La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento del lavoratore, esaminando le motivazioni economiche e l’obbligo di repêchage. La sentenza ha evidenziato la correlazione tra il licenziamento e le assunzioni a tempo determinato, ritenendo che i contratti a termine fossero per necessità temporanee e gli stage avessero finalità diverse.
Corte di Cassazione- Sez. Lav. ord. n. 10627 del 19-04-2024
La questione
La Corte d’appello di Venezia ha riformato la decisione del Tribunale di Padova, dichiarando legittimo il licenziamento di un dipendente avvenuto il 7 agosto 2019.
Il licenziamento era motivato da una riorganizzazione aziendale conseguente a un calo del fatturato, che aveva portato alla soppressione del reparto magazzino e alla diminuzione del personale, senza la possibilità di ricollocazione del lavoratore in altre mansioni.
La Corte ha stabilito che sussistevano valide ragioni organizzative alla base del licenziamento sicché veniva esclusa qualsiasi forma di discriminazione. Inoltre, nella motivazione della sentenza, la Corte distrettuale aveva chiarito che l’azienda avesse adempiuto all’obbligo di tentare di ricollocare il dipendente in altre posizioni disponibili (obbligo di repêchage). La questione dell’assunzione di alcuni lavoratori a tempo determinato nel semestre successivo al licenziamento, non era stata considerata una violazione dei principi di buona fede e correttezza poiché anche le mansioni dell’unica lavoratrice assunta a tempo determinato per un periodo più lungo, nel ruolo di “addetta al web”, erano differenti da quelle del lavoratore licenziato e non acquisibili attraverso una formazione.
I motivi del ricorso
Il lavoratore ha impugnato questa decisione presentando ricorso per cassazione.
Nel primo motivo di ricorso, il ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza per mancata comparazione tra il numero di collaboratori assunti dopo il licenziamento e la riduzione del personale, in violazione degli artt. 111 Cost. e 132 c.p.c.
Nel secondo motivo, il ricorrente ha sostenuto che la Corte distrettuale avesse ignorato il ruolo futuro degli stagisti nel divenire lavoratori effettivi, in aperta violazione degli artt. 3 della legge n. 604 del 1966 e 1175 c.c.
Nel terzo motivo, il ricorrente ha accusato la Corte di non aver esaminato l’utilizzo di lavoratrici a tempo determinato nei punti vendita, dimostrando la fungibilità delle mansioni.
Infine, nell’ultimo motivo, il ricorrente ha denunciato la mancata considerazione dell’obbligo formativo per i lavoratori in esubero, essenziale per la loro ricollocazione, (violazione degli artt. 3 della legge n. 604 del 1966 e 2103 cod. civ.)
Il licenziamento è giustificato
I giudici della Sezione Lavoro hanno esaminato congiuntamente i motivi di ricorso vista la loro stretta connessione.
Nel caso in esame, la Corte, esaminando i fatti in modo dettagliato, ha confermato la presenza di una giustificata motivazione economica per il licenziamento e l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre posizioni.
I giudici hanno verificato la correlazione tra il licenziamento e le assunzioni a tempo determinato, evidenziando che i contratti a termine erano di breve durata e per necessità temporanee, e che gli stage avevano finalità diverse rispetto a un rapporto lavorativo. La motivazione della sentenza, quindi, risulta completa e priva di vizi logici o contraddizioni.
Obbligo di formazione
Nella trattazione del quarto motivo di ricorso, relativo all’obbligo di formazione per i lavoratori in esubero, la Corte territoriale ha interpretato l’art. 3 della legge n. 604 del 1966 in linea con la giurisprudenza consolidata. Infatti, tale giurisprudenza sostiene che l’obbligo di repêchage si possa applicare alle mansioni fungibili in concreto attribuibili al lavoratore, senza prevedere la necessità di corsi di formazione, come invece richiesto per lo ius variandi ai sensi dell’art. 2103 c.c. modificato dal d.lgs. n. 81 del 2015.
La Corte di Cassazione ha chiarito come, anche secondo il novellato art. 2103 c.c., non sia possibile considerare utile ai fini del repêchage una posizione che non corrisponda alla professionalità posseduta dal lavoratore ( cfr. Corte di Cassazione, Sez. Lav. n. 6085 del 2021).
Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha riconosciuto che l’unica posizione potenzialmente disponibile, quella di “addetto al web”, occupata da una lavoratrice con contratto a tempo determinato di un anno, non era adatta per il lavoratore del caso esaminato: una simile mansione richiedeva competenze piuttosto diverse da quelle possedute dal lavoratore ricorrente, in quanto appartenente ad una categoria professionale distinta.
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Manuela Rinaldi
Avvocato cassazionista, consigliere e tesoriere del COA Avezzano. Direttore della Scuola Forense della Marsica, è professore a contratto di “Tutela della salute e sicurezza sul lavoro” e “Diritto del lavoro pubblico e privato” presso diversi atenei. Relatore a Convegni e docente di corsi di formazione per aziende e professionisti, è autore di numerose opere monografiche e collettanee.