La Cassazione, Sezione Seconda Civile, con l’ordinanza n. 36216 del 28.12.2023, ha rimesso al Primo Presidente, ai fini dell’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la seguente questione: se il ricorso per cassazione proposto dal rappresentante della società che sia stata cancellata dal registro delle imprese successivamente al conferimento della procura speciale, ma prima dell’instaurazione del giudizio di legittimità, sia ammissibile.
Nel caso di specie, la procura speciale per la proposizione dell’azione in cassazione era stata rilasciata dal liquidatore della Società il 5 settembre 2017, mentre la società era stata cancellata dal registro delle imprese il 12 settembre 2017, ed il ricorso per cassazione era stato notificato il 28 febbraio 2018.
Pertanto, ci si chiede se l’estinzione del mandato ad litem, avvenuta a seguito della cancellazione della società dal registro delle imprese, configuri una causa di inammissibilità del ricorso, atteso che la cancellazione, ai sensi dell’art. 2495 c.c., determina l’estinzione della società, ossia del “mandante”.
Scarica l’ordinanza interlocutoria: Corte di Cassazione, sez. II civ.- ord. n. 36216 del 28.12.2023
Tesi dell’estinzione del mandato: artt. 306 e 310 c.p.c.
L’art. 2487 attribuisce ai liquidatori il potere di compiere “gli atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio, anche di singoli rami, in funzione del migliore realizzo”.
La finalità della liquidazione è quella di ottenere, mediante la vendita dei beni sociali, una somma di denaro tale da poter soddisfare i creditori sociali, e, nel caso di eventuale residuo, gli stessi soci.
Pertanto, il liquidatore, quando conferisce ad un soggetto il mandato di agire in giudizio contro un terzo (debitore della società) per la tutela degli interessi societari, lo fa con lo scopo di ottenere, mediante la sentenza, il riconoscimento della suddetta somma, in modo da poter soddisfare, primariamente, i creditori sociali.
La cancellazione dal registro imprese avviene, ex art. 2495 c.c., a seguito dell’approvazione del bilancio finale di liquidazione da parte dei soci, a meno che chiunque dei soci non proponga reclamo entro 5 gg. da quando il bilancio è stato depositato presso lo stesso registro.
I creditori sociali, in base allo stesso art. 2495 c.c., anche dopo la cancellazione e quindi l’estinzione della società, possono comunque “far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”.
Pertanto, la tutela dei creditori sociali non è impedita dalla cancellazione della società dal registro imprese, in quanto essi possono agire nei riguardi dei soci chiedendo la restituzione delle somme da questi ultimi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e da ciò si desume evidentemente la responsabilità dei liquidatori per aver questi distribuito le somme ai soci senza prima accertarsi che tutti i creditori sociali fossero stati soddisfatti.
I liquidatori, così facendo, hanno sostanzialmente finito con il vanificare la procedura di liquidazione, perché non hanno tutelato i creditori sociali, i quali infatti adesso sono costretti ad intraprendere azioni individuali nei confronti dei soci.
Quindi, anche il mandato conferito al rappresentante della società ad agire giudizialmente per la tutela degli interessi sociali, è stato vanificato dall’approvazione (illecita) del bilancio finale di liquidazione e dalla successiva distribuzione delle somme ai soci. Tale mandato era finalizzato ad ottenere, mediante la sentenza, una somma di denaro che potesse consentire di tutelare in maniera piena ed effettiva i creditori sociali. Poi però i liquidatori hanno deciso che la situazione patrimoniale della società consentiva ugualmente di conseguire tale obiettivo, cioè a prescindere dalla sentenza, ed hanno perciò fatto approvare dai soci il bilancio finale di liquidazione, ledendo il diritto dei creditori stessi ad essere soddisfatti (tant’è che adesso questi debbono agire contro i soci). Tale decisione, siccome è intervenuta prima ancora che il ricorso per Cassazione, proposto dal rappresentante della società, venisse notificato alla controparte, ha comportato la sostanziale rinuncia all’attivazione del giudizio, il quale, pertanto, ai sensi dell’art. 306 cpc, deve considerarsi estinto per “rinuncia agli atti del giudizio”, con la conseguenza, prevista dall’art. 310 cpc, dell’inefficacia degli atti nel frattempo compiuti (in tal caso, per l’appunto, la proposizione del ricorso).
