L’efficacia della sentenza penale nel processo tributario

Il rapporto tra giudizio penale e processo tributario rappresenta una fattispecie complessa, in rappresentazione della tensione tra l’autonomia dei rispettivi procedimenti e la necessità di evitare esiti decisori contraddittori. Con la sentenza n. 21594 del 27 luglio 2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione offre un’approfondita interpretazione del nuovo art. 21-bis del d.lgs. n. 74/2000, che dispone sull’efficacia del giudicato penale di assoluzione nel processo tributario. Il volume “Come cancellare i debiti fiscali”, acquistabile cliccando su Shop Maggioli o su Amazon, offre ai professionisti ed ai contribuenti, imprese e privati, soluzioni difensive, anche alternative a quelle tradizionali, al fine di risolvere la situazione compromessa.

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Leonarda D’Alonzo
Avvocato, già Giudice Onorario presso il tribunale di Ferrara e Giudice dell’Esecuzione in esecuzioni mobiliari, esecuzioni esattoriali mobiliari e immobiliari e opposizione all’esecuzione nella fase cautelare.

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Il caso

La controversia origina da un avviso di accertamento per IVA e IRAP notificato a una società per l’utilizzo di fatture relative a operazioni soggettivamente inesistenti. La Commissione Tributaria Regionale aveva annullato l’atto impositivo, rigettando l’appello dell’Agenzia delle Entrate. La decisione dei giudici di merito si fondava su due argomentazioni: in primo luogo, l’assoluzione in sede penale del legale rappresentante della società con la formula “il fatto non sussiste”, intervenuta sui medesimi fatti ; in secondo luogo, la ritenuta buona fede della società contribuente, la quale, secondo la CTR, non avrebbe potuto essere a conoscenza della natura di “cartiera” della sua fornitrice, dato che quest’ultima presentava un’apparente struttura aziendale (iscrizione alla Camera di Commercio, uffici, personale).

La decisione

La pronuncia della Suprema Corte offre un’articolata esegesi del nuovo art. 21-bis del d.lgs. n. 74/2000. Tale norma stabilisce che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione, con le formule “perché il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso”, pronunciata a seguito di dibattimento, ha efficacia di giudicato nel processo tributario avente ad oggetto i medesimi fatti materiali. La Corte, discostandosi da una lettura potenzialmente dirompente, sposa un’interpretazione restrittiva, concludendo che la norma si riferisce esclusivamente al trattamento sanzionatorio e non all’imposta.

Ragioni dell’interpretazione restrittiva

Le ragioni di tale approdo sono le seguenti:

  • Interpretazione sistematica: l’art. 21-bis è stato introdotto nell’ambito di una riforma (d.lgs. n. 87/2024) la cui ratio, desumibile dalla legge delega (L. n. 111/2023), era la revisione del sistema sanzionatorio tributario, in un’ottica di rafforzamento del principio del ne bis in idem. La norma va quindi letta in coerenza con gli artt. 19-21 dello stesso decreto, che delineano l’autonoma gestione dei rapporti tra illecito penale e illecito amministrativo-tributario, confermando l’assetto del “doppio binario”.
  • Interpretazione letterale: il comma 3 dell’art. 21-bis estende l’applicabilità della norma “anche” nei confronti della persona fisica che ha agito per conto dell’ente o dei soci. Secondo la Corte, l’uso della congiunzione “anche” ha senso solo in una prospettiva sanzionatoria, poiché l’obbligazione tributaria principale grava unicamente sul soggetto passivo d’imposta (la società o l’imprenditore), e non sui suoi rappresentanti o soci in quanto tali.
  • Compatibilità Costituzionale e Unionale: un’efficacia estesa all’imposta porrebbe seri dubbi di legittimità costituzionale. Si creerebbe un’irragionevole disparità di trattamento (art. 3 Cost.): i contribuenti autori di evasioni più gravi (penalmente rilevanti) potrebbero beneficiare del più favorevole regime probatorio penale (dove l’onere della prova è tutto a carico dell’accusa), mentre per le evasioni di minor entità si applicherebbe sempre il più rigoroso regime tributario. Inoltre, verrebbe leso il diritto di difesa dell’Agenzia delle Entrate, che non partecipa al giudizio penale. La limitazione alle sole sanzioni elide queste criticità e allinea la norma ai principi dell’Unione Europea, che non consentirebbero di paralizzare l’accertamento di tributi armonizzati come l’IVA sulla base di un giudicato penale fondato su presupposti e standard probatori diversi.

Ambito applicativo della norma

In sintesi, la sentenza penale di assoluzione diventa un elemento di prova liberamente valutabile dal giudice tributario ai fini dell’accertamento dell’imposta, ma acquisisce valore di giudicato vincolante ai fini dell’annullamento della relativa sanzione. La Corte non si ferma all’interpretazione del perimetro della norma, ma ne definisce anche i rigorosi presupposti applicativi. L’efficacia di giudicato scatta solo in presenza di condizioni precise:
  1. Tipo di procedimento: la sentenza penale deve essere stata pronunciata “in seguito a dibattimento“. Ciò esclude categoricamente, come nel caso di specie, le sentenze emesse all’esito di un giudizio abbreviato, che è per definizione celebrato “allo stato degli atti” e senza fase dibattimentale. Sono altresì escluse le sentenze di patteggiamento e i decreti di archiviazione.
  2. Formula dell’assoluzione: rilevano unicamente le formule “perché il fatto non sussiste” o “perché l’imputato non lo ha commesso”.
  3. Contenuto dell’accertamento: l’assoluzione non deve derivare da una mera insufficienza di prove (art. 530, co. 2, c.p.p.), ma da un effettivo e positivo accertamento circa l’insussistenza del fatto. Un’assoluzione “dubitativa” non è idonea a formare giudicato nel processo tributario.

Applicazione al caso concreto

Applicando questi principi al caso concreto, la Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. Poiché la sentenza di assoluzione del legale rappresentante era stata emessa all’esito di un giudizio abbreviato, l’art. 21-bis non era applicabile. Di conseguenza, la CTR aveva errato nel ritenersi vincolata da tale pronuncia. Avrebbe dovuto, invece, procedere a un’autonoma valutazione di tutti gli elementi indiziari forniti dall’Amministrazione Finanziaria per dimostrare la consapevolezza del contribuente di essere parte di una frode (come la mancanza di una reale struttura del fornitore e l’assenza di contatti diretti), senza potersi fermare alla mera regolarità formale delle fatture e dei pagamenti. La Corte ha quindi cassato la sentenza e rinviato la causa al giudice di merito per un nuovo esame.

Conclusioni

La sentenza n. 21594/2025 si pone come un punto di riferimento imprescindibile per gli operatori del diritto tributario. Fornendo una vera e propria guida dell’art. 21-bis, la Cassazione traccia una linea netta: la nuova norma mira a coordinare i sistemi sanzionatori nel rispetto del ne bis in idem, ma non a sovvertire l’architettura probatoria del processo tributario. Viene così confermata la piena autonomia dei due giudizi per quanto attiene all’accertamento del tributo, la cui determinazione deve continuare a seguire le proprie regole. La scelta di limitare il giudicato vincolante alle sole sanzioni appare una soluzione equilibrata, capace di prevenire le criticità costituzionali e unionali che un’interpretazione estensiva avrebbe inevitabilmente sollevato, salvaguardando al contempo la coerenza del sistema repressivo.

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