L’argomento inerente al modus testamentario è tanto complesso quanto affascinante per lo studioso del diritto civile.
L’istituto modale, secondo la tradizione romanistica, rappresenta uno strumento particolarmente adatto al conseguimento di obiettivi altrimenti non raggiungibili con gli ordinari mezzi di tutela. L’onere costituisce, infatti, un peso, una limitazione dell’acquisto per causa di liberalità. La formula, volutamente generica, è tale da non poter definire con certezza il contenuto e l’efficacia della clausola modale.
Lo scopo perseguito dal disponente mediante l’apposizione del modo, il più delle volte, assunse (e assume tuttora) una connotazione religiosa e/o benefica. Tali aspetti comportarono un mutamento, attualmente disatteso, dell’ambito di giurisdizione, ciò al variare della natura della prestazione modale e dei destinatari di essa. L’individuazione dei beneficiari dell’onere, inoltre, raffigura l’ostacolo maggiore ad una sicura definizione dell’istituto.
D’altronde, si ritiene che il modus possa essere apposto a vantaggio di una categoria indeterminata di persone, a favore dello stesso disponente, dell’onerato, di un animale ovvero di una cosa inanimata. La normativa del codice civile del 1942, il quale contempla una apposita disciplina sulla fattispecie modale testamentaria, sembra stabilire alcuni punti fermi in merito ai temi accennati.
Tuttavia, essa non soddisfa le aspettative della dottrina, anzi, genera ulteriori ordini di considerazioni. Sorgono, dunque, numerosi interrogativi concernenti la natura, la qualificazione giuridica, l’efficacia dell’istituto modale, la valutazione degli interessi in esso contemplati, la legittimazione ad agire.
Orbene, la potenziale estensione del modus, la cui funzione (paradossalmente) è quella di rappresentare la “misura” di un atto di liberalità, ha colto l’interesse della dottrina la quale ha compiuto specifici studi sull’istituto in esame e ne fa menzione in temi di carattere generale e sistematico.
La giurisprudenza, disorientata dalle numerose e antitetiche posizioni sostenute dagli studiosi, trova, invece, conforto nelle varie definizioni analitiche che sono state date all’onere. L’esigenza di avvalersi di un insieme di caratteri definiti, in base ai quali poter trattare il caso pratico, è indicativa su quanto sia appropriata l’allusione che il Carnelutti rivolge agli operatori giuridici: “marinari, i quali non pensano che la rotta della nave è governata dal compasso dell’ufficiale di rotta nella cabina di navigazione”.
La direzione da seguire deve coincidere, tuttavia, con quanto viene ricavato e imposto dal dato normativo, facendo particolare attenzione a non “perdersi nelle cattive acque” del concettualismo. La presente tesi intende fornire una panoramica quanto più accurata delle opinioni dottrinali e giurisprudenziali riguardanti il modus testamentario, non mancando però di impostare l’argomento sulla base di una personale chiave di lettura dell’istituto in esame.
Il primo capitolo concerne le problematiche attinenti la qualificazione giuridica della disposizione modale. Dalla definizione dell’istituto nel sistema vigente consegue una maggiore precisione in merito alla disciplina applicabile nonché all’analisi della dinamica intercorrente tra l’onere, il negozio mortis causa, gli istituti affini.
In primo luogo, bisogna accertare se l’onere testamentario e quello donativo siano species di uno stesso genus. L’unitarietà del modus è determinante riguardo la facoltà per l’interprete di effettuare un confronto tra le due discipline e incide, in modo particolare, sulla possibilità di estendere la figura dell’onere anche a negozi che non hanno carattere di liberalità, essendo semplicemente atti a titolo gratuito.
Si pensi, per fare un esempio, al comodato. L’orientamento dottrinale avverso alla natura unitaria del modo contesta, alla radice, la tradizionale classificazione del testamento quale atto negoziale, concettualmente pari alla donazione. Si afferma che l’intera ricostruzione degli atti giuridicamente rilevanti è frutto di una impostazione dogmatica che non tiene conto dell’attuale normativa, giacchè quest’ultima non contempla la figura del negozio giuridico. Il testamento, poi, non dovrebbe essere incluso tra gli atti negoziali, poiché non esplica quell’autonomia privata che è, invece, ravvisabile nei negozi giuridici. Il de cuius si limiterebbe, in tale ottica, ad avvalersi di uno “strumento”, il testamento, la cui fonte risale in via esclusiva dalla legge. L’indicazione dei soggetti nonché la determinazione del contenuto quantitativo (e, in parte, qualitativo) della disposizione mortis causa sono scelte che attengono alla persona del testatore, ma, non costituiscono l’impulso dell’atto. Un ulteriore distinzione tra il testamento e la donazione consiste nel fatto che il testamento ha una struttura unilaterale, mentre la donazione è un atto che necessita della convergente manifestazione di volontà di due parti.
Orbene, secondo alcuni autori, si ravvisa un’incomunicabilità di fondo tra le distinte categorie degli atti e dei negozi giuridici. Ma vi è di più. Potrebbe effettuarsi il medesimo ragionamento in merito alle differenze di struttura dell’atto, quest’ultimo unilaterale ovvero plurilaterale. Il modus testamentario verrebbe così regolato da una disciplina esclusiva, che rende tale istituto autonomo dall’onere apposto nelle donazioni. La suddetta ricostruzione deve essere, però, vagliata alla luce dei lavori preparatori del codice, nei quali è espressa la reale intenzione del legislatore riguardo la creazione di un modo unitario ovvero di due oneri distinti.
