richiede in modo espresso che il motivo di ricorso sia indicato in modo “specifico” come fa l’art. 342 c.p.c. per i motivi del ricorso in Appello [2].
La specificità, invero, se si compie una lettura sistematica, deve essere studiata unitamente alla necessità di adeguare l’esposizione dei fatti di causa e l’illustrazione dei dedotti motivi di diritto ai correlati criteri della “sinteticità espositiva” e della “chiarezza”[3].
L’analisi attenta delle questioni sottese, dunque, è fondamentale in quanto da un corretto esercizio del potere processuale passa la possibilità di accedere al giudizio di legittimità.
L’argomento è infine un utile spunto per approfondire due articoli centrali nel processo in Cassazione (cioè gli artt. 360 bis e 366 n. 4 c.p.c) nonché soffermarsi sulla natura della sanzione dell’inammissibilità.
Le Sezioni Unite n. 7155 del marzo 2017: il ricorso elaborato in violazione dell’art. 360 bis c.p.c. è inammissibile
Sotto un profilo storico, per meglio chiarire gli approdi giurisprudenziali indispensabili per sciogliere i nodi sopra indicati, è necessario citare la sentenza, emessa a Sezioni unite dalla Corte di Cassazione, n. 7155 del marzo 2017. Essa si pone come un importante antecedente logico giuridico della già citata sentenza 5001/2018.
La Suprema Corte aveva inteso superare la posizione giurisprudenziale espressa nel 2010[4].
Sul punto, infatti, si era formato un orientamento, piuttosto solido, che sosteneva come il ricorso posto in violazione dell’art 360-bis dovesse essere dichiarato manifestamente infondato e non inammissibile.[5]
Le Sezioni Unite, invece, con argomentazioni condivisibili, hanno affermato che in presenza della situazione ipotizzata dall’art. 360 bis n. 1 c.p.c.[6], il ricorso per cassazione va dichiarato inammissibile e non rigettato per manifesta infondatezza[7].
Le argomentazioni della Suprema Corte, in breve, hanno fatto appiglio sul dato letterale incontrovertibile disposto dall’art. 360-bis c.p.c.[8]
Non è risultata condivisibile l’idea per cui l’inammissibilità del ricorso potrebbe sussistere solo in presenza di difetti attinenti alla struttura formale del ricorso medesimo o alle modalità in cui il suo contenuto è stato espresso.[9]
È stato ritenuto altresì inconsistente l’argomentazione che riteneva si dovesse discorrere di infondatezza e non di inammissibilità in virtù del fatto che la corte debba valutare la conformità della decisione impugnata con la giurisprudenza della corte al momento della decisione e non al momento della proposizione del ricorso. L’ammettere ipotesi di ammissibilità sopravvenuta, infatti, non preclude la possibilità di discorrere di inammissibilità, nè tantomeno impone di discorrere di manifesta infondatezza[10].
Una siffatta interpretazione, cosí brevemente descritta, ha avuto l’evidente merito di ripristinare la funzione di filtro dell’art. 360 bis c.p.c. utile a delibare rapidamente i ricorsi “inconsistenti”[11].
Cosí facendo la corte ha introdotto una ipotesi di “inammissibilità di merito” compatibile con la garanzia di cui all’art. 111, co 7, Cost.
Infatti la funzione di filtro, consiste in ciò: la Corte è in un certo qual senso esonerata dall’esprimere compiutamente la sua adesione alla soluzione interpretativa già accolta dall’orientamento giurisprudenziale precedente.
In altri termini, è sufficiente che rilevi come la pronuncia impugnata si è adeguata alla giurisprudenza di legittimità e che il ricorrente non l’abbia criticata adeguatamente.
Sembra che la finalità più originale che debba essere riconosciuta all’art. 360 bis n. 1 è quella di semplificare in modo estremo l’onere di motivazione in capo alla Suprema Corte. Essa infatti potrà limitarsi a dare atto che le questioni dedotte col ricorso sono state risolte dal giudice a quo in modo conforme alla giurisprudenza della corte stessa[12].
Si è allora riconosciuta l’esistenza di una forma di inammissibilità di carattere sostanziale dipendente dalla infondatezza manifesta del ricorso che si contrappone alla forma di inammissibilità tradizionale, dal profilo processuale, dipendente dalle forme con le quali è posta in essere l’attività processuale della parte.
