Legge sul Testamento biologico: considerazioni e criticità della L. 219/2017

in Giuricivile, 2018, 3 (ISSN 2532-201X)

Come noto, il 31 gennaio 2018 è entrata in vigore la nuova Legge sul Testamento Biologico (L. 219/2017), approvata al Senato il 14 dicembre 2017 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 16 gennaio 2018.

Il testo completo della Legge sul biotestamento è disponibile sul sito della Gazzetta Ufficiale.

Ecco di seguito alcune considerazioni e profili di criticità individuati nella Legge 219/2017.

SOMMARIO: 1. Il principio del consenso libero e informato. – 2. La relazione di cura. – 3. Natura giuridica della DAT. – 4. Forma del consenso e Dichiarazione Anticipata di Trattamento. – 5. La DAT e il testamento: un paragone non sostenibile. – 6. Criticità e contrasti con la Legge Cirinnà. – 7. Il fiduciario. – 8. Il ruolo del medico.

1. Il principio del consenso libero e informato.

Le novità da analizzare sono molteplici, a partire dalla più importante cioè il consenso informato.

Innanzitutto può manifestare la sua volontà solamente chi è capace di agire secondo l’art. 2 c.c. quindi al compimento della maggiore età; legittimato a prestare il consenso deve essere altresì il titolare del bene protetto dalla norma (anche in questo caso vi sono eccezioni come all’art.3 della legge).

Il consenso informato, eccezion fatta per i casi di pericolo di vita o di danno urgente e grave alla persona, è ritenuto presupposto imprescindibile di liceità del trattamento medico-chirurgico e di ogni altra attività diagnostica e terapeutica, anche tenendo presente dell’inviolabile diritto alla libertà personale, fisica e morale, e, nel rispetto della persona umana, all’autodeterminazione del paziente.

L’art. 1 comma 2 della legge in esame parla di «autonomia decisionale» del paziente e il consenso prende la forma di manifestazione di volontà unilaterale.

Sorge un problema di bilanciamento di valori tra la libera autodeterminazione[1] della volontà e tutela della salute da parte della Repubblica, gli individui in sostanza hanno un vero e proprio diritto a rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, che va analizzato alla luce dei principi costituzionali. Secondo il tenore letterale dell’art. 1 della legge, non viene violato l’art. 32 Cost. soprattutto nella parte in cui definisce e tutela la salute come «interesse della collettività» e, «garantisce cure agli indigenti» (comma 1). Al secondo comma è presente un contrasto logico nella misura in cui indirettamente afferma che le disposizioni di legge possono obbligare ad un trattamento sanitario[2], ma nella seconda parte afferma che la stessa legge non può violare il rispetto della persona umana.

Questa discordanza viene superata dalla Legge sul Biotestamento richiamando il rispetto degli art. 2 e 13 della Costituzione e, soprattutto richiamando l’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. In particolar modo fa leva sull’importanza del consenso libero e informato richiamando anche l’art. 3 della medesima Carta il quale al suo comma 2 n. 1 afferma la rilevanza anche comunitaria del libero consenso in campo medico. La ratio di questo principio fa leva non solo sulla libera autodeterminazione[3] dell’individuo ma anche sulla tutela della dignità dell’essere umano.

Al di fuori dei casi in cui il trattamento sanitario risulti imposto per legge, gli accertamenti e i trattamenti sanitarî sono volontari, così dice l’art. 1 della legge n. 180/1978 titolata «Accertamenti e trattamenti sanitari[4] volontari e obbligatori». Senza il consenso del paziente, in sintesi, il medico non può sottoporlo ad accertamenti sanitari o interventi chirurgici neppure nel caso in cui il trattamento possa salvargli la vita[5].

Secondo la Cass. Civ. sez. III n. 12205 del 12 giugno 2015, il buon esito dell’intervento non esclude la violazione del diritto di autodeterminazione della persona, in sostanza la risarcibilità della lesione del diritto si può verificare anche in assenza di una lesione al diritto alla salute[6]. Da questo combinato legislativo e giurisprudenziale risulta ben chiara l’importanza che il consenso riveste nel nostro ordinamento, a maggior ragione nel momento in cui entrano in gioco interessi di rango costituzionale

Infine giova ricordare che, il consenso deve essere espresso e mai implicito o tacito.

Il concetto di consenso informato è di grande importanza nella disciplina, ciò lo si desume anche dalla duplice menzione sia all’art. 1 comma 3 che all’art. 5 comma 2, i quali sono sostanzialmente speculari nel descrivere il contenuto delle informazioni che devono essere fornite al paziente, al fine di permettergli una libera scelta e tutelare la spontaneità nella fase di formazione della volontà.