Tesi dell’ultrattività del mandato: artt. 1723 comma 2 e 524 c.c. e principio di economicità del procedimento giudiziale
Una sopravvivenza del mandato, conferito dal liquidatore al rappresentante della società, ad agire giudizialmente, e quindi del ricorso per Cassazione proposto da quest’ultimo, potrebbe configurarsi solo nel caso in cui i creditori sociali, pur dopo l’approvazione del bilancio finale di liquidazione e quindi dopo la cancellazione della società dal registro imprese, potessero insinuarsi nel giudizio sostituendosi al rappresentante e proseguendo essi stessi l’azione contro il terzo debitore della società, al fine di ottenere dal Giudice l’attribuzione della somma atta a soddisfare le loro ragioni (naturalmente, con addebito ai liquidatori di tutte le relative spese).
In sostanza, i creditori sociali subentrerebbero nel giudizio al posto del rappresentante della società “facendo proprio” il mandato che era stato a quest’ultimo conferito dai liquidatori, e quindi acquisendo direttamente essi stessi la gestione dell’affare oggetto del mandato.
Al riguardo, va segnalato che la disciplina del mandato non prevede un meccanismo per il quale il beneficiario del mandato, e cioè in tal caso i creditori sociali, possa assumere la gestione diretta dell’affare nel caso in cui il mandante (in tal caso, il liquidatore) revochi il mandato (revoca che, in questo caso, è rappresentata dall’approvazione del bilancio finale di liquidazione e quindi dalla cancellazione della società dal registro imprese).
Eppure, nel caso di specie tale meccanismo potrebbe rivelarsi quanto mai opportuno, in quanto non è garantito che i creditori sociali, facendosi restituire dai soci i beni a questi (illecitamente) assegnati dai liquidatori, riescano a soddisfare integralmente le loro ragioni, poiché, a tale scopo, potrebbe rivelarsi necessario proprio ottenere dal Giudice la condanna del terzo (debitore della società) al pagamento della somma alla cui riscossione il mandato ad agire conferito dai liquidatori era finalizzato. Pertanto, una “ultrattività” del suddetto mandato potrebbe essere necessaria per conservare l’integrità delle ragioni dei creditori sociali.
Si tratterebbe di prevedere, anche per i creditori sociali post cancellazione della società dal registro delle imprese, un istituto simile a quello dell’insinuazione al passivo che è previsto nell’ambito della procedura fallimentare, con la differenza che mentre in questo secondo caso la società debitrice è ancora attiva, nel primo caso essa è stata cancellata dal registro imprese, e cioè si è estinta.
Se si ritiene che l’ostacolo all’introduzione dell’istituto della sostituzione dei creditori sociali nel giudizio proposto dal rappresentante della società sia costituito dalla “estinzione” di quest’ultima, allora occorre rilevare che, ai sensi dell’art. 1723 comma 2 c.c., il c.d. “mandato in rem propriam”, ossia quello conferito anche nell’interesse del mandatario o di un terzo, non si estingue in caso di “morte del mandante”. Ebbene, il mandato conferito dal liquidatore al rappresentante della società per agire giudizialmente contro il terzo, è stato dato anzitutto nell’interesse dei creditori sociali, i quali quindi, in riferimento alla norma sopra citata, rivestono la qualità di “terzi”, e di conseguenza, anche nel caso in cui il mandante (in tal caso, la società rappresentata dai liquidatori) sia stato cancellato dal registro imprese (e cioè, nel caso dell’art. 1723 comma 2 c.c., nel caso in cui egli sia “morto”, dal momento che la cancellazione determina l’estinzione), il suddetto mandato non dovrebbe estinguersi.
Inoltre, l’introduzione del principio in base al quale i creditori sociali possano esercitare l’azione giudiziale nei confronti del terzo sostituendosi al rappresentante della società, sarebbe funzionale alla tutela del principio di economicità del procedimento giudiziale: i creditori, anziché essere costretti ciascuno ad instaurare un ricorso contro i soci chiedendo a questi la restituzione della somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione e contro i liquidatori per l’avvenuta (illecita) approvazione di tale bilancio, si troverebbero a poter insinuarsi nel giudizio proposto dal rappresentante in base al suddetto mandato.
Del resto, che i creditori possano sostituirsi al debitore nell’esercizio di determinati diritti al fine di tutelare le loro ragioni di credito, non costituirebbe una novità per l’ordinamento.
Infatti, ai sensi dell’art. 524 c.c., i creditori di un chiamato all’eredità il quale abbia rinunciato a quest’ultima, possono “farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti”.
Di conseguenza, si deve ritenere che il mandato conferito dal liquidatore della società ad agire in giudizio per ottenere una somma la quale possa soddisfare i creditori sociali (e, solo nel caso di eventuale residuo, i soci), non soltanto non si estingua nel caso di cancellazione della società dal registro delle imprese, ma possa essere “assunto direttamente” dai creditori sociali, sotto forma di prosecuzione dell’azione giudiziale intrapresa dal mandatario.
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