L’argomento successivo attiene al carattere accidentale del modus. Trattasi di un profilo che, con specifico riferimento alla clausola modale, è stato oggetto di particolari critiche da parte della più recente dottrina. L’onere testamentario viene, infatti, considerato da molti la “terza disposizione autonoma”. Questa avrebbe carattere attributivo delle sostanze ereditarie, al pari dell’istituzione di erede e del legato.
Volendo tracciare uno schema sintetico dell’iter argomentativo seguito dagli autori, bisogna prima fare riferimento alla problematica del tipo per il testamento. Una volta superata la concezione secondo cui il testamento ha contenuto tipico, si hanno minori motivi per credere che le disposizioni previste dall’art. 588 c.c. esauriscano, in forza della loro natura tassativa, le ipotesi nelle quali è ravvisabile una attribuzione testamentaria. Dal presente ordine di considerazioni, vengono poi ricavate le basi su cui affermare l’esistenza di diversi negozi giuridici mortis causa indipendenti tra loro.
Il testamento non sarebbe un atto unitario, bensì dovrebbe considerarsi una categoria generale nella quale potere individuare uno o più istituti autonomi. Secondo un diverso orientamento dottrinale, la tassatività delle disposizioni ex art. 588 c.c. non esclude affatto che vi possano essere disposizioni c.d. “di destinazione” del tutto svincolate, sotto il criterio strutturale, dall’istituzione d’erede e dal legato. Tra queste rientrerebbe, appunto, la clausola modale. Alla luce di tali considerazioni, sarà possibile valutare con maggiore cognizione di causa l’eventuale collegamento tra il modus testamentario e le disposizioni a carattere attributivo.
Un tema sul quale si è concentrata maggiormente l’attenzione degli studiosi concerne, invece, l’accessorietà del modo testamentario. Vengono elencate numerose argomentazioni (il più delle volte condivise e richiamate tra gli stessi autori) a favore dell’autonomia dell’onere dalla disposizione testamentaria principale. In primo luogo, si afferma che il carattere accessorio poco concilia con l’ambulatorietà del modus. In virtù della disciplina di cui agli art. 676 e 677 c.c., il modo, al pari degli altri obblighi, viene trasferito a coloro i quali succedono all’originario erede o legatario onerato.
Gli effetti dell’accrescimento ovvero della delazione per legge pesano sulla dinamica ormai intercorsa tra la disposizione attributiva caducata e la clausola modale: quest’ultima conserva efficacia e si distacca dalla prima, ciò in presunto contrasto con il principio accessorium sequitur principale. Non solo. Viene ritenuta ammissibile l’eventualità che il modus costituisca, per effetto dei sopra menzionati articoli ovvero per specifica intenzione del de cuius, l’unica disposizione contemplata nel testamento.
A conferma di quanto detto, si offre l’esempio delle disposizioni a favore dell’anima. Queste sono regolate dall’art. 629 c.c. il quale, al secondo comma, fa un espresso riferimento alla figura dell’onere e alla disciplina ex art. 648 c.c. Orbene, una buona parte della dottrina sostiene che la pia disposizione debba essere intesa quale una sottospecie del modus testamentario. L’onere a favore dell’anima sarebbe destinatario di una apposita norma, l’art. 629 c.c., ciò in ragione della particolare destinazione dei beni che viene attuata tramite l’apposizione della suddetta clausola modale. L’onere isolato, inoltre, trova conferma in una alquanto nota pronuncia del 2007 da parte del giudice di legittimità. Il contenuto della sentenza verrà esaminato nell’apposita sede.
Una serie cospicua di dubbi e conferme in merito all’autonomia ovvero all’accessorietà del modus testamentario viene colta dagli studiosi, in via ulteriore, all’atto di confrontare le pur distinte figure dell’onere e del legato obbligatorio. La ricerca delle somiglianze e delle differenze tra i due istituti potrebbe essere decisiva con riferimento al presente studio e non manca di fornire un apporto contributivo rilevante per quanto interessa l’aspetto soggettivo del modo, la patrimonialità della prestazione in esso contenuta, la natura attributiva ovvero dispositiva della clausola modale.
L’analisi degli istituti affini diviene, in realtà, un importante occasione di ricerca riguardo i caratteri fondamentali e le peculiarità del modus testamentario. Dalla valutazione comparativa dell’onere con l’elemento causale del negozio, con la presupposizione e con l’onere di coscienza emerge l’opportunità di approfondire il rapporto che intercorre tra la volontà attributiva e quella espressa mediante l’apposizione del modo.
Alcuni autori, infatti, sovrappongono il fine perseguito dall’onere alla causa nella disposizione mortis causa, altri identificano nel modo testamentario una causa secondaria e accessoria rispetto alla principale, altri ancora propendono per l’irrilevanza del modus, in quanto mero elemento accidentale del negozio. Oggetto di particolare studio sarà il margine di incidenza del motivo determinante ex art. 647, terzo comma, e 648, secondo comma, c.c. Le differenze tra l’onere, il termine e la condizione forniscono, infine, spunti di riflessione e anticipazioni concernenti l’esame dell’azione di risoluzione della disposizione testamentaria modale.