Il diritto al consenso informato lo si ricava altresì procedendo tramite un’analisi estensiva dell’art. 21 Cost. In sostanza il diritto all’informazione ha una duplice natura da un lato è un diritto di informare, da un altro di essere informati.

Il diritto ad essere informati inoltre diventa un obbligo costituzionale che viene posto a carico di determinati soggetti specializzati nell’ottica della tutela della persona. Nella nuova disciplina in esame questo onere grava principalmente sul medico (o capo della équipe sanitaria) il quale è unico soggetto in grado di trasmettere nozioni tecniche nel campo della medicina[7].

Troviamo una applicazione del consenso informato nel Codice di Deontologia Medica, al suo art. 35, per il quale l’acquisizione del consenso è una prerogativa esclusiva del medico. Non sono ammessi altri soggetti alla ricezione del consenso, ciò è desumibile anche dal fatto che a sottoscrivere l’atto sarà il medico stesso. L’esclusività preclude l’intervento di intermediari i quali, da non titolari del bene interessato, non sono tenuti a prestare consenso.

Detta inoltre alcune norme redazionali sulla forma del consenso, prescrivendo la forma scritta ma accettando ugualmente anche «altre modalità di pari efficacia», in questo modo si ha perfetta coordinazione anche con l’art 1 comma 4 della Legge sul Biotestamento[8].

La natura giuridica del consenso è dibattuta, secondo alcuni questo sarebbe una manifestazione negoziale di volontà, la quale fungerebbe da presupposto per un contratto, nella fattispecie il contratto d’opera professionale. Secondo questa dottrina il consenso rivestirebbe il ruolo di elemento essenziale del negozio e di conseguenza una poco chiara informazione medica pregiudicherebbe la validità dell’intero negozio comportandone la nullità ai sensi dell’art. 1325 n. 1 c.c.

Questa dottrina è criticabile poiché attribuisce valore patrimoniale al consenso, in realtà l’individuo sta autodeterminando una complessità di effetti che ricadono nella sua sfera soggettiva intesa come persona nome come soggetto economico.

Secondo la dottrina più recente il consenso viene identificato come atto giuridico strictu sensu, ossia come permesso con il quale viene attribuito al destinatario un potere di agire, il quale non crea alcun vincolo obbligatorio a carico dell’avente diritto e allo stesso tempo non trasferisce alcun diritto in capo all’agente.

Viene anche definita, all’art.1 comma 3, la natura disponibile di tale diritto, che consente al paziente di optare per non essere informato e può, inoltre, delegare altre persone (famigliari o persona di fiducia) a prestare in sua vece il consenso.

Il contenuto del consenso informato è vario. Per capisaldi deve esservi ricompresa:

  • la conoscenza delle proprie condizioni di salute,
  • un’informazione fornita in modo comprensibile e sempre aggiornata,
  • gli esiti e i mezzi per la diagnosi e la prognosi,
  • i rischi e soprattutto le alternative al trattamento.

Come già detto il contenuto è parzialmente rifiutabile, nel senso che le informazioni verranno date ad un soggetto indicato dal paziente e l’onere di informazione in capo al medico si considererà adempiuto ugualmente.

2. La relazione di cura

Al suo art. 1 comma 2, la Legge sul Biotestamento introduce un concetto nuovo ossia quello di «relazione di cura». Soggetto attivo nella maggior parte delle fasi della procedura è il medico, per relazione di cura si intende quel rapporto che va a formarsi tra medico e paziente.

Il rapporto ha una duplice valenza, è soggettivo per un verso e oggettivo per l’altro. Soggettivo per la misura in cui tra paziente e medico viene a crearsi un rapporto di fiducia costante che deve durare per tutto il trattamento. Il lato oggettivo invece attiene al consenso informato, che è presupposto essenziale per l’intera procedura. La relazione di cura tuttavia può coinvolgere più persone (relazione di cura pluripersonale) nel momento in cui il paziente decida di coinvolgere anche i famigliari[9] o un fiduciario.

Secondo parte della dottrina la relazione e gli scambi di informazioni devono provenire dall’intera équipe medica poiché affidando tutto nelle mani di un solo individuo si andrebbe a limitare il conoscimento del trattamento[10], nonostante ciò è il solo capo dell’équipe a dover sottoscrivere il consenso[11].

Lo scambio di informazioni deve essere bilaterale e non stabilito nel quantum. Il medico (e più in generale anche gli altri membri dell’équipe) sono tenuti, a fornire una serie di informazioni in base al caso specifico, ossia personalizzate[12].

Infine all’art. 1 comma 2 il legislatore attento a creare un ambiente favorevole al dichiarante ammette la possibilità di partecipazione dei famigliari (o dell’unito civilmente) o di un fiduciario. Di grande importanza la menzione del fiduciario poiché questa figura all’interno della disciplina ricopre più funzioni soprattutto nel momento in cui sorgerà l’incapacità del dichiarante. Permettendogli di partecipare sin dalle prime fasi, si facilità l’interazione e quindi la relazione di cura con il medico e la struttura sanitaria.