Quindi, in forza della ratio espressa dall’art. 360 bis n. 1, laddove la corte abbia già espresso una propria posizione rispetto ad una data questione, il ricorrente, laddove volesse richiedere un mutamento della stessa, dovrebbe offrire argomenti che siano univocamente rivolti a provocare un superamento dell’orientamento contestato con argomentazioni critiche, capaci di mettere in discussione le argomentazioni della corte.
In tal senso deve essere precisato che non è sufficiente il mero riferimento ad altri non uniformi orientamenti della Corte stessa.
La conseguenza di un ricorso carente di elementi argomentativi sarà quello di un rigetto in rito e non nel merito.
L’ipotesi di inammissibilità in analisi è da definirsi spuria, qualora venisse raffrontata con le ipotesi tipiche previste nel codice di rito[13]. La funzione di un meccanismo cosí descritto è stata quella di ampliare le ipotesi di inammissibilità del ricorso per filtrare le impugnazioni proposte e conseguentemente riservare la decisione solo a quei ricorsi che presentano un interesse in chiave nomofilattica, cosí da rendere più veloce il giudizio di legittimità[14].
Invero, compiendo una analisi critica che prescinde dalla sentenza in commento, deve essere rilevato come la sanzione dell’innamissibilità in questo contesto e per questa causa appaia distonica. Ciò che causa l’inammissibilità nell’ipotesi di cui all’art. 360 bis n. 1 c.p.c. non è certo un vizio genetico bensì l’assenza di nuove argomentazioni capaci di modificare un precedente orientamento espresso dalla Corte. Allora se è vero che la figura di inammissibilità introdotta dall’art. 360 bis c.p.c. si risolve in una valutazione della solidità dei motivi di ricorso, involge necessariamente una valutazione del contenuto del ricorso stesso, soffermandosi sul merito dell’impugnazione proposta[15].
Seppur le argomentazioni della corte appaiano convincenti, allora, non può essere negato come l’art. 360 bis n. 1 c.p.c. imponga un giudizio preventivo di ammissibilità che, nella sostanza, si traduce in una ipotesi di manifesta infondatezza del ricorso.
Il rapporto interdipendente tra art. 366, co 1 n. 4 e art. 360-bis co 1, n. 1 c.p.c.: Cassazione 5001/2018
Con sentenza 5001/2018 la corte di cassazione ha esplicato, in modo dettagliato e meritevole di attenzione, in cosa consista l’onere di specificità a carico del ricorrente nel ricorso in cassazione nonché il rapporto che intercorre tra l’art. 366, co 1 n. 4 e l’art. 360 bis co. 1, n.1 c.p.c.
La valutazione di ammissibilità posta dall’art. 360 bis n. 1, che ha inteso superare la proposizione del principio di diritto, ha posto il problema di definire i termini della specificità del motivo del ricorso ai sensi dell’art. 366 n. 4 c.p.c.[16]
Con un primo passaggio la corte ha stabilito come debba essere dichiarato inammissibile quel ricorso (o motivo di ricorso) per cassazione con cui si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame senza riportare, in modo integrale e compiuto i motivi stessi. Il motivo è da considerarsi inammissibile per difetto di specificità.
La ratio di un onere cosí descritto è quello di consentire alla Suprema Corte di legittimità di verificare che le questioni sottoposte non siano nuove nonché di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte[17].
In particolar modo deve essere tenuto presente come la mancata considerazione delle motivazioni poste a base del provvedimento impugnato e di cui si auspica la rinnovazione comporta la nullità del motivo stesso. La nullità deriva dal mancato raggiungimento dello scopo che, in ambito processuale, viene sanzionato con l’inammissibilità ex art. 366, co I, n. 4 c.p.c.[18]
La seconda parte della sentenza in commento, di maggior complessità e interesse, chiarisce il rapporto che intercorre tra l’art. 366 n. 4 e l’art. 360 bis n. 1 c.p.c.
La Corte richiama, in breve, le argomentazioni espresse da Cass. S.U. 7155/2017[19] con cui si è stabilito che la violazione del precetto espresso dall’art. 360 bis n. 1 c.p.c. il ricorso è da dichiararsi inammissibile e non manifestamente infondato.
