Con l’ordinanza n. 29310 depositata il 13 novembre 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata su una vicenda relativa a presunte condotte di mobbing.
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Il caso di specie
Il ricorrente, ex dipendente del Ministero della Giustizia, sosteneva di essere stato vittima di comportamenti vessatori e denigratori proseguiti per anni da parte di una funzionaria superiore. La domanda di risarcimento, pari a 500.000 euro, era stata rigettata nei gradi di merito e confermata in Cassazione, che ha delineato i confini tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.
Uno dei nodi centrali del ricorso ha riguardato la corretta qualificazione della responsabilità della funzionaria accusata di mobbing. Il ricorrente sosteneva che, in virtù del rapporto organico con l’amministrazione, la funzionaria avrebbe dovuto essere considerata un datore di lavoro, con obblighi di protezione ai sensi dell’art. 2087 c.c. Sul punto, i giudici di legittimità hanno respinto la tesi che evoca la responsabilità ex art. 2087 c.c. e hanno affermato, invece, la sussistenza della responsabilità extracontrattuale. Infatti, la Corte di Cassazione ha ribadito che l’art. 2087 c.c. si applica solo al datore di lavoro, con cui il lavoratore intrattiene un rapporto contrattuale diretto. In definitiva, sul punto i giudici hanno chiaramente espresso la loro posizione: “In tema di mobbing, la responsabilità esclusiva di altro dipendente, il quale si trovi eventualmente in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, è configurabile solo ai sensi dell’art. 2043 c.c. e non a titolo contrattuale.”
Chiarimenti sull’art. 2087 c.c.
I giudici hanno inoltre affrontato la questione della responsabilità del datore di lavoro, precisando che il datore di lavoro può essere chiamato a rispondere solo qualora venga dimostrato che, in violazione dell’art. 2087 c.c., abbia omesso di adottare le cautele necessarie per prevenire comportamenti lesivi da parte dei colleghi. Il mobbing, quindi, si configura solo se alle condotte dolose del “collega” si accompagna una condotta colposa del datore di lavoro, consistente nell’assenza di adeguate misure preventive.
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Il nuovo processo del lavoro dopo la Riforma Cartabia
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Manuela Rinaldi
Avvocato cassazionista, consigliere e tesoriere del COA Avezzano. Direttore della Scuola Forense della Marsica, è professore a contratto di “Tutela della salute e sicurezza sul lavoro” e “Diritto del lavoro pubblico e privato” presso diversi atenei. Relatore a Convegni e docente di corsi di formazione per aziende e professionisti, è autore di numerose opere monografiche e collettanee.
Patrocinio dell’Avvocatura di Stato
ll ricorrente aveva contestato la legittimità della difesa prestata dall’Avvocatura dello Stato alla funzionaria accusata, lamentando l’assenza di motivazione. La Cassazione ha respinto questa argomentazione, richiamando l’art. 44 del r.d. n. 1611/1933, che disciplina la discrezionalità dell’Avvocatura nella scelta di assumere la rappresentanza di dipendenti pubblici in giudizi civili o penali legati a cause di servizio. Secondo l’opinione dei giudici di legittimità, tali provvedimenti sono atti interni, insindacabili dal giudice, e non richiedono motivazione specifica.
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La cessazione dal servizio
Un ulteriore motivo del ricorso riguardava la data effettiva di cessazione del servizio del lavoratore, che il ricorrente riteneva successiva a quella accertata dalla Corte d’Appello. Secondo l’attore, le condotte mobbizzanti si erano protratte oltre il 16 settembre 2004, data considerata dal giudice di merito come termine del rapporto lavorativo. La Corte di Cassazione ha rigettato tale doglianza, affermando che la data era stata definitivamente accertata nei gradi di merito e che, in mancanza di vizi procedurali o errori nella motivazione, tale valutazione non poteva essere riesaminata in sede di legittimità.
I principi di diritto
L’ordinanza si chiude con l’enunciazione di due principi giuridici. Il primo riguarda la responsabilità per mobbing, che viene configurata esclusivamente come extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c., e soggetta alla prescrizione quinquennale. Il secondo si riferisce al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, che viene qualificato come atto interno discrezionale, sottratto a obblighi di motivazione e al controllo del giudice.