3. Natura giuridica della DAT

È discussa quale sia la natura della Disposizione Anticipata di Trattamento.

Questa viene definita come una manifestazione di volontà in materia di trattamenti sanitarî da parte di un soggetto, il quale prevede che in futuro possa incorrere in una potenziale incapacità di autodeterminarsi.

Tale proiezione è vincolante, ecco perché si usa il termine direttive. Il Consiglio Nazionale del Notariato invece ha fornito una definizione più dettagliata, qualificandola come:

dichiarazione che viene resa da una persona in condizioni di piena capacità mentale al fine di disporre in merito ai trattamenti sanitari ai quali intende sottoporsi o rinunziare, qualora, in futuro fosse colpita da una malattia o lesione cerebrale irreversibile o invalidante o altresì da malattia che costringa a trattamenti con macchine o sistemi artificiali tali da impedire una normale vita di relazione nonché la capacità di esprimere la propria volontà.

È stato detto come ai sensi dell’art. 1 della legge n. 180/1978 i trattamenti siano volontari, quindi, è possibile che la DAT abbia contenuto negativo.

Ci si potrebbe interrogare sulla natura di questa manifestazione di volontà, innanzitutto notando che si tratta di una dichiarazione[13] poiché è in primo luogo un atto giuridico lecito e in secondo luogo è diretto a comunicare ad altri il proprio pensiero o la propria volontà.

All’interno degli atti di dichiarazione poi è dubbio se le DAT vengano comprese tra i negozi giuridici o le dichiarazioni di scienza.

Non è pensabile che si tratti di una dichiarazione di scienza poiché queste attengono ad una dimensione temporale passata della quale si prende atto e si dichiara espressamente di esserne a conoscenza, al contrario la DAT presuppone una previsione futura da parte del dichiarante, la presa di coscienza delle adeguate informazioni mediche è solamente un presupposto ma non qualifica la disposizione quanto al suo contenuto.

Si potrebbe ritenere che abbia natura negoziale con riferimento alla dichiarazione con la quale viene espressa una vera e propria volontà di regolare in un certo modo i proprî interessi, identificabili nel trattamento sanitario prescelto. Tuttavia bisogna tener presente che da detta dichiarazione scaturiscono anche altri effetti, tra i quali l’esonero del medico da responsabilità civile e penale[14]. Il medico, stante l’art. 1 comma 6 Legge sul Biotestamento, è tenuto a rispettare la volontà del paziente che voglia rifiutare il trattamento sanitario e, in addizione, è esente da ogni responsabilità[15].

Viceversa, si può ritenere che l’esonero da responsabilità abbia la propria fonte nella legge piuttosto che nella dichiarazione del paziente, se da un lato è vero che la DAT assume rilievo essenziale per la formazione dell’esonero dalla responsabilità, dall’altro è indubbio che sia un effetto indiretto e non ricercato dal paziente, il quale viceversa persegue i propri interessi, nella fattispecie l’autodeterminazione della propria situazione sanitaria. Pertanto, sono infondate le critiche alla natura non negoziale della DAT poiché vi è pur sempre un effetto principale voluto. L’esonero da responsabilità ben può inquadrarsi tra gli effetti secondari non direttamente ricercati, quindi del tutto ininfluenti per ciò che attiene alla qualificazione della fattispecie in esame.

In conclusione è preferibile ritenere la DAT atto negoziale a contenuto non patrimoniale, sempre considerando la complessità degli effetti che si vanno a formare, tra cui quelli voluti (il trattamento sanitario o il rifiuto di questo) e quelli non direttamente voluti ma che fanno parte della complessità dell’atto.

Invero, il modulo di consenso informato se sottoscritto esonera il medico dalla responsabilità, quindi è lecito affermare che, seppur in separata sede, sia stato dato ugualmente consenso (rectius manifestata volontà) anche all’esonero di responsabilità.

4. Forma del consenso e Dichiarazione Anticipata di Trattamento

La legge[16] e la giurisprudenza[17] richiedono che il consenso dell’avente diritto sia espresso e specifico, dunque non è detto che questo si realizzi, ben potendo opporre rifiuto[18] alle cure.

Il dante consenso, affinché la manifestazione sia valida[19], deve essere informato. L’informazione tuttavia presenta tre presupposti[20] imprescindibili per dare vita ad un consenso valido e libero: deve essere corretta, chiara ed esaustiva. Questi tre requisiti comprendono al loro interno varie indicazioni, tra le quali l’esistenza di tecniche terapeutiche alternative, i possibili esiti nonché i rischi di ogni opzione.