Le sezioni unite sopra richiamate hanno qualificato come “meritale” o (per meglio dire) “sostanziale” l’inammissibilità che scaturirebbe dall’art. 360 bis n. 1 c.p.c.[20]
L’articolo 360 bis c.p.c. attiene, in altri termini, al modo di formulazione del motivo ed impone al ricorrente di elaborare argomenti che siano capaci di provocare un superamento dell’orientamento contestato attraverso valutazioni critiche dell’indirizzo predetto[21]. Non risulterebbe certo sufficiente il riferimento mero ad altri non uniformi orientamenti della corte[22].
Tali precisazioni consentono di immaginare una duplice forma di inammissibilità: una prima di carattere meritale, che si preoccupa del merito degli argomenti e che essi non siano manifestamente infondati (art. 360 bis n. 1 c.p.c.); una seconda ipotesi di carattere processuale che ricorre quando il motivo è incompleto o difetta di specificità (art. 366 n. 4).
Con una maggiore precisione la Corte compie una ulteriore considerazione. Interrogandosi infatti su quale debba essere l’onere di specificità del motivo in capo al ricorrente fornisce una interpretazione sistematica e combinata dell’art. 366 n. 4 e 360 bis n. 1 c.p.c.
È già consolidata l’idea in giurisprudenza che il motivo di impugnazione debba tradursi in una critica della decisione impugnata[23], nonché la conseguente inammissibilità del motivo privo di attinenza al “decisum” dovendo i motivi avere carattere di specificità, completezza e una esposizione intellegibile delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto[24].
Da ciò ne consegue che non può ritenersi specifico un motivo che non contenga gli elementi di cui all’art. 360 bis c.p.c.
In modo più specifico deve ritenersi che, ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c., la mancata esposizione di argomenti per confermare o mutare gli orientamenti precedentemente esposti dalla Suprema Corte determini l’inammissibilità c.d. meritale del motivo proposto; la specificità del motivo ai sensi dell’art. 366 n. 4 c.p.c. deve essere declinata attraverso l’esame della decisione impugnata alla luce delle precedenti posizioni espresse dalla Corte. Il motivo altrimenti non potrà considerarsi specifico.
La lettura dell’art. 366 n. 4 c.p.c. alla luce dell’art. 360 bis n. 1 è imposto da un argomento sistematico e logico proposto dalla Corte che qui si ritiene di condividere.
Non può non essere evidenziato come “una volta intervenuta l’abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c. (ad opera del d.l. 69/2009), l’art 366 primo comma n. 4 c.p.c. deve essere ora reinterpretato in funzione del contenuto precettivo della disposizione che ha preso il posto del detto art. 366 bis, ossia dell’art. 360 bis c.p.c.”.
In altri termini, la lettura combinata degli articoli in analisi impone al ricorrente di tener di conto, al momento della formulazione dell’articolo, della giurisprudenza della Corte, rafforzando il principio dello stare decisis e la funzione nomofilattica della Corte di legittimità.
L’onere della specificità dovrà essere calibrata in maniera ragionevole e proporzionata. Il ricorrente non dovrà allegare, in modo compilativo, tutta la giurisprudenza di legittimità sull’argomento senza apportare argomenti costruttivi.
Egli dovrà, invece, in modo ragionato ed intelligente, raffrontare la decisione impugnata con eventuale precedente giurisprudenza difforme. Altrimenti, laddove manchi giurisprudenza di senso contrario, dovrà sollecitare un mutamento dell’orientamento contestato, dimostrando la sussistenza dei presupposti.
Sarà da ritenersi specifica, allora, la formulazione del motivo di ricorso che tenga di conto della natura precettiva delle norme di cui si denunzia la violazione; nonché quel motivo che sia in grado di operare un raffronto tra la regola giuridica applicata (e contestata) e la giurisprudenza della Corte. Il raffronto sarà completo laddove si riuscisse a dimostrare che, in presenza di una consolidata giurisprudenza sul punto, il giudice del merito non ne ha tenuto di conto. Laddove, invece, il giudice di merito ha seguito la impostazione giurisprudenziale consolidata, il ricorrente dovrà fornire argomenti utili ad un mutamento dell’indirizzo adottato.
Il motivo che, senza alcuno sforzo argomentativo, si limitasse a denunciare la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto, senza cogliere l’intima essenza della ratio decidendi della decisione impugnata né il contenuto precettivo della norma di diritto, sarà da ritenere inammissibile.
Un ricorso cosí formulato risulterebbe inidoneo al raggiungimento dello scopo, e cioè la cassazione della decisione impugnata.
Tale inammissiiblità, come detto, non dovrà ritenersi meritale (ex art. 360 bis n. 1 c.p.c.) bensì puramente processuale (ex art. 366 n. 4 c.p.c.)[25].
