Legittimazione ad agire della società fiduciaria e criteri per la compensazione delle spese

La configurazione delle società fiduciarie e la loro legittimazione ad agire giudizialmente in rappresentanza dei fiducianti ha generato nel tempo un acceso dibattito. L’ordinanza n. 13754/2025 della Prima Sezione Civile della Cassazione (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), si inserisce in tale solco, riaffermando il modello interpretativo prevalente sulla c.d. “fiducia germanistica” e intervenendo, al contempo, su un altro tema delicato: la compensazione delle spese di lite in presenza di situazioni di affidamento giuridicamente rilevanti. Il provvedimento offre spunti per una riflessione articolata, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, sulla tenuta sistematica dell’art. 92, co. 2, c.p.c. e sulla corretta individuazione delle “gravi ed eccezionali ragioni”.

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Formulario commentato del nuovo processo civile

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Lucilla Nigro
Autrice di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.

 

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L’oggetto della controversia

La vicenda nasce da una domanda di risarcimento danni connessa alla sottoscrizione di titoli azionari (Fondiaria Sai S.p.A., poi UnipolSai) effettuata in un contesto ritenuto dagli attori ingannevole, per via di documentazione societaria giudicata incompleta o fuorviante. Tra gli intervenuti figura una società fiduciaria, la cui posizione è stata però oggetto di costante contestazione in ordine alla legittimazione attiva.

In primo grado, il Tribunale di Milano ha accolto l’eccezione preliminare di difetto di legittimazione attiva sollevata dalla convenuta. La Corte d’appello ha confermato l’impostazione, respingendo l’appello salvo per la regolamentazione delle spese, che ha compensato per entrambi i gradi di giudizio.

Il motivo di ricorso: legittimazione della fiduciaria

La società ricorrente ha contestato la decisione della Corte d’appello che ne aveva escluso la legittimazione attiva, ritenendo che, pur in presenza di un’intestazione formale dei titoli, essa agisse come semplice gestore. Secondo il ricorrente, invece, la società fiduciaria avrebbe potuto far valere in proprio i diritti risarcitori, sulla scorta della pronuncia n. 29410/2020, che sembrava attribuire legittimazione attiva al fiduciario in casi analoghi. A sostegno della propria tesi, la società invocava anche il principio del mandato senza rappresentanza.

La conferma dell’impostazione “germanistica”

La Corte ha rigettato il ricorso, riaffermando con nettezza un orientamento consolidato: la società fiduciaria non è proprietaria dei beni a lei intestati, nemmeno in senso sostanziale. La fiducia ex lege n. 1966/1939 è costruita sul modello “germanistico”, che implica un semplice potere di gestione, senza traslazione della titolarità. La proprietà dei titoli resta in capo al fiduciante, e con essa la legittimazione all’azione individuale risarcitoria. La pronuncia invocata dal ricorrente è stata invece ricondotta ad un contesto differente, legato all’inadempimento degli obblighi contrattuali della banca intermediaria e non all’azione ex art. 2395 c.c.

La distinzione tra proprietà e gestione

Il cuore della motivazione risiede nella differenza funzionale tra due tipi di legittimazione:

  • la prima, fondata sulla titolarità del diritto sostanziale leso (proprietà del titolo e danno patrimoniale),

  • la seconda, riconducibile ad un’eventuale responsabilità per mala gestio, nei limiti dell’incarico fiduciario.

Nel caso concreto, l’azione si fondava sulla lesione patrimoniale subita dal fiduciante, non sulla violazione del mandato gestorio. Ergo, la legittimazione spettava a chi ha subito il danno, non a chi ne aveva la gestione formale.

Il ricorso incidentale e la compensazione delle spese

Nel ricorso incidentale, la compagnia assicurativa ha contestato la decisione della Corte d’appello che aveva disposto la compensazione integrale delle spese di lite dei primi due gradi di giudizio, invocando la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. Secondo la ricorrente, la decisione impugnata sarebbe priva dei presupposti richiesti per adottare tale statuizione.

La Suprema Corte ha tuttavia dichiarato infondato il motivo, richiamando in primo luogo la sentenza n. 77/2018 della Corte costituzionale (per la quale avevamo già proposto un approfondito commento), che ha dichiarato parzialmente illegittimo l’art. 92, comma 2, c.p.c., nella versione riformata dal D.L. n. 132/2014. La Consulta ha censurato la rigida tassatività delle ipotesi di compensazione, ritenendola lesiva dei principi costituzionali di ragionevolezza, eguaglianza e diritto di difesa. In virtù di tale pronuncia, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto che la compensazione può legittimamente avvenire anche in presenza di gravi ed eccezionali ragioni diverse da quelle tipiche, purché analoghe per natura e intensità.

Nel caso in esame, la Corte d’appello aveva puntualmente assolto all’onere motivazionale, individuando tre fattori rilevanti:

  1. l’esistenza di un precedente di merito, tra le stesse parti, favorevole alla posizione dell’odierna ricorrente, che aveva ingenerato un legittimo affidamento;
  2. l’evidente lacunosità del quadro normativo;
  3. l’incertezza giurisprudenziale esistente al momento della decisione.

Si tratta, secondo la Cassazione, di ragioni che rientrano pienamente nel novero delle “analoghe gravi ed eccezionali ragioni” richieste dall’art. 92, comma 2, c.p.c., così come interpretato alla luce della citata giurisprudenza costituzionale e di legittimità.

Pertanto, la Corte ha ritenuto corretta e motivata la decisione impugnata, respingendo il motivo e confermando la legittimità della compensazione integrale delle spese di lite nei precedenti gradi del giudizio. L’incertezza normativa non è solo un’attenuante, ma può diventare criterio oggettivo di equilibrio processuale.

Compensazione delle spese: un’eccezione che si fa regola?

Il principio della causalità – per cui paga chi perde o ha causato la lite – viene qui rielaborato alla luce della buona fede dell’agente. Il ragionamento sembra riecheggiare un concetto noto nel diritto penale: quello dell’ignoranza inevitabile della legge, trasposto nel processo civile come affidamento ragionevole su una giurisprudenza non ancora consolidata.

Non si tratta di aprire la porta all’arbitrarietà nella compensazione – anzi, la Corte è attenta a ribadire i confini motivazionali – ma di legittimare un’applicazione “ragionata” del principio, in presenza di un contesto normativo e interpretativo fragile. Si riconosce che l’errore giuridico, in un contesto di incertezza, non può sempre essere addossato a chi perde.

Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione rafforza il perimetro giuridico entro cui si colloca la figura della società fiduciaria disciplinata dalla legge n. 1966/1939. Il dato formale dell’intestazione fiduciaria non attribuisce in sé la legittimazione a esperire azioni risarcitorie, qualora il pregiudizio colpisca il patrimonio del fiduciante. Allo stesso tempo, l’ordinanza chiarisce che la compensazione delle spese di lite resta possibile, purché fondata su motivazioni esplicite e coerenti con l’interpretazione “elastica” dell’art. 92 c.p.c. legittimata dalla Corte costituzionale.

Questo arresto consolida, dunque, un doppio fronte: da un lato, la tutela del principio di effettività della legittimazione ad agire; dall’altro, un’applicazione rigorosa ma non rigida del criterio della causalità nella distribuzione delle spese processuali.

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