In sostanza non importa se il trattamento dia buon esito o se sia il più avanzato secondo lo stato della scienza, il consenso informato richiede che si diano precise informazioni sulla base delle quali si andrà a formare la volontà dell’assistito[21]. A questo punto si inserisce la disciplina formale, affinché si possa parlare di completezza del consenso questo deve essere analizzato non solo dal punto di vista sostanziale del contenuto ma anche formale.

Ai sensi dell’art. 4 comma 6 della Legge sul Biotestamento la manifestazione è libera. La citata norma infatti richiede tra le forme l’atto pubblico[22], la scrittura privata autenticata o scrittura privata semplice consegnata all’ufficio di stato civile del comune di residenza, aggiunge inoltre la videoregistrazione o altri strumenti idonei in via eccezionale. Analogamente per il consenso informato la forma è libera, il che comprende scritture, videoregistrazioni e altri dispositivi.

La consegna della DAT tuttavia, che è atto giuridico, presuppone volontarietà e consapevolezza in capo al soggetto agente, si considera adempimento con carattere di personalità, ossia non tollera intermediari (ad esempio non è possibile tramite mandato). Ciò si deduce dall’uso puntuale dell’espressione «personalmente», riferita al disponente.

La ratio che si cela dietro a questo limite è evitare che un soggetto incapace di manifestare il proprio consenso, trincerandosi dietro ad un intermediario raggiri il comma 1 dell’art.4. Il legislatore da un lato venendo incontro alle esigenze di fruibilità della disciplina, ammettendo cioè anche la scrittura privata semplice, ha dovuto limitare, dall’altro lato, la possibilità che soggetti non qualificati potessero interferire su una decisione così complessa e personale.

Tutto questo è rafforzato dalla previsione presente all’art. 4 comma 6 parte seconda che facilita ulteriormente la manifestazione del consenso specificando che questo può essere dato anche tramite video o qualsiasi altro dispositivo che consenta al disabile di comunicare. Ci si domanda se queste ultime due previsioni siano solamente a favore del soggetto disabile o possano essere fruite da chiunque. La disposizione grammaticale pare suggerire che queste siano state ricomprese come extrema ratio per quei soggetti che non potrebbero fare altrimenti, in ciò il legislatore è stato scrupoloso pensando che taluni disponenti potrebbero versare in uno stato iniziale dell’infermità che potrebbe aggravarsi da un momento all’altro non consentendo loro di esternare il consenso in futuro.

Per ciò che attiene al consenso informato invece non emergono queste problematiche poiché ai sensi dell’art. 1 comma 4 questo viene preso da un soggetto competente ossia medico, il quale in prima battuta controlla la capacità del dichiarante e successivamente conserva l’atto nel fascicolo.

Il consenso informato in questo senso non ammette intermediari, ciò nonostante, come già detto, il dichiarante può acconsentire alla partecipazione di persone di sua fiducia o del nucleo famigliare che, pur non manifestando la loro volontà in modo vincolante, possono comunque supportare la scelta acquisendo loro stessi le dovute informazioni.

5. La DAT e il testamento: un paragone non sostenibile

 La successione testamentaria è il fenomeno giuridico di successione a causa di morte nel quale, tramite un negozio testamentario, si attua la successione medesima. Analogamente a quanto avviene per le DAT, si ha una volontà di un soggetto che è elemento essenziale per la validità del negozio e alla quale vengono ricollegati una serie di effetti di varia natura (sia patrimoniali che non).

Non deve confondere la dicitura biotestamento poiché nella sostanza c’è molta differenza con il testamento vero e proprio. Il testamento ex art. 587 c.c. è un atto mortis causa, ne discende una assoluta incomparabilità con la DAT che viceversa si occupa del c.d. fine vita. L’efficacia del testamento è differita al momento dell’apertura della successione[23], nel nostro ordinamento è l’unico strumento in grado di incidere sulla realtà dei rapporti giuridici dopo la morte.

Per quanto attiene le disposizioni anticipate di trattamento, la loro efficacia è da ricondursi al momento precedente alla morte quindi inter vivos. È del tutto irrilevante che l’individuo perda la capacità di intendere o volere, giuridicamente questo è considerato vivo pertanto le DAT esprimono i loro effetti in una finestra temporale diversa da quella testamentaria.

Inoltre è ben possibile che la DAT rimanga quiescente per tutta la durata della vita del dichiarante senza mai divenire pienamente efficace. Il testamento viceversa[24], se privo di vizi e non revocato, dovrà necessariamente divenire efficace con la morte del testatore, evento naturale inevitabile.