La corte di Cassazione ha già precisato che il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4 c.p.c.[26]. Inoltre si è specificato che le censure prive di attinenza a quanto deciso nel merito comporta inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi ex 366 co 1 n. 4 c.p.c.
Si coglie come conseguenza diretta ed immediata di ogni violazione dell’art. 366 co. 1 n. 4 c.p.c. comporta la consumazione del potere di impugnazione secondo quello che dispone l’art. 387 c.p.c.[27]
I motivi per i quali si richiede la cassazione allora dovranno essere accompagnati dalla specificità e dalla completezza, nonché contenere l’individuazione esatta del capo di pronuncia impugnato, l’esposizione di ragioni che illustrino in modo “intellegibile ed esauriente” le violazione di norme e principi.[28]
Il motivo di impugnazione specifico può essere definito, allora, come quel fatto determinato, appartenente al procedimento di formazione della sentenza, affermato dalla parte impugnante ed idoneo, se dimostrato, ad inficiare la sentenza stessa ed a consentire la rimozione dei suoi difetti, con le forme e secondo le regole proprie di ciascun mezzo d’impugnazione[29].
Lo scopo del motivo, dunque, è quello di delimitare la specifica parte di sentenza che s’intende impugnare, cosí sottraendola al giudicato parziale secondo la regola espressa dall’art. 329 c.p.c.
Conseguenziale a tale assunto dovrebbe essere il fatto che ove solo alcuni motivi di ricorso siano specifici l’acquiescenza dovrebbe ritenersi parziale, cioè riferibile ai soli motivi generici, inidonei ad evitare il formarsi del giudicato interno.
Ecco che i due profili di inammissibilità si connettono in quanto è evidente che non può ritenersi specifico un motivo che non contenga gli elementi cui l’art. 360 bis n. 1 àncora l’inammissibilità del ricorso sul piano materiale.
In sintesi si può dire che l’onere di specificità[30] opera su due piani.
In primo luogo, ogni statuizione della sentenza deve essere contestata in modo specifico e pertinente se si vuole evitare la formazione del giudicato interno. In secondo luogo la specificità del motivo di ricorso è altresì utile al raggiungimento dello scopo. Il motivo, in altri termini, deve essere sufficientemente specifico da consentire l’individuazione della violazione lamentata e contestata dal ricorrente.
Con un ragionamento controffatutale si potrebbe sostenere che il motivo è sufficientemente argomentato laddove la fondatezza dello stesso priverebbe di logicità la soluzione prospettata dalla sentenza impugnata.
L’esigenza di completezza comporta che il ricorso contenga tutti quegli elementi che risultino necessari a costituire le ragioni per cui si richiede la cassazione della sentenza di merito[31].
Quindi la specificità del motivo passa anche dalla elaborazione di argomenti capaci di contrastare l’indirizzo consolidatosi in giurisprudenza e adottato dal giudice di merito[32].
Appare ovvio che in questi casi lo sforzo argomentativo della parte ricorrente dovrà essere piuttosto elevato. Si dovrà essere in grado di dimostrare che i tempi sono maturi per un mutamento di quanto precedentemente sostenuto dalla Corte.
L’assenza degli elementi cosí descritti porta alla inevitabile conseguenza di una assenza di specificità del motivo e quindi di inammissibilità della domanda ai sensi dell’art. 366 n. 4 c.p.c.
Il percorso logico argomentativo della Suprema Corte si pone in una coerente continuità con quanto già espresso in precedenza[33].
Conclusioni
Si è visto come l’articolo 366 c.p.c. indichi il contenuto del ricorso pena inammissibilità. Il codice del 1940 ha sancito l’onere di illustrazione dei motivi per i quali si domanda la cassazione, unitamente alle norme di diritto su cui si fondano. Tale richiesta ricorda, in modo chiaro, quanto prescritto dall’art. 342 c.p.c.
La specificità dei motivi in Cassazione assolve ad una funzione che si rileva essenziale per la delimitazione l’ambito del sindacato della suprema Corte. Una corretta delimitazione del ricorso implica una corretta delimitazione dell’oggetto del giudizio: altrimenti l’impugnazione non potrebbe non essere dichiarata inammissibile. Infatti una svalutazione di una corretta formulazione dei motivi del ricorso svilirebbe l’effetto devolutivo. È apprezzabile, quindi, lo sforzo compiuto dalla Suprema Corte nelle sentenze in analisi. Infatti essa ha cercato di fornire una interpretazione sistematica e coerente tra gli articoli 360 bis co 1 n. 1 e 366 n. 4 c.p.c., tenendo di conto che tali norme fanno parte di declinazioni differenti di una medesima sanzione: l’inammissibilità.
