La motivazione, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., costituisce una delle condizioni di ammissibilità dell’atto di appello. Tuttavia, questa disposizione ha fin da subito posto un significativo problema interpretativo: la soglia di specificità dei motivi di impugnazione.
La specificità dei motivi di appello: l’evoluzione normativa dell’art. 342 c.p.c.
Nella sua versione originaria, l’art. 342 c.p.c. stabiliva che «l’appello si propone con citazione contenente l’esposizione sommaria dei fatti e i motivi specifici dell’impugnazione, [..]».
Il concetto di «motivi specifici» ha fin da subito diviso giurisprudenza e dottrina: «stando ad una parte della dottrina, […], tali motivi servivano essenzialmente a chiarire quali parti della sentenza l’appellante intendesse effettivamente impugnare; sicchè l’eventuale loro omissione sarebbe rimasta sostanzialmente irrilevante nel caso in cui risultasse comunque la volontà dell’appellante di impugnare la sentenza nella sua interezza». di conseguenza, «per il sol fatto che l’appellante avesse chiesto una nuova decisione su una determinata domanda, il giudice d’appello sarebbe stato automaticamente (re)investito (anche) di tutte le questioni già sottoposte all’esame del primo giudice [1]».
Tale interpretazione venne, tuttavia, confutata dalle Sezioni Unite della Cassazione [2], e si consolidò un orientamento diverso, divenuto, nel tempo, maggioritario: ossia che i motivi specifici dell’art. 342 «non servissero solamente ad individuare i capi della sentenza concretamente impugnati, ma assolvessero, invece, la ben più incisiva funzione di “selezionare” le questioni che il giudice di secondo grado poteva e doveva a sua volta affrontare e risolvere [3]»; pertanto l’onere della motivazione doveva essere considerato adempiuto nel momento in cui l’appellante avesse sollevato puntuali doglianze, dimostrando un nesso di causalità tra gli errori compiuti dal giudice a quo e l’erroneità della sentenza di primo grado [4]: non sarà sufficiente, dunque, che l’appellante sostenga che il giudice a quo ha adottato un provvedimento ingiusto ma dovrà esplicitarne anche le ragioni.
Tale orientamento venne poi recepito dalla novella legislativa del 2012. Con essa il legislatore riempie di contenuto il requisito della motivazione, specificando che «la motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata».
In primo luogo, dunque, l’onere della motivazione è assolto quando l’appellante, nel relativo atto, indica «le parti del provvedimento che intende appellare»: per alcuni [5], per «parti» non si possono che intendere le statuizioni o i capi della sentenza di primo grado che sono suscettibili di passare autonomamente in giudicato; altri [6], al contrario, considerano riconducibili a tale nozione, non solo i “capi della decisione”, ma anche tutti i segmenti che ne costituiscono la base argomentativa.
In secondo luogo, l’appellante deve anche indicare le «circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata»: onere dell’appellante è quindi dimostrare le «circostanze», di fatto e/o di diritto, che abbiano causato l’errata decisione adottata dal giudice; ne consegue, che nell’atto di appello l’appellante debba chiarire due aspetti: il contenuto della nuova valutazione richiesta al giudice di secondo grado e l’argomentazione in ordine al presunto errore commesso dal giudice a quo [7].
La specificità dei motivi di appello nella giurisprudenza della Cassazione
Il problema della specificità dei motivi di appello ha interessato anche la giurisprudenza che, tuttavia, si è tendenzialmente assestata su un orientamento univoco. Già la Suprema Corte, infatti, con la sentenza n.10878 del 27.05.2015, ha evidenziato che l’art. 342 c.p.c. esige che «al giudice siano indicate, oltre ai punti e ai capi della decisione investiti dal gravame, anche le ragioni, correlate ed alternative rispetto a quelle che sorreggono la pronuncia, in base alle quali è chiesta la riforma, cosicché il “quantum appellatum” resti individuato in modo chiaro ed esauriente».
Un parziale “revirement” di tale interpretazione si è invece affermato con la sentenza n. 17712 del 07.09.2016, nella quale la Sezione Lavoro della Cassazione ha precisato che nell’atto di appello l’impugnante debba delineare «una pars destruens della pronuncia oggetto di reclamo» e «una pars costruens, volta ad offrire un progetto alternativo di risoluzione della controversia, attraverso una diversa lettura del materiale di prova acquisito o acquisibile al giudizio»: in altri termini, l’appellante dovrebbe produrre un progetto alternativo di sentenza.
Tale orientamento è stato tuttavia smentito da Cass. 16.11.2017 n. 2719, dove si chiarisce che «ciò che il nuovo testo degli artt. 342 e 434 cit. esige è che le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata siano chiaramente enucleati e con essi le relative doglianze; per cui, se il nodo critico è nella ricostruzione del fatto, esso deve essere indicato con la necessaria chiarezza, così come l’eventuale violazione di legge». Considerazioni ribadite anche da Cass. 30.05.2018, n. 13535 e, da ultimo, da Cass., 19.03.2019, n. 7675: gli artt. 342 e ss., infatti, vanno interpretati nel senso che «l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata».
I vantaggi che derivano da tale ricostruzione sono essenzialmente due: essa potrebbe «permettere al giudice d’appello di formarsi un’idea della fondatezza o meno in iure dell’impugnazione, senza doversi necessariamente addentrare nel fascicolo» e, soprattutto, «non pare gravare eccessivamente il lavoro dei difensori, ai quali, già sotto la norma previgente, l’onere di specificazione dei motivi sconsigliava di limitarsi ad una mera relatio alle difese esperite in primo grado [8]».
La specificità dei motivi di appello nella giurisprudenza di merito
In definitiva, i confini della questione in esame sono stati chiariti anche dalla giurisprudenza di merito. Innanzitutto, secondo quest’ultima, la motivazione dell’appello deve essere espressa con i caratteri della schematicità e dell’assenza di sovrabbondanza, per consentire al giudice di cogliere immediatamente la ratio della doglianza [9].
noltre, la cognizione del giudice d’appello è circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi e tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante al fine di incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono [10]; ne consegue, che si formerà giudicato sul capo della sentenza che non sarà stato oggetto di alcuna argomentazione idonea a confutarne il fondamento [11].
[1] G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, Volume II, Cacucci, 2017, pag.395
[2] Sentenze 06.06.1987, n. 4991 e 29.01.2000, n. 16/SU
[3] G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, op. cit., pag. 396
[4] Cass., 22.07.1993, n. 8181; Cass., 15.11.1982, n. 6101, Cass., 27.06.1981, n. 4196
[5] G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, op. cit., pag. 397
[6] G. VERDE, La riforma dell’appello civile: due anni dopo, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 2014, pag. 973
[7] App. Firenze 8-4-15, Lanuovaproceduracivile.com
[8] M. RUSSO, Specificità dei motivi d’appello ex art. 342 c.p.c.: il punto dopo sez. un. 27199/2017, in Legal Euroconference (Settimanale sul Processo Civile), articolo del 12.12.2017, pag. 2
[9] App. Brescia 09.04.2014, massima redazionale
[10] Trib. Milano 17.02.2017
[11] App. Milano 08-04-2016, Pluris