I due atti possono essere in parte accomunati per quanto riguarda la forma, anche se, il testamento richiede una serie di ulteriori formalità ad hoc, tipiche della successione testamentaria. Non sembra pensabile un assoggettamento delle norme del libro II titolo III capo I rubricate «Delle successioni testamentarie» anche alle disposizioni anticipate di trattamento. Ne consegue che qualora ai sensi dell’art. 4 Legge sul Biotestamento si opti per la forma di atto pubblico non sarà necessaria la presenza dei due testimoni. Tuttavia sembra preferibile, stando alla complessità degli interessi in gioco, che si faccia ugualmente ricorso ai due testimoni ai sensi dell’art. 48 l. 89 del 16 febbraio 1913[25], così da assicurare una miglior riflessione in capo al dichiarante.

6. Criticità e contrasti con la Legge Cirinnà

Vi sono alcuni punti di contrasto con la l. 76 del 20 maggio 2016, in primo luogo al suo art. 1 comma 40 consente al convivente di fatto di designare l’altro convivente quale suo rappresentante affidandogli poteri pieni o limitati.

Il primo comma segue dichiarando che detti poteri possono espletarsi anche «in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute». Il contrasto emerge con la lettura combinata dell’art. 6 Legge sul Biotestamento, il quale stabilisce che gli atti in cui venga manifestata una volontà in merito a trattamenti sanitari depositati presso il Comune o un notaio prima del 31 gennaio 2018, debbano seguire la legge 219/2017.

In pratica, con la legge del 2016 era già possibile esprimere una volontà analoga alle DAT nonostante non venisse utilizzata la medesima terminologia. La soluzione è prospettata dall’art. 6 della Legge sul Biotestamento che abroga implicitamente la disciplina della l. 76/2016, di conseguenza a tutte le disposizioni precedenti all’entrata in vigore dovrà essere applicata la disciplina in esame.

Un altro punto critico è rappresentato dalla nozione di famigliare. Alla nozione di famigliare vengono dati due significati che non collimano. All’art. 1 comma 2 si parla dei soggetti coinvolti nella relazione di cura i quali possono essere: famigliari, l’unito civilmente e una persona di sua fiducia. All’art. 1 comma 5 esponendo la disciplina della rinuncia al trattamento sanitario necessario il legislatore concede al paziente la facoltà di rendere nota anche ai «famigliari» la sua decisione tramite il medico, il quale procederà inoltre alla spiegazione delle conseguenze e le possibili alternative.

Il contrasto terminologico è evidente nella parte in cui esclude l’unito civile. È da ritenere che il termine usato sia ambivalente includendo anche l’unito, questa conclusione è sostenuta ex lege dalla lettura congiunta della l. 76/2016 che al suo art. 1 comma 39 stabilisce che «in caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari».

7. Il fiduciario 

Il fiduciario assume un ruolo di primo piano nella nuova disciplina in esame. Stando all’art. 4 comma 1 ultima parte, il disponente ha la facoltà di nominare una persona di sua fiducia che ne faccia le veci con il personale sanitario. In queste situazioni si ha una relazione di cura allargata, soprattutto nella sua accezione soggettiva che trasla dal dichiarante al fiduciario.

L’accettazione avviene mediante sottoscrizione alla DAT e comunque, non è vincolante la contestualità dell’atto che, ben può essere prodotto con atto separato e successivo. A titolo di esempio si pensi alla disposizione rilasciata dal disabile tramite videoregistrazione, in quel caso è facilmente pensabile che l’accettazione venga effettuata per iscritto dal fiduciario e successivamente. La forma dell’atto non è vincolata, nel silenzio della norma quindi vige il principio della libertà di forma.

Si tratta innanzitutto di un rapporto basato sull’intuitu personae, questo lo si comprende agilmente dal disposto dell’art. 4 comma 3. In sostanza il dichiarante può revocare l’incarico al fiduciario, ad esempio per eventuali discordanze sopravvenute che mettano a repentaglio il rapporto di fiducia. La norma inoltre specifica che la revoca debba realizzarsi con le stesse modalità della nomina, di conseguenza qualora si fosse scelta la via dell’atto pubblico, occorrerà parimenti un atto pubblico uguale ma contrario per revocarne la carica.

È pacifico ritenere che sia possibile una revoca (con potenziale annessa sostituzione) parziale, quindi mantenendo valida la rimanente volontà sul trattamento sanitario. Ciò lo si desume indirettamente dal comma 4 del medesimo articolo, ove enuncia che «le DAT mantengono efficacia in merito alle volontà del disponente» nel caso di premorienza del fiduciario o di suo rifiuto ovvero di sopravvenuta incapacità[26].

In questa particolare situazione stante l’ultima parte del comma, il Giudice Tutelare interviene nominando un amministratore di sostegno. Un modo pratico per evitare il subingresso di questa figura che, potrebbe non avere legami famigliari o di fiducia con il dichiarante, sarebbe la nomina in sostituzione. È possibile la nomina di un fiduciario in sostituzione per ovviare alla caduta del primo fiduciario, nonostante la norma parli espressamente di «un fiduciario», la nomina del secondo in sostituzione non è contestuale.

