Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 16415 del 21 giugno 2018, sono giunte a risolvere l’annosa e tanto vexata quaestio se in caso di mancata liquidazione delle spese in dispositivo, nonostante il giudice esprima nella motivazione la propria volontà di porla a carico della parte soccombente, la parte interessata debba esperire gli ordinari mezzi di impugnazione oppure fare ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui agli articoli 287 e seguenti del codice di procedura civile.
La questione merita particolare attenzione attesa la frequente ricorrenza e la particolare importanza procedurale.
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Il contrasto giurisprudenziale
Le Sezioni Unite, attraverso un rapido excursus storico, hanno osservato che, sin da epoca risalente, si è determinato sul punto un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.
Da una parte, come anticipato, v’è chi ha sostenuto la necessità di esperire gli ordinari mezzi di impugnazione in ipotesi di omessa o incompleta liquidazione delle spese processuali in dispositivo.
A sostegno di tale tesi, intorno agli anni ‘90 si era affermato un orientamento secondo cui si riteneva che l’errore materiale correggibile fosse solo quello consistente in una mera svista del giudice che avesse determinato la mancata o inesatta estrinsecazione del giudizio, e che non rientrassero nella categoria di errori materiali quelli che si caratterizzano come espressione di un giudizio mancante o quantomeno manchevole, come può accadere quando le spese non risultano in dispositivo (Cass. sent. n.5266 del 5/6/1996).
Ancora si era affermato il principio per cui la sentenza che contenesse una corretta statuizione sulle spese nella parte motiva, ma non poi la liquidazione di esse o di parte di esse nel dispositivo, non fosse emendabile con la procedura di correzione dell’errore materiale, poiché si tradurrebbe in una sostituzione del momento volitivo del giudice della correzione a quello della deliberazione nel determinare la liquidazione delle spese nei confronti delle parti.
Pertanto, la sostituzione al giudice che ha emesso il provvedimento in un momento deliberativo è attività che si porrebbe al di fuori dei limiti oggettivi della correzione di errore materiale (Cass. Sent. n.3020 del 17/2/2016)
In via diametralmente opposta, un altro orientamento ha invece ammesso il ricorso alla procedura di correzione di errori materiali ex art. 287 e ss. c.p.c.
Chiave di volta: Correzione errori materiali in mancanza liquidazione delle spese nel dispositivo
I punti decisivi sui quali la Cassazione ha fatto luce per risolvere la questione sono stati domandarsi innanzitutto in cosa consistesse effettivamente l’errore materiale e conseguentemente domandarsi se la procedura di liquidazione delle spese processuali richieda al giudice una mera operazione tecnico-esecutiva, da svolgersi sulla base di presupposti e parametri oggettivi, o se invece, lungi dal caratterizzarsi come meramente vincolata e materiale, sia invece una espressione della potestas iudicandi.
Errore materiale
La Corte ha affermato che secondo la giurisprudenza e la dottrina più recenti l’errore materiale consiste in un difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione nel provvedimento, purché questa possa essere evinta dal raffronto fra la parte inficiata dall’errore e le considerazioni contenute nella motivazione, per cui può dedursi che tale errore è dovuto ad una svista o disattenzione.
A sostegno di ciò anche le Sezioni Unite si sono espresse in passato affermando che “sia da considerare errore materiale qualsiasi errore anche non omissivo che derivi dalla necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria consequenziale a contenuto predeterminato, oppure una statuizione obbligatoria di carattere accessorio anche se a contenuto discrezionale” (Sez.U. n.16037/2010).
A fronte di ciò, la Corte di legittimità ha dunque ritenuto ammissibile la correzione quando l’omissione investa il solo dispositivo, considerandola più una mancanza materiale e scaturente da un’operazione tecnico-esecutiva che non un vizio di attività o di giudizio da parte del giudice, la c.d. potestas iudicandi.
Del resto l’attività di liquidazione delle spese processuali consiste in uno svolgimento di un’operazione tecnico esecutiva da realizzare sulla scorta di presupposti e parametri oggettivi fissati dalla legge, e nei limiti quantitativi in essa previsti, consistendo in una vera e propria attività di carattere materiale volto a completare la statuizione. Di conseguenza, una volta che nella motivazione della sentenza il giudice abbia provveduto alla liquidazione delle spese, l’omissione degli importi contenuta nel dispositivo della sentenza deve essere integrata con il procedimento di correzione degli errori materiali.
Il fatto che la parte motiva della sentenza deve necessariamente contenere la statuizione è condizione fondamentale affinché si possa esperire il rimedio previsto dall’art. 287 c.p.c.
In caso contrario, invece, la divergenza darebbe luogo a contrasto insanabile fra motivazione e dispositivo, che escluderebbe la procedura di correzione di errore materiale.
Principi a cui si sono ispirate le Sezioni Unite
La possibilità di utilizzare la procedura della correzione degli errori materiali in ipotesi di omessa liquidazione delle spese processuali è anche funzionale alla realizzazione dei principi costituzionali della ragionevole durata del processo e del giusto processo.
L’art. 111 della Costituzione nel canonizzare il principio del giusto processo, reca l’affermazione per cui «la legge deve assicurare la ragionevole durata del processo».
Spiega la Corte che il procedimento di correzione degli errori materiali è il più consono a salvaguardare l’effettività di tale principio che impone al giudice, anche nell’interpretazione dei rimedi processuali, di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione della causa, evitando l’inutile dispendio di attività processuali, non giustificate né dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, né da effettive garanzie di difesa.
Tale rimedio garantisce maggiore celerità, lasciando salvo il diritto delle parti all’esercizio degli ordinari rimedi impugnatori, che ai sensi dell’art.288 c.p.c, comma 4, possono essere comunque proposti relativamente alle parti corrette delle sentenze.
Ulteriore elemento positivo della scelta di tale rimedio correttivo è che in tal modo viene a coprirsi un vuoto di tutela rispetto all’omissione delle spese nelle sentenze della Corte di Cassazione. Infatti, la tesi del ricorso ai normali mezzi di impugnazione per emendare l’omissione in dispositivo della liquidazione delle spese, ritenuta dai fautori del ricorso ai mezzi di impugnazione quale errore di giudizio mal si concilia con le pronunzie di legittimità, che non sono impugnabili, dato che i rimedi ammessi ex artt 391 bis e ter c.p.c avverso le sentenza di legittimità sono la revocazione per errore di fatto ,l’opposizione di terzo e la correzione degli errori materiali.
Il principio di diritto
Alla luce di quanto rilevato, le Sezioni Unite hanno pertanto affermato il seguente principio di diritto:
“A fronte della mancata liquidazione delle spese nel dispositivo della sentenza, anche emessa ex art.429 c.p.c., sebbene in parte motiva il giudice abbia espresso la propria volontà di porle a carico della parte soccombente, la parte interessata deve fare ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e ss c.p.c. per ottenerne la quantificazione”