Invero, l’introduzione di “filtri” ha avuto il pregio di agevolare ed enfatizzare il compito istituzionale di nomofilachia che deve essere riconosciuto alla suprema corte. Il risultato, tuttavia, è stato perseguito elaborando regole che rendono talvolta particolarmente gravosa la formulazione del ricorso da parte del ricorrente. Tuttavia la scelta di arginare l’accesso in Cassazione, rendendo più ardua una corretta elaborazione dell’atto introduttivo del giudizio, non potrà mai sfociare in una lesione del diritto di difesa del ricorrente. In altri termini, vuoi la corte di Cassazione vuoi l’interprete, devono sempre tener di conto la necessità di rispettare l’equilibrio tra due principi: il diritto delle parti ad esperire ricorso per Cassazione e la concreta possibilità di esercizio della funzione di legittimità. Un effettivo bilanciamento tra detti principi, entrambi costituzionalmente rilevanti, è indispensabile ai fini della realizzazione del principio del giusto processo[34].
[1] L’osservazione è di R. Poli, “Specificità, autosufficienza e quesito di diritto nei motivi di ricorso per cassazione”, in Riv. dir. proc., 2008, p. 1249 ss.
[2] Per una analisi dell’argomento si rimanda a “La specificità dei motivi in Appello: evoluzione storica e la soluzione delle Sezioni Unite del 16 novembre 2017 n. 27199” di Dario Rombolà in Gazzetta Forense 6/2017, pg. 1114.
[3] Sul punto si veda “Esposizione ‘assemblata’ dei fatti ed inammissibilità del ricorso in Cassazione” di Luigi Paolo Comoglio in Nuova Giurisprudenza Civile, 2018, 2, 199.
[4] Per un primo commento sul punto si rimanda all’articolo, pubblicato su questo sito, “Ricorso per Cassazione difforme dall’art. 360 bis c.p.c.: inammissibilità o rigetto? Reinvirement delle Sezioni Unite” di Gabriele Volteggio consultabile al seguente link: https://giuricivile.it/inammissibilita-del-ricorso-per-cassazione/.
[5] Così Cass. civ. Sez. U., 6 settembre 2010, n. 19051; Cass. civ., Sez. 1, 18 marzo 2016, n. 5442; Cass. civ. Sez. U., 16 aprile 2012, n. 5941; Cass. civ. Sez. U., 19 aprile 2011, n. 8923.
In particolar modo, con sentenza n. 19051 emessa a Sezioni Unite nel settembre del 2010 si stabilì che “il ricorso scrutinato ai sensi dell’art. 360 bis n. 1, c.p.c. deve essere rigettato per manifesta infondatezza e non dichiarato inammissibile, se la sentenza impugnata si presenta conforme alla giurisprudenza di legittimità e non vengono prospettati argomenti per modificarla, posto che anche in mancanza, nel ricorso, di argomenti idonei a superare la ragione di diritto cui si è attenuto il giudice del merito, il ricorso potrebbe trovare accoglimento ove, al momento della decisione della Corte, con riguardo al quale deve essere verificata la corrispondenza tra la decisione impugnata e la giurisprudenza di legittimità, la prima risultasse non più conforme alla seconda nel frattempo mutata”.
[6] L’articolo recita: “Il ricorso è inammissibile:
1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;
2) quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei princìpi regolatori del giusto processo.