In sintesi, rimarrebbe legittimato a fare le veci solamente il primo nominato, scongiurando ogni possibile conflitto con il secondo il quale, entrerebbe in gioco solamente con la premorienza o incapacità del primo. Il fiduciario in sostituzione è una carica quiescente fino al momento della sua accettazione. La proposta infatti assume validità solo con la premorienza o incapacità del primo, attivando il diritto di accettare del secondo. Accettando in questo modo assumerebbe tutti i poteri tipici della carica del fiduciario.

Il fiduciario è una persona che, sottoscrivendo le DAT, si impegna a garantire la volontà espressa dalla persona malata. Le funzioni del fiduciario invero sono molteplici, tra tutte è certamente rilevante la concessione del placet nel caso in cui il medico ritenga, posteriormente alla perdita di capacità del paziente, di modificare le disposizioni per sopravvenute innovazioni che potrebbero portare a migliorie[27].

8. Il ruolo del medico.

Secondo il Codice di Deontologia del Medico del 18 maggio 2014[28], per il suo art. 38 «il medico tiene conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento espresse in forma scritta, sottoscritta e datata da parte di persona capace e successive a un’informazione medica di cui resta traccia documentale», in aggiunta andrebbe interpretato in modo da comprendere anche le forme di videoregistrazione e altri strumenti qualora determinate situazioni di eccezionalità lo richiedano.

L’art. 4 comma 5 della Legge sul Biotestamento stabilisce che il medico è tenuto al rispetto delle DAT. In realtà viene prevista anche una clausola tramite la quale, con il consenso del fiduciario, il medico può disattendere la volontà del paziente. La ratio di questa previsione è legata all’avanzamento della scienza nei campi della medicina che, oggigiorno, è sempre più rapida e imprevedibile. Nel lasso di tempo tra la dichiarazione e la perdita della capacità e possibile che vengano alla luce nuove tecniche in grado mi stravolgere gli esiti.

Nella Legge sul Biotestamento, il medico è nuovamente parte centrale della disciplina. All’art. 5 comma 1 viene introdotto il termine «pianificazione delle cure condivisa», il quale comporta un vero e proprio obbligo da parte del medico e della sua équipe al rispetto di quanto deciso assieme al paziente.

Ciò non deve portare a pensare che le dichiarazioni siano frutto di una volontà condivisa, in realtà la figura del medico nel frangente antecedente alla perdita della capacità si limita a prestare consigli e a suggerire il trattamento più adeguato. Il consenso del paziente comunque è limitato a ciò che propone il medico, il comma 3 infatti delinea l’oggetto di tale consenso che deve essere posto sulla struttura proposta dal medico. In sintesi, il medico propone dopo una consultazione con il paziente, e il paziente presta o meno il consenso.

Il rapporto medico-paziente è invero continuativo e non si limita alla mera consulta ai fini del consenso. Tra i diritti del paziente vi è infatti la possibilità di revocare o modificare la pianificazione condivisa delle cure (art. 5 comma 4) e le stesse DAT (art. 4 comma 6 ultima parte). La differenza tra le due procedure è sia sostanziale che formale. Per la modifica della DAT è richiesta una dichiarazione che può essere data in qualsiasi tempo e nelle le medesime forme, dato il silenzio della legge non è prescritta una forma uguale o contraria. Riconoscendo un tempo di infermità più avanzato (e probabilmente infausto) il legislatore ha completato la disciplina con la possibilità di una manifestazione anche orale, che potrà essere videoregistrata dal medico stesso, alla presenza di due testimoni. La presenza dei testimoni come rafforzativo, viene imposta dal momento che il soggetto utilizzando questo strumento non dovrà sottoscrivere[29].

La modifica della pianificazione di cura invece coinvolge anche la figura del medico il quale, può anche di sua iniziativa proporre una rivisitazione delle decisioni prese in passato, ogni modifica dovrà comunque essere confermata dal paziente. La diversità con la DAT appare evidente, dove per la DAT l’unica volontà che conta per la modifica è quella del paziente, ed egli solo può dare impulso alla revoca della precedente disposizione; per la pianificazione di cura invece vi sarà un nuovo confronto con il medico che di sua iniziativa, come unico soggetto competente in materia, può informare in modo esaustivo il paziente.


