L’eccezione di giudicato esterno: rilevabilità e onere probatorio

in Giuricivile, 2019, 7 (ISSN 2532-201X)

Ai sensi dell’art. 324 c.p.c., il quale fornisce la definizione di cosa giudicata formale, “s’intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né al regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione. Né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 395.”

La certificazione formale riguardante il passaggio in giudicato del provvedimento è invece regolamentata dall’art. 124 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile, il quale stabilisce che “a prova del passaggio in giudicato della sentenza il cancelliere certifica, in calce alla copia contenente la relazione di notificazione, che non è stato proposto nei termini di legge appello o ricorso per cassazione, nè istanza di revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 395 del codice.

Ugualmente il cancelliere certifica in calce alla copia della sentenza che non è stata proposta impugnazione nel termine previsto dall’articolo 327 del codice.”

La rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di giudicato esterno

La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che l’eccezione di giudicato esterno sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio; esso, al pari di un giudicato interno, è rilevabile d’ufficio anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata (Cass. SS. UU. n. 13916/2006; Cass. 7 ottobre 2010, n. 20802; Cass. 15 aprile 2011, n. 8614; Cass. n 6102 del 17 marzo 2014; Cass. n. 11365 del 01 giugno 2015;  Cass. 5 maggio 2016, n. 9059). Tale regola, posta a tutela del principio del ne bis in idem, identifica il giudicato al pari della norma di diritto, da tenere necessariamente in considerazione nella formazione del giudizio.

In tal senso merita di essere segnalata l’importante sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 226 del 25.5.2001, che, nel comporre il contrasto insorto circa la rilevabilità officiosa o meno dell’eccezione di giudicato esterno (che in numerose pronunce veniva distinta dall’eccezione di giudicato interno, pacificamente qualificata come rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo), ha applicato il principio generale accolto dalla Cass., Sez. Un., 1099/1998, circa il criterio discretivo tra le due categorie di eccezioni, concludendo per la piena rilevabilità officiosa. La sentenza è importante anche per quanto osserva in ordine all’inesistenza di limiti sia all’allegazione che alla prova dei fatti costitutivi dell’eccezione di giudicato esterno:

“Poiché nel nostro ordinamento vige il principio della rilevabilità di ufficio delle eccezioni, derivando invece la necessità dell’istanza di parte solo dall’esistenza di una eventuale specifica previsione normativa, l’esistenza di un giudicato esterno, è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, ed il giudice è tenuto a pronunciare sulla stessa qualora essa emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito. Del resto, il giudicato interno e quello esterno, non solo hanno la medesima autorità che è quella prevista dall’art. 2909 cod. civ., ma corrispondono entrambi all’unica finalità rappresentata dall’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche e dalla stabilità delle decisioni, le quali non interessano soltanto le parti in causa, risultando l’autorità del giudicato riconosciuta non nell’interesse del singolo soggetto che lo ha provocato, ma nell’interesse pubblico, essendo essa destinata a esprimersi – nei limiti in cui ciò  sia concretamente possibile – per l’intera comunità. Più in particolare, il rilievo dell’esistenza di un giudicato esterno non è subordinato ad una tempestiva allegazione dei fatti costitutivi dello stesso, i quali non subiscono i limiti di utilizzabilità rappresentati dalle eventualmente intervenute decadenze istruttorie, e la stessa loro allegazione può essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito. Da ciò consegue che, in mancanza di pronuncia o nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia affermato la tardività dell’allegazione – e la relativa pronuncia sia stata impugnata – il giudice di legittimità accerta l’esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice del merito”.

È quindi possibile affermare che la necessità di avere stabilità tra giudicati (alias la necessità di garantire in modo effettivo la non contraddizione tra giudicati), comporta che deve escludersi che l’eccezione di giudicato sia sottoposta alle preclusioni (anche documentali) previste per le fasi processuali.

Anche se l’eccezione di giudicato è sollevata dopo la precisazione delle conclusioni, “il giudice di merito deve rimettere la causa sul ruolo istruttorio al fine di consentire il contraddittorio sull’eccezione di giudicato, ma anche al fine di consentire alla parte interessata di produrre la sentenza munita dell’attestazione di irrevocabilità.” (Cass. Sez. III n. 27906/2011).

Di un tanto discende che l’esistenza del giudicato esterno, al pari di quella del giudicato interno, non costituisce oggetto di eccezione in senso tecnico, ma è rilevabile in ogni stato e grado anche d’ufficio, senza che in ciò sia riscontrabile alcuna violazione dei principi del giusto processo (cfr. Corte cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 12159 del 06/06/2011).

Onere probatorio per l’eccezione di giudicato esterno

È tuttavia necessario distinguere la rilevabilità d’ufficio del giudicato dalla prova che deve essere presente nel processo che consenta al giudice di rilevare il giudicato esterno eccepito.

Risulta evidente che per poter dichiarare un giudicato, nel procedimento deve essere presente la sentenza, resta, però, da chiedersi se sia sufficiente la sola sentenza oppure questa debba essere munita della certificazione che non sono state effettuate impugnazioni (art. 124 disp att c.p.c.).

Un primo, datato, orientamento giurisprudenziale sosteneva non fosse necessaria la produzione della sentenza munita della formale attestazione, ciò in quanto la prova del passaggio in giudicato della pronuncia si dava per acquisita in difetto di impugnazioni della stessa entro un anno dal suo deposito. (Cass. n. 1554/1971 così in motivazione “nel presupposto pacifico che entro il termine annuale dalla data di deposito di una sentenza (regolarmente esibita) non sia stata proposta alcuna impugnazione, legittimamente può considerarsi acquisita la prova del passaggio in giudicato della medesima, indipendentemente dalla apposizione da parte del cancelliere della formula esecutiva”).