[7] La corte ha precisato che è inammissibile, e non anche infondato nel merito, il ricorso proposto in difformità alla previsione di cui all’art. 360 bis, n. 1, c.p.c.. Le ragioni di inammissibilità contemplate dalla citata disposizione possono investire anche soltanto singoli motivi di ricorso e non devono perciò necessariamente comportare l’inammissibilità del ricorso nel suo insieme, ove questo consti di più motivi. La situazione di inammissibilità contemplata dall’art. 360 bis c.p.c. lascia del tutto intatta, pur riducendone la portata applicativa, l’ipotesi di rigetto per manifesta infondatezza del ricorso contemplata dal successivo art. 375 c.p.c., che riguarda ogni altro possibile caso di infondatezza, manifesta sì, ma non dipendente dall’assenza di ogni confronto critico con una precedente giurisprudenza consolidata. Inoltre ha precisato che non è più condivisibile l’idea secondo cui l’inammissibilità del ricorso può sussistere solo in presenza di difetti attinenti alla sua struttura formale o alle modalità in cui il suo contenuto è espresso, restando estranea a tale figura ogni valutazione che riguarda il merito. La funzione di filtro di cui all’art. 360 bis c.p.c. consiste dunque in ciò, che la Corte è in un certo qual senso esonerata dall’esprimere compiutamente la sua adesione alla soluzione interpretativa accolta dall’orientamento giurisprudenziale precedente: è sufficiente che rilevi che la pronuncia impugnata si è adeguata alla giurisprudenza di legittimità e che il ricorrente non la critica adeguatamente. In questo senso l’art. 360 bis è una norma-filtro, perché consente di delibare rapidamente ricorsi “inconsistenti”. Ma si tratta pur sempre di una “inammissibilità di merito”, compatibile con la garanzia dell’art. 111, 7° comma, Cost.
[8] Invero deve essere notato che la posizione delle S.U. del 2010 era già stata contraddetta. Infatti con sentenza emessa dalla Sez. 5, n. 23586 del 18/11/2015 e da Sez. 1, n. 8804 del 04/05/2016, si è stabilito che il ricorso per cassazione che non offra elementi per modificare la giurisprudenza di legittimità, a cui la sentenza impugnata è conforme, deve essere rigettato in rito e non nel merito ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c., che, nell’evocare un presupposto processuale, ha introdotto una griglia valutativa di ammissibilità, in luogo di quella anteriore costituita dal quesito di diritto, ponendo a carico del ricorrente un onere argomentativo, il cui parametro di valutazione è costituito dal momento della proposizione del ricorso.
[9] La corte ha precisato che “Al contrario, il legislatore ha fatto mostra di utilizzare a più riprese la categoria dell’inammissibilità, per facilitare una decisione in limine litis, anche in presenza di ragioni di merito che risultino agevolmente percepibili e siano perciò suscettibili di un più snello iter motivazionale: si pensi all’art. 348-bis c.p.c., dettato per il giudizio d’appello, pur nell’evidente differenza che quell’ipotesi d’inammissibilità presenta rispetto a quella qui in esame (se ne farà cenno in seguito), ma si pensi anche all’art. 606 c.p.p. in materia d’inammissibilità del ricorso per cassazione in campo penale”.
[10] In altri termini si è chiarito come “il fatto che la struttura della disposizione in esame imponga di valutare l’esistenza della eventuale ragione d’ammissibilità del ricorso al tempo della decisione non implica, di per sé, che non d’inammissibilità bensì d’infondatezza debba parlarsi, ma significa solo che possono darsi
casi di ammissibilità sopravvenuta, dei quali la corte dovrà evidentemente tener conto nella sua decisione”.
[11] La Suprema Corte ha definito l’art. 360 bis c.p.c. “un meccanismo di intercettazione, risolventesi in una dichiarazione di inammissibilità ante portas dei ricorsi”. Sul punto si veda “La corte del precedente. Riflessioni, su continuità ed innovazione, per l’applicazione dell’art. 360 bis del codice di procedura civile” in www.cortedicassazione.it
[12]In tal senso si è espresso A. Graziosi, Riflessioni in ordine sparso sulla riforma del giudizio di Cassazione, in Riv. Trim. dir. Proc. civ. 2010, pg. 38.
[13] Cosí E. Silvestri, “Note in tema di giudizio di cassazione riformato”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, p.1031.
[14] Interessanti critiche sono stata sul punto avanzate da A. Carratta, “Il filtro al ricorso in Cassazione fra dubbi di Costituzionalità e salvaguardia del controllo di legittimità” in Giur. It.,2009, p. 1566, il quale dubita della concreta ed effettiva capacità del nuovo art. 360 bis c.p.c di rendere effettivamente più funzionale l’attività della Suprema Corte.
[15] Ancora attuali risultano le considerazioni espresse da M. Marinelli, “Introduzione del filtro di inammissibilità e abolizione del quesito di diritto”, in Corriere trib., 2009, p. 2704. L’autore parla di una ipotesi di inammissibilità incentrata su di una valutazione della meritevolezza delle censure articolate con l’impugnazione quanto alla loro “potenzialità nomofilattica”.