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Torrente A., Shlesinger P., Manuale di diritto privato, Giuffrè, Milano, 2017

Cass. Sez. Un. 21 gennaio 2009, n. 2437

Cass sez. un. 9 giugno 2011, n. 12538

Cass. 28 luglio 2011, n. 16543

Corte Cost. 26 aprile 2012, n. 107

Cass. 24 ottobre 2013, n. 14109

Cass. 20 maggio 2016, n. 10414

Cass. 4 febbraio 2016, n. 2177


[1] La legge tuttavia vieta espressamente alcuni comportamenti, a titolo di esempio si pensi all’art. 3 l. 21 ottobre 2005, n. 219, che vieta di disporre, a titolo oneroso, del proprio corpo con riguardo ai prelievi di sangue o cellule staminali.

[2] Corte Cost. 26 aprile 2012, n. 107; si pensi anche alle vaccinazioni obbligatorie del d.l. 7 giugno 2017 contro poliomielite, difterite, tetano, epatite B, pertosse, meningococco B, Haemophilus influenzale tipo B, morbillo, rosolia, parotite, varicella. Lo Stato indennizza chiunque abbia riportato lesioni o infermità a causa di una vaccinazione obbligatoria, secondo la l. 25 febbraio 1992 n. 210 art. 1, sul punto anche Cass sez. un. 9 giugno 2011, n. 12538.

[3] Nella quale rientra anche la libera scelta del medico e del luogo di cura secondo l’art. 1, comma 2, l. 13 maggio 1978 n. 1978, n. 180.

[4] Ai fini della seguente legge sono considerati trattamenti sanitarî sia la nutrizione artificiale che l’idratazione artificiale. Queste consistono nella somministrazione di nutrienti mediante dispositivi medici.

[5] Un caso eccezionale si ha quando il paziente sia incosciente o incapace di prestare valido consenso e si ravvisi una situazione di urgenza, il medico sarà obbligato ad intervenire ai sensi dell’art. 2045 c.c., sul punto anche Cass. 28 luglio 2011, n. 16543. Sul punto tuttavia interviene anche la Legge sul Biotestamento, al suo art. 1 comma 7, chiarendo che in situazioni di urgenza il medico assicura le cure al paziente nel rispetto della sua volontà sempre che le sue condizioni permettano di recepirla. Nello stesso senso anche il Codice di Deontologia Medica che, al suo art. 36 esprime il principio per il quale il medico in casi di urgenza sia tenuto ad intervenire ma comunque assecondando la volontà del paziente e tenendo conto di eventuali DAT già prestate.

[6] È Comunque necessaria che si verifichi una conseguenza pregiudizievole (anche non patrimoniale) di apprezzabile gravità, risultante dalla violazione del diritto di autodeterminazione. A titolo d’esempio, il paziente avrebbe potuto non solo rifiutare ma anche posticipare il trattamento. Tuttavia la Cass. Sez. Un. 21 gennaio 2009, n. 2437 afferma che «non integra il reato di lesione personale, né quello di violenza privata la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso, nel caso in cui l’intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle “leges artis”, si sia concluso con esito fausto»

[7] Un dubbio meramente pratico si pone al momento della ricezione dalla DAT. Secondo l’art. 4 comma 1 della Legge sul Biotestamento, chi vuole ricorrere alla disposizione può farlo solamente «dopo aver acquisito adeguate informazioni mediche». Sorge un problema qualora il notaio o l’ufficio di stato civile debbano ricevere una disposizione non potendo loro stessi informare il paziente e prenderne il consenso. Una clausola nella quale il paziente dichiara di essere a conoscenza dei rischi e dichiara altresì di essere informato sulle procedure terapeutiche andrebbe a snaturare l’intera disciplina del consenso informato. Così facendo si permetterebbe di scavalcare la fase di consulenza medica che sta alla base di una libera scelta, è pertanto preferibile l’accompagnamento del modulo di matrice sanitaria in cui si dichiara di aver prestato consenso e di essere stati edotti dei rischi. Il pubblico ufficiale, secondo questa interpretazione più garantista, potrà ricevere la disposizione unicamente con le adeguate forme documentali che provino l’avvenuta informazione.

[8] La quale richiede documenti in forma scritta o videoregistrazioni ovvero in casi eccezionali anche «altri dispositivi che le consentano di comunicare». Al comma successivo poi precisa che in qualsiasi modo espresso confluirà nella stessa cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico, in modo da rimarcare la medesima valenza di tutti i mezzi utilizzati.

[9] Tra i quali sono compresi anche il convivente o l’unito civilmente. Questa disposizione per un certo verso ricalca l’art. 40 della Legge Cirinnà.

[10] F. Amborsetti, M. Piccinelli, R. Piccinelli, La responsabilità del lavoro medico d’équipe, Torino, 2003, p. 144.

[11] Cass. Civ. Sez. III del 30 luglio 2004, n. 14638. In ogni caso l’anestesia è presunta nel consenso al trattamento ma necessita di un suo apposito consenso.