Secondo la giurisprudenza successiva e minoritaria, invece, (Cass. Sez. L, sent. n. 6952 del 19/08/1987; Sez. 1, sent. n. 1833 del 20/02/1998 ), “la parte che eccepisce la preclusione del giudicato esterno assolve l’onere probatorio a suo carico mediante l’allegazione della sentenza, o di altro provvedimenti giudiziale idoneo ad assumere autorità di giudicato, mentre grava sulla controparte, che eccepisce la pendenza del giudizio d’impugnazione contro detta decisione, l’onere di dare adeguata dimostrazione di tale fatto impeditivo, producendo idonea certificazione. In particolare, la prova del non passaggio in giudicato della sentenza di secondo grado per l’effetto della proposizione contro di essa del ricorso per cassazione non è data dalla sola produzione del ricorso notificato, essendo, a tal fine, necessario dimostrare anche la pendenza del relativo giudizio mediante certificazione della cancelleria”.

Pertanto, la parte che eccepiva l’esistenza di un giudicato esterno fra le parti che rilevasse ai fini della decisione della causa per cui si procedeva, assolveva al proprio onere probatorio con la produzione della sentenza interessata (anche senza la formale attestazione del cancelliere), mentre gravava sulla controparte, che contestava tale circostanza, un volta decorso il termine annuale di cui all’art. 327 secondo comma, cod. proc. civ. l’onere di dimostrare la pendenza del giudizio di impugnazione attraverso la produzione del relativo atto e della certificazione attestante la pendenza.

Diversamente, con la pronuncia n. 4803/2018 la Suprema Corte di Cassazione ha statuito che la parte, la quale eccepisce il passaggio in giudicato della sentenza, non ha l’onere di fornirne la prova mediante la produzione della pronuncia, munita della certificazione formale del cancelliere, di cui all’art. 124 disp. att. cod. civ. “qualora la controparte ammetta esplicitamente l’intervenuta formazione del giudicato esterno […], come invece avviene nell’ipotesi di mera non contestazione del giudicato, cui non può attribuirsi il significato di ammissione della definitività della decisione.”

L’orientamento giurisprudenziale maggioritario e più formalistico (Cassazione civile n. 10465/2018; Cass. n.6024/2017; n. 9059/2016; n. 5196/2016; n. 19883/2013; n.10623/2009; Cassazione civile sez. lav. – 09/07/2004, n. 12770) sostiene, invece che “ colui il quale afferma il passaggio in giudicato di una sentenza resa in altro giudizio, deve dimostrarlo non soltanto producendo la sentenza stessa, ma anche corredandola della idonea certificazione (art. 124 disp. att. cod. proc. civ.) dalla quale risulti che la pronuncia non è soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere né che la mancata contestazione di controparte sull’affermato passaggio in giudicato significhi ammissione della circostanza, né che sia onere di quest’ultima dimostrare la non impugnabilità della sentenza (così le pronunce 19 marzo 1999, n. 2524, 9 luglio 2004, n. 12770, e 2 dicembre 2004, n. 22644).

L’unica condizione cui è subordinata l’eccezione di giudicato è data, dunque, soltanto dalla effettiva conoscibilità, da parte del Giudice della causa pendente, della “regola di diritto” prodotta dal precedente giudicato che impedisce una nuova pronuncia sul merito relativa al medesimo rapporto, conoscenza che può essere data esclusivamente dalla presenza in atti della sentenza (o del provvedimento cui la legge ricollega analoghi effetti) che si intenda far valere, munita dell’attestazione dell’intervenuto passaggio in giudicato di cui all’art. 124 delle disposizioni attuative del codice civile.

Pertanto, alla luce di tale orientamento, l’attestazione del Cancelliere sarebbe quindi mezzo di prova indispensabile del giudicato, e ciò anche in caso di mancata contestazione da parte del controinteressato.

La giurisprudenza amministrativa in tema di eccezione di giudicato esterno

Per completezza espositiva e da una prospettiva diversa da quanto esposto finora, la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sez. III 16 marzo 2012, n. 1464) ha rilevato che è vero che la certificazione apposta dal cancelliere ha lo scopo di fungere da prova del passaggio in giudicato, ma ai fini del relativo accertamento non costituirebbe una prova risolutiva, e neppure indispensabile.

Sul punto rileva in primo luogo che l’efficacia di giudicato consegue ope legis, ai sensi dell’art. 324 c.p.c., al verificarsi di uno degli eventi dedotti dalla norma e che quindi la certificazione ad opera del cancelliere dell’avvenuto passaggio in giudicato del provvedimento non svolge alcuna funzione costitutiva.

La particolare efficacia della citata certificazione, secondo il Consiglio di Stato, sarebbe assolutamente da escludere, venendo la stessa rilasciata a seguito di un mero controllo formale da parte del Cancelliere, il quale si limita a rilevare la eventuale presenza di impugnazioni avverso il provvedimento in questione; tale norma (art. 324 c.p.c.), infatti, non attribuisce al cancelliere il compito di “certificare” il passaggio in giudicato della sentenza, bensì, assai più limitatamente, che non siano state proposte impugnazioni; di un tanto qualunque valutazione che richieda la risoluzione di questioni di fatto o di diritto rimarrebbe fuori dal suo ambito di competenza, limitandosi il cancelliere solo ed esclusivamente a registrare fatti.

Conseguentemente spetta al giudice, davanti al quale venga dedotta l’esistenza di un giudicato accertare pregiudizialmente se in realtà un giudicato vi sia e quali ne siano il contenuto e gli effetti sulla materia del contendere nell’ambito di quel processo.

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