[16] Per una disamina degli elementi indicate nell’art. 366 c.p.c. a pena di inammissibilità si veda F.P. Luiso, Diritto Processuale civile, Milano, 2009.
[17] Sul punto si veda quanto chiarito, in modo più approfondito, Cass n. 17049/2015.
[18] Da ultimo sul punto si rimanda a Cass. n. 17330/2015. Invero deve essere notato come il vizio della inammissibilità si differenzi da quello della nullità sotto un duplice aspetto. Il primo attiene alla rilevabilità del vizio, atteso che l’inammissibilità viene dichiarata d’ufficio mentre la nullità richiede, di regola, l’istanza di parte. Il secondo attiene all’assenza di meccanismi di sanatoria. Con riferimento alla sola inammissibilità, infatti, mancano meccanismi utili a sanare l’atto o comunque a rinnovare lo stesso; le cause di nullità sono invece suscettibili di sanatoria.
[19] Sul punto si veda quanto scritto nel paragrafo 2.
[20] Per una analisi approfondita dell’articolo in analisi si veda quanto osservato da R. Poli, Il cd. Filtro di ammissibilità del ricorso per cassazione, in Riv. Dir. Proc. 2010, pg. 363.
[21] Si è sostenuto sul punto che “il ricorso per cassazione che non offra elementi per modificare la giurisprudenza di legittimità, a cui la sentenza impugnata è conforme, deve essere rigettato in rito e non nel merito ai sensi dell’art. 360 bis, 1, c.p.c. che, nell’evocare un presupposto processuale ha introdotto una griglia valutativa di ammissibilità, in luogo di quella anteriore costituita dal quesito di diritto, ponendo a carico del ricorrente un ‘onere argomentativo’, il cui parametro di valutazione è costituito dal momento della proposizione del ricorso”. In particolar modo si veda Cass. n. 23586/2015.
[22] Questo aspetto risulta particolarmente consolidato in giurisprudenza. In tal senso si veda, su tutte, Cass. S.U. 8923/2001.
[23] Cosí tra le tante Cass. 17330/2015.
[24] In tal senso si è espresso Cass. 17125/2007.
[25] La corte precisa che l’inammissibilità, in queste ipotesi, attiene alla forma-contenuto e quindi dipende dalla carenza degli elementi costitutivi necessari del motivo. Essa, avendo carattere prettamente processuale, “andrà valutata al momento della proposizione del ricorso, non potendo l’inammissibilità iniziale essere sanata successivamente con la memoria presentata, a seconda dei casi, ai sensi degli artt. 378 o 380 bis e ss. c.p.c.”
[26] In tal senso si è espressa plurima giurisprudenza di rito, tra le altre si cita Cass., Sez. 3, 31/08/2015, n. 17330. Con tale decisione si è specificato che il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione é erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c.
[27] Per un approfondimento sul punto si veda “La consumazione del potere d’impugnazione” di S. Caporusso, Edizioni Scientifiche Italiane, 2011.
[28] Sul punto si rimanda alla giurisprudenza più recente, Cass., Sez. 5, 03/08/2007, n. 17125. In tale sentenza la suprema corte ha precisato come la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate.
[29] In tal senso si è espresso R.Poli, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, Padova 2002, 435.
[30] Strettamente connesso alla specificità dei motivi del ricorso in cassazione è il principio di autosufficienza. Tale principio affonda le radici nel più ampio principio di collaborazione tra giudice e parti, funzionale a consentire un corretto svolgiemento del giudizio di legittimità.
[31] Vi è da precisare che l’esigenza di completezza e autosufficienza non può sfociare nella elaborazione di un “progetto alternativo di sentenza”.
[32] Deve ritenersi, in virtù di una auspicabile interpretazione in linea con il principio di proporzionalità e ragionevolezza, che laddove la giurisprudenza non si presenti granitica sul punto, l’inammissibilità non potrà essere dichiarata in presenza di un precedente isolato né in presenza di precedenti troppo risalenti.
[33] Sul punto di rimanda a Cass. 828/2007 in cui si è affermato che quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., deve essere dedotto, a pena di inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ., non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità
[34] Sul punto, in modo diffuso, si veda quanto scritto da A. Carratta, “L’art. 360 bis c.p.c. e la nomofilachia ‘creativa’ dei giudici di Cassazione”, in Giur. It., 2011.