[12] F. Giunta, il consenso informato all’atto medico tra principi costituzionali e implicazioni penalistiche, Riv. It. di Dir. e Proc. Pen., I, 2001, p. 384 il quale critica fortemente il modello prestampato. Si introduce un concetto di «medicina difensiva» ossia quella preponderata all’esonero di responsabilità da parte del medico in luogo di una appassionata ricerca sull’informazione adeguata, sul punto M. Barni, La responsabilità del medico tra deontologia e diritto, convegno FNOMCeO, Roma del 26 giugno 1999.

[13] Da altri chiamato anche «fatto di linguaggio» sempre nella stessa accezione, così in A. Torrente, P. Shlesinger, Manuale di diritto privato, Giuffrè, Milano, 2017, p. 211.

[14] Cass. Pen. Sez. Un. 21 gennaio 2009, n. 2437 secondo la quale si tratta di un vero e proprio esonero da responsabilità.

[15] Un caso particolare si ha quando il paziente richieda cure contrarie alla legge, alla deontologia o alle buone pratiche clinico-assistenziali. Il medico in questi casi non sarà sottoposto ad alcun obbligo professionale, ne discende che, ove prosegua, non sarà esonerato da alcuna responsabilità.

[16] L. 23 dicembre 1978 n. 833, art. 33 comma 5.

[17] Cass. 13 febbraio 2015, n. 2854

[18] L’esempio tipico è il rifiuto alle trasfusioni di alcune confessioni religiose, sul punto Cass. 4 febbraio 2016, n. 2177 e G. Alpa, Rifiuto di cure e direttive anticipate: diritto vigente e prospettive di regolamentazione. Atti del convegno (Genova 23 maggio 2011), Bioetica, biodiritto e rifiuto di cure, Torino, 2012, p. 10.

[19] È evidente inoltre che non deve ricorrere alcuno dei vizi del consenso, quali dolo, violenza, errore.

[20] Cass. 4 febbraio 2016, n. 2177, in caso di mancanza di questi elementi si ritiene leso il principio costituzionale di autodeterminazione e, di conseguenza, il medico sarà chiamato a risponderne Cass. 24 ottobre 2013, n. 14109.

[21] Cass. 20 maggio 2016, n. 10414.

[22] Per ciò che attiene l’atto pubblico, il Consiglio Nazionale del Notariato, ha predisposto con un comunicato in data 15 dicembre 2017, la predisposizione di un registro per le DAT. Questo, si dice, sarà congegnato su base personale ed avrà la funzione di interconnettere tutti i notai e le singole Aziende Sanitarie Locali tra loro. Anche per questa novità l’atto pubblico ad oggi pare il metodo più sicuro per effettuare una dichiarazione anticipata di trattamento. Già dal 28 luglio 2017, in modo previdente, era stato istituito ad Ancona un primo registro usufruibile solamente dai cittadini del Comune. Questo archetipo di registro nasceva come strumento non pubblico, visionabile solamente dal medico di base, dal direttore sanitario di una struttura sanitaria, dal notaio rogante o dal fiduciante appositamente indicato dal dichiarante; e ovviamente dallo stesso dichiarante.

[23] G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2012, p. 203.

[24] A. Santosuosso, Dichiarazioni anticipate di volontà sui trattamenti sanitari, Raccolta di contributi forniti alla Commissione Igiene e Sanità, in https://www.senato.it/application/xmanager/projects/senato/file/Doc_Comm_n.5.pdf, ultima visita 23/1/2018, Roma, 2007, p. 99.

[25] Nella parte in cui anche il notaio può richiedere la presenza dei testimoni qualora questi non siano necessarî per legge.

[26] Oltre alla maggiore età anche la piena capacità di intendere e di volere è requisito essenziale per la nomina a fiduciario.

[27] Il principio della collaborazione medico-fiduciario è espresso all’art. 4 comma 5. A ben vedere il medico è colui che mette in azione il procedimento di modifica, questo è dovuto al fatto che egli solo sia a conoscenza degli avanzamenti in campo medico. Il fiduciario quindi, è solamente tenuto ad una manifestazione in segno positivo o negativo, non potendo invece di sua iniziativa proporre modifiche. Qualora si giunga a contrasto tra il medico e il fiduciario la decisione è rimessa, ai sensi dell’art. 3 comma 5 al Giudice Tutelare su ricordo del rappresentante legale

[28] https://portale.fnomceo.it/wp-content/uploads/2017/11/Codice_dentologico_aggiornato_.pdf (ultima visita 20/1/2018).

[29] Il collegamento con altre discipline è immediato. Su tutte si pensi alla previsione dell’art. 48 l. 89 del 16 febbraio 1913, per la quale è richiesto l’intervento di due testimoni durante l’atto pubblico qualora una delle parti non sia in grado di scrivere.

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